ADUNATE NAZIONALI |
MILANO 1992 |
MILANO, 1992
Apre la
sfilata la fanfara della Brigata Alpina "Tridentina" e il
reparto di formazione del Battaglione Alpini "Morbegno".
L'Associazione Nazionale Alpini annuncia l'inizio dei lavori per la costruzione di un Asilo
a Rossosch dove, nel 1942, era dislocato il Comando del Corpo d'Armata alpino.
medaglia commemorativa |
Giugno 1992
«Voi Alpini — ha detto il cardinale Martini arcivescovo di Milano — avete
portato il vostro patrimonio di valori e di tradizioni in questa Milano scossa e umiliata da episodi di malcostume. E
ancora, ricordando la tenacia, l’amicizia, la solidarietà e lo spirito di sacrificio che appartengono ad
un “Corpo” tanto caro a tutti gli italiani», ha aggiunto: «Gli alpini si distinguono perla voglia di onestà sociale e
politica a tutti i livelli. Questa città ha bisogno della vostra ventata di pulizia morale». Parole scaturite in un
clima di aperta, sincera, generale commozione nel Duomo gremito all’inverosimile, sentimenti che hanno toccato il cuore
delle Penne Nere e riscosso ripetuti applausi. Poi ha ricordato don
Carlo Gnocchi il prete-alpino della Russia e Teresio Olivetti eroi della carità, augurando che presto siano portati agli
onori dell’altare. «SARANNO I SANTI DEGLI ALPINI» ha soggiunto il Cardinale Martini, strappando ovazioni.
Dopo le precedenti adunate svoltesi nel 1959 e nel 1972, il 16 e 17 maggio, Milano ha accolto con entusiastico calore
gli Alpini per la 65a Adunata Nazionale. L’arrivo delle Penne Nere è stata notevole nei giorni precedenti ed è vieppiù
aumentato massicciamente nella giornata di sabato, occupando le aree disponibili da camper, tende e pullman, per
dilagare in serata con i loro canti e le loro fanfare in tutta la città, inspiegabilmente avara di tricolori.
Interessante e utile è stata l’iniziativa della "TRADOTTA" che, partita da Vittorio Veneto, ha portato
cinquecentocinquanta alpini e familiari delle sezioni di Vittorio, Conegliano, Treviso, Valdobbiadene e Vicenza alla
stazione “Garibaldi” di Milano. Conegliano era la più rappresentata con 160 persone.
Quanti eravamo? Non lo sappiamo. Certa mente moltissimi, forse quattrocentomila.
Basti pensare che la sfilata è durata quasi nove ore, tra il tripudio dell’immensa folla assiepata, oltre le transenne,
lungo l’interminabile percorso.
A noi che sfilavamo passava un brivido di speranza e pensavamo che, forse, in Italia non tutto era perduto. La nostra
sezione era ben rappresentata con circa novecento Penne Nere, guidate dal presidente Luigi Basso, che scortava il
Vessillo — portato dal vecio maresciallo Mario Longhino — seguito dai vice presidenti Battista Bozzoli e Nino Geronazzo;
dai sindaci: di Refrontolo dott. Pietro Lorenzon, di San Fior ing. Lorenzo Carniel, di S. Lucia di Piave Tarcisio
Canzian e di Sernaglia della Battaglia prof Lamberto Pillonetto, con i decorati e il Consiglio Direttivo; dalla totalità
dei gagliardetti dei nostri Gruppi; dalla Fanfara Alpina— che ha fatto il suo vere —, dal Nucleo di Protezione Civile e
quindi dalla massa degli Alpini, con in testa i capigruppo.
Significative e senza dubbio interlocutorie le scritte sugli striscioni, quale quelli portati dai nostri alpini —
quest’anno dal Gruppo dl Pieve di Soligo, i quali hanno ben curato l’ordine, sotto la guida del capogruppo Paolo Gai:
«Conegliano Alpina chiede: non toglieteci la "Brigata Cadore" e «Conegliano culla del 7°Alpini». A buon intenditor poche
parole! Come promesso l’hanno fatta la strambata gli Alpini, e le parole di un copyrighter d’eccezione, quale Francesco
Cossiga, aprivano la 65a Adunata Alpina di Milano: «Se tutti fossimo Alpini, avremo più pulizia, più onestà e più
efficacia».
