ADUNATE NAZIONALI |
REGGIO EMILIA 1997 |
REGGIO EMILIA, 1997
Reggio Emilia, dove 200 anni fa nacque il Tricolore, ospita la 70° adunata
delle "penne nere".
Domenica 11 maggio, gli alpini dell'Ana sfilano tutti con il capello al
cuore,
in segno di protesta per le continue ristrutturazioni delle truppe alpine che
causano scioglimenti di numerosi reparti. Alla presenza del capo dello Stato e
del ministro della Difesa, gli alpini mostrano i soliti striscioni ma anche
quelli di protesta "Orobica, Cadore, Mondovì, non ci decimò il nemico ma i
politici".
Sfilano gli alpini di Domodossola che, purtroppo, ripiegano la bandiera, come
faranno anche quelli di Savona e di Vittorio Veneto.
Successivamente il presidente dell'Associazione Nazionale Alpini (Nardo
Caprioli) presenterà le proprie scuse e dell'Ana al capo dello Stato, al
presidente del Consiglio e al ministro della Difesa.
medaglia commemorativa |
Un caos dove tutto
funziona.
Sabato 10 maggio. Fanno effetto le note del 33, che rimbalzano in
maniera quasi ossessiva di piazza in piazza, in questa città piatta che più
piatta non si può ed oggi diventata capitale dei signori delle cime.
Reggio Emilia si è
trasformata in un grande contenitore di happening ad ogni angolo di strada,
complice il favore e la simpatia con cui la popolazione ha accolto gli Alpini.
Le vie del centro e della periferia sono riempite di ogni tipo di mezzi,
rumorosi e variopinti. Un amico reggiano mi confessa che queste scene gli
ricordano le baldorie di piazza dei successi dell’Italia calcistica o della
Reggiana, con la differenza fondamentale che gli Alpini danno prova di un
rigoroso rispetto per l’ambiente.
E la festa di
quest’Italia semplice e pulita si svolge in un ...ordinato caos dove chi
alpino non è non può non stupirsi della originale e sapiente approssimazione
di cui le penne nere sono maestre.
Non ci vuole molto a
prendere confidenza con la città ad un popolo come quello degli Alpini che,
ovunque arrivino, si sentono a casa propria.
Tra canti polifonici e
musica la mescita è continua, il profumo di carni arrostite si mescola a
quello inconfondibile della polenta e a quello pungente del vino. E la
situazione di precarietà non impedisce che le attrezzate cucine sfornino le
ghiottonerie tipiche delle zone di provenienza.
Non solo folclore.
Le penne nere che popolano
le strade ed i giardini sembrano vere e proprie onde tinte di verde e dove si
infrangono contagiano della loro allegria. Ne fanno le spese le ragazze
reggiane, oggi assillante oggetto di approcci galanti che peraltro quasi mai
vanno in porto.
Verso sera, su invito di
una infermiera, alcuni rappresentanti dei Gruppi Pianzano e San Fior si recano alla casa di riposo Villa al Poggio per
salutare il commilitone Lino Righi, reduce della campagna di Russia.
L’accoglienza riservata agli alpini è calorosa. L’incontro viene
suggellato dal canto corale di alcuni brani del repertorio alpino, in un
crescendo di ricordi e di grande commozione. Gli anziani hanno provveduto ad
un rinfresco che va oltre ogni aspettativa. Qualcuno confessa che, comunque
vada, questa sarà l’adunata più bella cui ha partecipato, per quanto è
stato toccante e sincero tale incontro.
Anche questa è
l’adunata.
Ma il bello deve ancora
arrivare.
Padroni della città.
Sabato notte è la notte
in cui scorrono fiumi di vini e grappa. E’ il modo antico e semplice degli
Alpini di festeggiare. Clacson impazziti, veicoli che portano numeri di
passeggeri multipli rispetto a quelli consentiti. Si possono vedere mezzi
surreali di tutti i colori, tandem a sette posti a zigzag in centro strada,
ruote a forma di tino, tini a forma di ruote (ma non era stata dichiarata
guerra ai trabiccoli?). Spicca, in questa originale rassegna, un’ape-car
adattato a farmacia ambulante che cura tutte le malattie con un boccale di
vino, ed un vecio che, in precario equilibrio, “pubblicizza” il
medicinale. E’ evidente che vicino, complice ed invisibile, un angelo
custode lo sta proteggendo. Devono essere tanti, sta notte, gli angeli custodi
in superlavoro. In effetti nessun incidente turba la festa. Ed in questa
baraonda colpisce l’impotenza dei vigili, che nulla fanno o possono fare, e
sembrano neri simulacri messi là
solo a significare, se ce ne fosse ancora bisogno, che padroni assoluti della
città questa notte sono gli Alpini.
Poi di nuovo sotto la
tenda per ricominciare la festa, con gruppi che improvvisano simpatici
gemellaggi ed il trombettiere di turno che, ritenendo sia arrivata l’ora di
andare in branda, suona il silenzio una, due, tre volte. Invano.
