GRUPPIO BIBANO GODEGA


Dicembre 2017

Raduno alpino e Mostra fotografica sulla grande Guerra "IL PIAVE RACCONTA..."

Se è vero che “l’oggi discende dall’ieri, e il domani è il frutto del passato”, come sostiene la moderna antropologia, allora è altrettanto indiscutibile l’importanza della storia e del suo studio per non dimenticare coloro che la storia hanno fatto prima di noi. Ecco perché recuperare tali radici diventa un mezzo per comprendere e per conoscere meglio il contesto storico attuale. Attraverso la conoscenza del passato si può, infatti, consapevolmente interpretare il tempo presente poiché, come recita un’antica massima, solo “chi conosce le proprie origini conosce veramente se stesso”. L’agire umano lascia impronte ovunque: la Mostra sulla Grande Guerra “IL PIAVE RACCONTA…” di Godega è solo uno dei tanti esempi di queste tracce che vanno preservate e salvate non solo dall’ingiuria del tempo ma soprattutto dall’indifferenza e dall’oblio della memoria. Simone Weil sosteneva che dimenticare il passato provoca la lacerazione delle relazioni umane e che ogni società non può esistere se viene amputata dei suoi valori essenziali che ruotano attorno al valore della continuità comunitaria fin dalla nascita della civiltà. Nel pluralismo culturale, ormai senza alternative, la stabilità del radicamento nella propria storia, chiamata ad avere coscienza della propria specificità, diventa quindi essenziale, imprescindibile. Una terra immemore, senza tali pietre miliari, può trasformarsi in landa desolata e arida anche se trabocca di beni materiali: questo è il pericolo immanente che viene dall’omologazione passiva al modernismo senza regole e dialogo, agnostico e relativista. Ed è ciò che gli alpini, orgogliosamente figli e custodi della storia dei loro “veci”, fin dalla prima Adunata sull’Ortigara nel 1920, non vogliono! Proprio con questo spirito a Treviso è stata assegnata l’ADUNATA DEL PIAVE, quel fiume che proprio cent’anni fa divenne “Sacro alla Patria”, ultimo e glorioso baluardo della Nazione dopo la catastrofe militare di Caporetto e la disordinata ritirata delle nostre sfiduciate truppe dal fronte isontino-carsico.

Un’Adunata dedicata al Piave, alla sua gente e al suo territorio con il coinvolgimento diretto delle quattro Sezioni della Marca trevigiana: Treviso, Conegliano, Valdobbiadene e Vittorio Veneto, lambite dal suo corso. Ad ogni Sezione il COA, quindi, ha affidato il compito di approntare degli appuntamenti per comporre il ricco e variegato palinsesto come cornice e corollario alla grande Adunata. Per la Sezione di Conegliano un evento importante, il primo, si è tenuto a Godega di Sant’Urbano. Godega da sempre è conosciuta per la sua vocazione fieristica che fin dal 1343, come attesta un documento conservato nell’archivio di Venezia, è polo di riferimento del settore agricolo-artigianale dell’intero Nordest.

E la sua Antica Fiera, a marzo, poco prima dell’Adunata del Piave, con i suoi oltre 100 mila visitatori provenienti da un bacino molto ampio tra Veneto e Friuli, è diventata per l’occasione non solo vetrina promozionale, ma anche veicolo divulgativo del grande evento. Il programma, coordinato da Giuseppe Benedetti, Presidente della Sezione di Conegliano, il suo vice Aldo Vidotto e Christian Diana, Capogruppo di Bibano-Godega, ha visto questi due importanti momenti:

- Venerdì 3 marzo: Concerto alpino.
I° Concerto congiunto della Fanfara Alpina di Conegliano e del coro sezionale Bedeschi nel Palazzetto dello Sport comunale interamente gremito.
La serata è stata condotta con il suo abituale e coinvolgente entusiasmo alpino da Nicola Stefani, speaker e voce inconfondibile dell’Adunata.

- Sabato 4 marzo:  Raduno intersezionale e inaugurazione Mostra fotografica.
 “Il maltempo non ferma la marcia degli alpini”, così avrebbe titolato il giorno dopo un quotidiano nelle pagine di cronaca locale. In effetti, il cielo accoglieva i tanti convenuti, oltre mille, con aspetto greve e plumbeo, con nubi basse e cariche di pioggia che s’aprivano e si chiudevano minacciosamente sotto improvvise e sferzanti folate di vento. “Tempo da lupi… e proprio oggi” commentava qualcuno scuotendo la testa, riferendosi ai precedenti giorni soleggiati, quasi primaverili, e riparandosi sotto l’ombrello o la loggia del municipio, preoccupato per il buon andamento della cerimonia. Una minaccia incombente che avrebbe scoraggiato chiunque, ma non certo gli alpini che al primo rullo di tamburo, pioggia o non pioggia, si sono inquadrati numerosissimi e in ordine dietro vessilli e gagliardetti per l’inizio della sfilata e per l’alzabandiera al Parco della Rimembranza.

La tromba, dopo la deposizione della corona d’alloro, spande tutt’intorno le note del Silenzio ed ecco improvvisamente aprirsi uno spiraglio tra le nubi d’ardesia, solo un attimo, lasciando trapelare un fugace raggio di sole mentre il vento, come un compagno discreto, scivola frusciando tra gli alpini e con mano leggera ne accarezza le penne, amorevolmente, ad una ad una come se da lassù i Caduti volessero rispondere all’omaggio con un timido saluto di gratitudine. Dietro il gonfalone comunale, assieme al sindaco Alessandro Bonet, vi erano le più alte autorità civili e militari tra cui il governatore del Veneto Luca Zaia, il vicepresidente provinciale Maurizio Bonotto, il presidente nazionale ANA Sebastiano Favero con i presidenti delle quattro Sezioni trevigiane e il T. Col. della Julia Andrea Barzotto. Il corteo, al passo cadenzato dalla fanfara alpina di Conegliano, si è poi snodato per le vie di Godega, paludata a festa, rasentando l’antico Pozzo della Regola simbolo iconico del paese, per poi portarsi alla Fiera.