Bravamente gli Alpini l’hanno firmato — riportava “LaTribuna” del lunedì — e, tuttavia, il sardo più amato degli
italiani ieri non era in in piazza del Duomo a riscuotere i diritti d’autore, come avrebbe voluto, come speravano forse
gli organizzatori di questa incontenibile adunata alpina, in cui, accanto ai tradizionali temi della fedeltà,
dell’onore, e di amore alla Patria, quest’anno sono echeggiate le nostalgie di un intero settennato, la gratitudine per
le impunture antiobiezionistiche dell’ex Presidente e del nostro Presidente Caprioli, comminateci in occasione della sua
visita a Gaiarine. Milano se le è lasciate cantare di gusto, sia dall’inizio che alla fine della sfilata, dai quasi
quattrocentomila, che hanno camminato con ordine sotto l’occhio benevolo della "Bella Madunnina", reggente il Tricolore.
RB.e S.B.
Vogliamo riportare a compendio dello straordinario avvenimento alpino un interessante articolo apparso ne “Il Giornale” di Montanelli, firmato da Luciano Moia, al quale va la nostra stima e il nostro apprezzamento, come un grazie va allo speaker che al passaggio alle tribune ha detto parole lusinghiere nei confronti della nostra Sezione.
Quando avevano Visto spuntare i tendoni e gli accampamenti degli alpini sui prati intorno al Castello Sforzesco, gli
ambientalisti avevano gridato allo scandalo. «Orrore — si erano indignati gli ecologisti metropolitani — quei barbari
distruggeranno il verde, raderanno al suolo i cespugli, lasceranno ovunque lattine e cartacce».
Anche l’assessore all’ecologia aveva avuto un attimo di smarrimento di fronte ai falò delle penne nere sulle aiuole
del Parco Sempione. Preoccupatissimo
per le sorti del suo gioiello era andato personalmente a tentare di dissuadere gli alpini dall'accendere fuochi. «Stia
tranquillo assessore — l’aveva rassicurato il vecio a cui si era rivolto — io faccio il contadino, e l’erba so come trattarla».
Tutt’altro che convinto, l’assessore aveva messo in allarme il sindaco e a Palazzo Marino si era tenuto un
summit con i dirigenti dell’Ana, l’associane nazionale alpini, per tentare di trovare qualche soluzione al problema pulizia
prima e dopo la sfilata. «Penseremo a tutto noi, non preoccupatevi, «lunedì Milano sarà pulita come prima», avevano
assicurato le penne nere.
Gli alpini non sono stati di parola. Ieri mattina Milano non era pulita come prima, lo era molto più di prima,
splendente e tirata a lucido quale si vede solo a ferragosto quando chiude per ferie. Un miracolo? No, ordinaria
amministrazione, ma amministrazione alpina. Domenica sera, dopo aver sfilato per più di otto ore sotto un sole tropicale,
alcune centinaia di loro si sono volontariamente addossati un surplus di fatica. Ramazza in mano, hanno percorso le vie
di Milano, parchi e giardini compresi,facendo scomparire ogni traccia del loro passaggio. «Italia, vederti bella,
sognarti pulita», recitava domenica uno striscione degli alpini di Como. Alle parole le penne nere hanno fatto
immediatamente seguire i fatti. Una magnifica lezione di senso civico; che stupisce soltanto chi non conosce gli alpini,
chi si è dimenticato di quello che sono stati capaci di fare nel Vajont e in Irpinia, in Friuli e in Armenia.
Solidarietà, amicizia, spirito di sacrificio, difesa dei valori e delle tradizioni. L'alpinità è intessuta di concetti semplici
ma fondamentali e regolarmente applicati. Domenica, con i reduci e i reparti in armi, sono sfilati centinaia di gruppi
della protezione civile alpina, sezioni di donatori di sangue, compagnie attrezzate contro gli incendi dei boschi. Tutti
gli alpini, volontari, tutti pronti a sborsare di tasca propria per acquistare equipaggiamenti e macchinari. Come
totalmente autofinanziato è stato il raduno di Milano. Alla città l’adunata non è costata una lira e loro, oltre a
regalare incassi record ai bar e ai ristoranti, hanno portato anche 200 milioni in beneficenza. È successo così anche
nelle altre 64 città che dal 1920 a oggi hanno ospitato i raduni alpini.
«Dove c’è un alpino c’è civiltà e amore» avevano scritto domenica sulla loro bandiera i veci di Trento. Peccato che sulle
spiagge invase dai rifiuti oppure ai mega-concerti rock fucina di vandalismi e inciviltà non sia possibile mandare i
reparti delle penne nere.
«Siamo l’Italia che conta» cantavano alla sfilata gli striscioni della sezione di Feltre. Fosse vero. Per
guarire dai suoi mali ecologici e morali, a Milano servirebbe forse un corteo alpino ogni domenica. Ma, a
differenza dei politici, loro non hanno tempo da perdere.
Luciano Mola
Dal “Il Giornale” di Montanelli