Il tricolore sul cuore.
Poi arrivano gli Alpini di
Domodossola.
Ruvidi e gentili portano
il tricolore con la delicatezza con la quale porterebbero un neonato.
All’improvviso, davanti al palco la bandiera viene ripiegata. No, non ce
l’hanno con la bandiera, ma con chi questa bandiera rappresenta, le loro
decisioni circa il corpo degli Alpini, lette dagli Alpini come una profonda
distanza dalla gente.
Colpisce la cura con cui
il tricolore viene arrotolato, l’attenzione che non tocchi terra e si
sporchi.
La protesta viene bissata
dalle penne nere di Savona e Vittorio Veneto, applaudite non solo da chi sta
oltre le transenne ma anche dal palco, dove il nervosismo è palpabile.
A questo punto nessuno
vorrebbe trovarsi al posto dello speaker che solo pochi minuti prima ha
parlato di “orgoglio del tricolore” («che nessuno pensi, anche solo
lontanamente che sia mai stato in discussione»). Tocca a lui leggere un
messaggio di scuse e di condanna da parte di Caprioli che esprime il
“dispiacere dell’Associazione per comportamenti non accettabili e non
giustificabili”.
Solo quando sfila Il
Generale Gadia, che viene annunciato come “l’ultimo comandante della
Brigata Cadore”, lo speaker si fa interprete del disagio degli Alpini e
delle preoccupazioni che questi nutrono nei riguardi del loro futuro. Ma al
microfono ora c’è il nostro Nicola Stefani che si esalta al passaggio della
Sezione di Conegliano di cui, con malcelato orgoglio, ricorda i numeri e la
storia. Come al solito numerosissimi, gli Alpini dei nostri Gruppi sono
preceduti dal vessillo della Sezione, scortato dal Presidente Paolo Gai, dai
vicepresidenti, consiglieri, sindaci, capogruppo e dalla fanfara,
magistralmente diretta da Giovanni Zorgno. Il servizio d’ordine viene curato
dal Gruppo S. Maria e S. Michele di Feletto.
Penne
all’arrabbiata.
Gli Alpini di Domodossola,
Savona e Vittorio Veneto hanno protestato con stile e dignità e addirittura
con rispetto.
Grande stile anche nella
silenziosa protesta di chi ha sfilato con il lutto al braccio ed in quella
degli striscioni. Emblematico, a tal proposito, quello di Brescia, senza una
parola ma con un grande fiocco nero su fondo verde in segno di lutto.
Ma non c’è stato stile
nei fischi, urli e sberleffi che hanno accompagnato tutti gli spostamenti a
Reggio del Capo dello Stato. Fischi anonimi al suo arrivo in tribuna ed al suo
saluto, fischi e urla anche all’indirizzo del Ministro della Difesa. Epiteti
irripetibili e vergognosi erano stati rivolti la sera prima al Capo del
Governo. Sembra che anche gli Alpini comincino a coltivare lo sport più in
voga di questo fine secolo, quello di contestare tutto e tutti. Ma forse si
tratta del distratto disprezzo nei confronti dei politici, disprezzo
impolitico, insofferente ed irrispettoso, alla faccia dei grumi di retorica
patriottica di cui si nutre l’uniforme ufficiale del corpo e dei suoi capi.
Gli alpini in Paradiso
Sulla via del ritorno,
nell’inevitabile imbottigliamento per guadagnare l’autostrada, leggo,
incollato ad una vettura, un curioso proclama, uno dei tanti partoriti
dall’inesauribile fantasia alpina: “In Paradiso forse non si beve vino.
Beviamolo in terra!”. Il binomio vino-alpini non può certo fregiarsi della
carisma dell’originalità; è l’accostamento al Paradiso che mi trova
perplesso. Ripenso alla conclusione insolita di questa adunata, alla protesta
del tricolore ripiegato. Ora qualcuno prenderà dei provvedimenti e si parla
già di espulsione dall’Associazione.
Gli autori del gesto sono
probabilmente alpini che, come tanti, dedicano il proprio tempo libero ad
opere di solidarietà, o a raccogliere fondi per questa o quella azione od
ente benefico, magari iscritti all’Admo e all’Avis, impegnati in opere di
restauro o di difesa dell’ambiente, spesso instancabili organizzatori di
feste per tener vive la cultura e le tradizioni popolari; uomini che si
distinguono per il loro senso civico, che danno vita a luoghi di aggregazione
sociale espressione di quel volontariato civile che rappresenta uno degli
aspetti più nobili e generosi della nostra vita nazionale; Alpini che
esprimono la loro fede in cerimonie precedute dall’alzabandiera dove i veci
riescono ancora a commuoversi e dove spesso vengono commemorati coloro che per
quella bandiera sono caduti; gente pronta a correre dove l’emergenza chiama,
anche fuori del territorio nazionale, incurante delle barriere geografiche e
culturali ...
Sì, gli Alpini ci vanno in Paradiso, anche quelli che ripiegano la bandiera.
Dal Mas Gianfranco