In coda, il reparto salmerie con i fieri e possenti muli someggiati. Durante il tragitto non è mancata la sosta commemorativa alla stele dedicata all’art. alpino Guido Da Re, deceduto a Gemona nel sisma del 1976. Dopo le orazioni ufficiali, la cerimonia è continuata con il taglio del nastro della Mostra dedicata alla Grande Guerra e al Piave, uno straordinario frutto sinergico di: Comune, COA, Sezione di Conegliano, gruppo alpini di Bibano-Godega, Centro Studi ANA e Museo degli Alpini di Conegliano.

Con circa 700 foto, altro materiale d’epoca e iconico essa ha illustrato gli ingenti danni causati al territorio dalla “guerra in casa”, paese per paese dal Grappa al Mare, le vicissitudini dei profughi e il significato che per le popolazioni della Sinistra Piave, soggette ad una durissima occupazione nel 1917-18, ebbe l’Anno della fame con migliaia di morti per stenti e violenze.

Triste prodromo del concetto di guerra totale in cui i civili, nello specifico donne, vecchi e bambini, patiscono e muoiono quanto i soldati al fronte. Inoltre, ampio spazio documentale è stato riservato alle opere costruite dagli Austriaci nelle retrovie per sostenere l’offensiva sul Piave: la ferrovia Sacile-Vittorio, la “Strada dei cento giorni” (San Boldo), la rete delle decauville, le fortificazioni, i trinceramenti, gli ospedali da campo, gli aerocampi austro-tedeschi… Un capitolo significativo è stato dedicato al territorio di Godega. Godega, pur non in prima linea del fronte, era importante nodo logistico e strategico essendo sede di ben quattro grandi aerocampi austro-tedeschi e dove erano di stanza i migliori piloti nemici quali Brumowski, Fiala, Linke…

E proprio dalla base di Godega si alzò il Phonix austriaco con equipaggio Barwig e Kauer che, secondo quanto conservato nel Kriegsarkiv di Vienna, il 18 giugno 1918 sul Montello abbatterà lo Spad di Baracca durante la Battaglia del Solstizio. E sempre alla stazione di Pianzano-Godega, in quei momenti decisivi per le sorti del conflitto, il 20 giugno giunse l’imperatore Carlo I il quale, nel vagone blindato del treno reale, tenne un drammatico consiglio di guerra con il gen. Wenzel Wurm, comandante dell’Armata del Piave (archivio di guerra austriaco). Constatato che l’offensiva austriaca, ultima e disperata, si era infranta contro la strenua difesa dei nostri soldati, fu deciso il ripiegamento delle teste di ponte inchiodate oltre il Piave, decretando di fatto la fine della battaglia del Solstizio, prologo di Vittorio Veneto, della disgregazione dell’Impero delle Due Corone e del completamento dell’unità nazionale. In particolare alcune vecchie foto riprodotte, istantanee ingiallite che fermano il tempo, hanno voluto mostrare senza veli lo spaccato reale di questo passato e, nel contempo, offrire nella loro espressività la chiave di lettura per scoprire le fondamenta dell’odierna emancipazione sociale e democratica. In sintesi, la Mostra ha voluto essere uno spunto per approfondire, uno stimolo per riflettere, un monito per non dimenticare, mai. E dalle brume di quel periodo bellico ecco riemergere vicende ormai sgranate dagli anni. Storie e volti che vengono dal passato, dal paese dell’anima, e che s’intersecano e si amalgamano con il presente.

Testimonianze che diventano non solo preziose fonti di documentazione, ma che danno corpo e spessore a vicende il cui ricordo è bene tutelare nel cuore delle nuove generazioni prima che le radici della memoria vengano inaridite dall’inesorabile trascorrere del tempo. Oppure che quei fatti comincino a fumigare nell’oblio dei cento anni passati e le tante reminiscenze connesse alle funeste condizioni d’un tempo cadano nell’indifferenza e vengano disperse nel nulla come le foglie d’autunno. Una trasmissione di quelle patrum virtutes, le virtù degli avi, che si possono compendiare in sapienza storica e pedagogica. Un’eredità che i più vecchi davano quale passaggio di consegne ai loro discendenti: le radici e le ali, ossia l’interiorizzazione del proprio passato e nel contempo la voglia di sognare ancora, di volare alto in una proiezione consapevole verso un futuro fatto di nuove conquiste e aspirazioni.

Insegnamenti che a lungo andare sono poi inevitabilmente destinati a riaffiorare ricchi di antica saggezza e marcati da quell’inesauribile forza d’animo, tipica della gente alpina e veneta mai doma o rassegnata, tanto semplice quanto forte e determinata anche in presenza delle prove più calamitose e luttuose.

Idealità da condividere e di cui andare fieri ed orgogliosi, soprattutto se etimologicamente con il termine di Patria si intende la Terra dei Padri, i nostri, ai quali va tributata reverente ammirazione.

Uno scrigno prezioso di qualità umane e genetiche che va conservato e tramandato con amore. Ieri come oggi, in una continuità d’intenti che annulla la curva spazio-temporale perché, come conclude una famosa canta alpina dalla tonalità orgogliosa, “l’alpin l’è sempre quel”.

Giorgio Visentin