GRUPPO BARBISANO |
Settembre 1998 |
La storia si sa, è
sempre stata manovrata da formidabili strateghi o folli dittatori, quella che
non viene ricordata sufficientemente è l’enorme perdita di vite umane, di
uomini spesso ragazzini che lasciando le loro terre e i loro cari non vi hanno
più fatto ritorno.
Il mio contributo, nel ricordare questi dispersi, sarà
certamente paragonabile ad una goccia nel mare, però si tratta di una
necessità dettatami dalla coscienza, quando alcuni mesi fa collaborando alla
pubblicazione del libro “inerente al mio paese: Barbisano”, casualmente ho letto alcune toccanti lettere che dal fronte russo il giovane
soldato Disma Breda inviava alla propria famiglia; così come casualmente è
riaffiorato da un antico libro un foglio dal titolo “L’Alpino di
Barbisano”.
Iniziamo da quest’ultimo ritrovamento: si tratta della
lettera con la quale l’alpino Luigi Antoniazzi di Barbisano porta a
conoscenza il proprio padre dell’attuale situazione al fronte durante la
prima guerra mondiale. La lettera testualmente recita:
“Padre carissimo, dopo otto giorni di trincea, ti faccio sapere qualche cosa
della mia nuova vita. Qui mi trovo nelle trincee conquistate dai nostri bravi
alpini, all’altezza di 2200 metri, nelle quali sono con tutta la compagnia
in riposo. Esco due ore al giorno per servizio e anche qualche ora di nascosto
per andare alla caccia di camosci, che qui sono molti; nell’altro tempo
della giornata debbo farmi pulizia della persona se non voglio farmi magiare
dalla “cavalleria”. Fra breve ci sarà una nuova avanzata, quindi non so
cosa sarà della mia sorte, ma spero che Iddio che è stato tanto buono mi
terrà lontano dai pericoli e potrò ancora ritornare fra te e fratelli e
passare ancora qualche bella giornata assieme.
Padre, fatti coraggio, anzi sorridi di gioia pensando che
il caro figlio Luigi combatte per la nostra bella Italia. Il mio pensiero sarà
sempre con te e, se mai morissi, l’ultimo nome che mi salirà alle labbra
sarà il tuo; e tu non dovrai piangere perché io avrò fatto il mio dovere.
Chi per la patria muor, vissuto è assai! Viva l’Italia!”
Ricorda il nostro socio Giuseppe Antoniazzi, che
l’autore della lettera era il più giovane dei sei figli a quel tempo sotto
le armi: tre al fronte, uno in Libia, uno carabiniere e l’altro della
Territoriale. Fortunatamente tutti fecero
ritorno a casa tra la “disapprovazione” del nonno il quale (viene
ricordato come aneddoto) disse: “almeno tre dovevano morire in combattimento
quale contributo alla Patria”.
Sorte diversa toccò all’Alpino Secondo Disma Breda
nato il 1911 A Sernaglia, viveva in località Sant’Anna, sulla strada che da
Falzè di Piave porta a Colfosco.
Il padre dell’Alpino Disma, solo in tempi più recenti
si trasferirà a Barbisano, in seguito al matrimonio della figlia Rachele con
Giuseppe Lenisa. La figlia di quest’ultimo, Marisa, ha conservato le lettere
che il nonno gelosamente per tutta una vita rilesse per mantenere vivo il
ricordo del figlio disperso in Russia. Riporto brevemente alcuni stralci di
tali missive:
15/09/1942
“… Spero che avrete ricevuto qualcuna delle mie
lettere, vi dico che è già quattro giorni che si marcia verso la meta, ma
sarà molto lunga questa marcia. L’altro giorno abbiamo passato il fiume
Don, vi dico del tempo che è molto bello e anche molto caldo e come
abitazioni è una similitudine dell’Africa…”
22/09/1942
“Cari genitori… come lo saprete siamo in linea di
combattimento, ma non si vede nessuno avvicinarsi e neppure non si sente un
colpo di fucile, ma si vede sempre dei soldati russi fatti prigionieri, e sono
così mal conciati che sembrano tanti mendicanti; speriamo bene”.
27/10/1942
“… E’ un mese e più che siamo fermi, e saremo per
un bel po’ di tempo fermi, finché sarà passata l’invernata… Ora
abbiamo il fronte fermo, che sarebbe il famoso fiume Don… senti caro padre,
a sentire la tua cara lettera mi veniva le lacrime agli occhi, sentire che
devi lavorare tanto, e sempre solo… coraggio dunque mio caro padre che
speriamo che un giorno finisca anche questa”
25/12/1942
(Giorno di Natale) “… Mentre vi scrivo l’inchiostro
si ghiaccia sulla penna… vi dico, che il nemico ha preso di quelle legnate
che sono incredibili, ma però vi dico che siamo a meno 30 gradi di freddo, ma
i veci non perisse mai!”.
Seguirono ancora alcune lettere, mentre quelle che i
famigliari di Disma inviarono al figlio verso i primi giorni del 1943
ritornarono al mittente, preludio purtroppo alla comunicazione ufficiale con
cui l’Alpino Breda venne dichiarato irreperibile in seguito al combattimento sul fronte russo del 20 gennaio
1943.
Aveva gioito della propria vita solo 32 anni, di cui
dieci in combattimento tra leva
ed Africa. La storia, così come viene appresa tra i banchi di scuola risulta
sterile nozionistica, si limita a raccontare l’evento citando un elenco di
date quando invece (come mi è capitato) leggendo le lettere originali
dell’alpino Disma era come viverne accanto, condividendo il sole ed il vento
che spazzava le desolate pianure russe o il lento fluire del fiume Don, con
intorno silenzi e gelo. Dialogando casualmente ho appreso l’esistenza delle
lettere di Disma, le ho lette e mi sono commosso, inconsapevole di aver
risvegliato il ricordo di un giovane soldato morto al fronte, un ricordo che
altrimenti giacerebbe in fondo ad un cassetto.
Mentre redigevo questo scritto per un attimo ho pensato:
a cosa serve ricordare le perdite umane dell’ultimo conflitto mondiale
avvenuto più di quarant’anni fa?
Poi con la mente ho sorvolato velocemente gli eventi di
questo decennio scorgendovi immani genocidi, crimini e stragi: Jugoslavia,
Cambogia, Ruanda, solo per citarne alcuni.
Non è dunque superato ricordare ciò che la storia
ripropone a ciclo: Napoleone sconfitto in Russia dal freddo, così avvenne
decenni più tardi per l’esercito italiano sterminato al fronte russo; e
ancora l’analogia tra i lager nazisti e quelli scoperti in Jugoslavia alle
soglie del duemila. E’ di questi giorni la notizia della possibilità di
creare un Tribunale penale internazionale per evitare che ogni crimine di
guerra rimanga impunito; è certamente un monito per ridurre le privazioni di
libertà.
Così un giorno quando “un altro Disma” ci chiederà
“Perché sono morto, chi risponde dei miei sogni perduti?”, sapremo cosa
rispondere.
Giuseppe Pol