GRUPPO COLFOSCO |
maggio 2004 |
Uno straordinario e suggestivo tempio naturale
L’umidità è palpabile, dense nuvole cariche di pioggia sembrano
annunciare una giornata uguale a quella di ieri (un primo Maggio bagnato come
non mai). Uccelli neri volano bassi e refoli di vento, ad ondate intermittenti,
scuotono le fronde degli alberi. Ma don Luigi, insospettabili le sue capacità
meteoprofetiche, rassicura tutti: non pioverà. E gli risponde una cinciallegra
dalla siepe, a ricordare che, a dispetto del tempo pazzo che ci perseguita da
giorni, siamo a metà primavera.
La pioggia non poteva rovinare questa toccante funzione religiosa che si svolge
all’esterno della chiesa di Colfosco, in uno straordinario e suggestivo tempio
naturale. La chiesa non avrebbe contenuti tutti gli alpini e gli amici convenuti
per condividere la festa del gruppo nel giorno dell’inaugurazione della nuova
sede.
Già dalle parole di saluto anche chi non è di Colfosco capisce subito che don
Luigi ama gli alpini del suo paese e ne condivide l’operato conoscendone
profondamente le spirito. Le sue prime parole sono un “bravo” per le penne
nere del gruppo che, dopo aver lavorato e lottato per la loro sede come se fosse
la loro casa, in questi giorni non si sono risparmiati, impegnati in una
frenetica attività per preparare questa manifestazione nel modo migliore.
Davanti al Cristo dell’Isonzo.
Nelle brevi parole che precedono la messa don Luigi
ricorda che, come tutte, anche questa cerimonia alpina è una celebrazione di
pace. Qui tutto parla di quell’immane tragedia che insanguinò l’Italia e
questa terra in particolare. Il panorama ci propone l’ossario di Nervesa, con
le spoglie di 6.000 caduti, e le dolci colline che incombono sul Piave; ed a due
passi da qui affiorano le rovine della vecchia chiesa, monumento spettrale che
più di ogni altro dice della devastazione che sconvolse Colfosco nel 1918.
Padri, figli e mariti caduti in due conflitti: il primo
insanguinò l’acqua del Piave, il secondo quella del Danubio. Combattuti con
esiti diversi ma con lo stesso spirito: non è la vittoria che fa gli eroi ma
eroe è colui che combatte per la pace. E chi predica la pace ama la giustizia.
Le parole di don Luigi sembrano dettate dalla figura del
Cristo dell’Isonzo, collocato al centro di questo improvvisato tempio
all’aperto. L’imponente statua di pietra incombe sul fiume a noi sacro, e
ricorda i caduti del Piave e di tutte le guerre che offrirono l’olocausto
della loro vita per la difesa del focolare domestico e la salvezza della patria.
Le braccia sono protese verso la pianura e dalle sue
forme possenti e quasi esagerate sembra partire un urlo contro tutte le guerre:
non più conflitti, non più nemici da combattere.
Le note dolci e solenni della nostra fanfara
Inevitabilmente questa cerimonia diventa così
l’occasione per ricordare quello che questo paese è stato e la storia di
questa comunità, indissolubilmente collegata ai tragici eventi che coinvolsero
tutta la Sinistra Piave nell’ultima parte del primo conflitto mondiale, eventi
che per i paesi rivieraschi furono ancor più devastanti, storia che sta tutta
nelle parole di cui sono istoriate le pietre del Cristo dell’Isonzo.
La celebrazione è nel segno del ricordo degli amici
alpini che non ci sono più. I canti delle fresche voci della corale
parrocchiale si alternano alle note gravi della nostra fanfara sezionale.
Nonostante gli strumenti non siano i più adatti, il complesso si esibisce
all’offertorio in un magistrale “Va l’alpin” dolce e nostalgico allo
stesso tempo, che coglie impreparato il vecio che mi è vicino fino a
strappargli una lacrima. Ed è ancora una tromba a modulare le amate note del
Signore delle cime durante la recita della preghiera dell’alpino.
Sorprende come la nostra fanfara riesca a garantire il
suo servizio in tutte le numerose manifestazioni sezionali. Dobbiamo riconoscere
che quello del complesso presieduto da Giovanni Carlet è ormai un impegno a
tempo pieno.
Schierata al completo anche la Protezione Civile
sezionale, di cui possiamo così valutare numeri e consistenza. Di essa fanno
parte anche soci del gruppo Colfosco.
“Chiediamo scusa agli Alpini”
Oltre al nostro, i vessilli sezionali di Pordenone,
Valdobbiadene e Vittorio Veneto ed i gagliardetti di 43 gruppi. Sono presenti il
sindaco di Susegana, Gianni Montesel, di Moriago, Breda Pergentino, già sindaco
di Susegana e di Sernaglia della Battaglia, Balliana. Tra le numerose autorità
civili e militari, il presidente della Consulta Associazioni d’Arma e
Combattentistiche di Susegana, Renato Borsotti, una folta rappresentanza
dell'Amm. comunale di Conegliano ed il generale Corrado Cattone,
amico del gruppo.
Preceduta dalla
fanfara, la lunga sfilata fino al monumento dei caduti con deposizione di corona
e le note del Piave. Quindi lo schieramento davanti alla sede.
La nuova struttura si presenta ampia e luminosa ed è situata, manco a dirsi, in
“viale degli Alpini”, e ciò la dice lunga sulla presenza delle Penne Nere
in questo paese.
Cerimoniere Claudio Lorenzet, l’onore dell’alzabandiera è riservato a Paolo Ceotto, per
anni alla guida del gruppo, ed a Luigi Ceotto, socio più anziano. Compare nel
cielo un ultraleggero che lancia sulla sede un mazzo di rose e festoni
tricolori, e ci ritornano in mente le rassicurazioni meteo di Don Luigi quando
un sole splendente spacca le nuvole inondando improvvisamente la pianura.
Seguono
le note di stelutis alpinis in ricordo degli alpini del gruppo che non ci sono
più: non poteva esserci modo più struggente per ricordarli, ed è questo il
momento più toccante di tutta la cerimonia.
Oliviero
Chiesurin non riesce ad andare oltre ai saluti ed ai ringraziamenti ai presenti:
il capogruppo, infatti, cede all’emozione quando ricorda i sei alpini passati
avanti nel periodo in cui la sede è stata costruita.
Il
Sindaco di Susegana ringrazia le penne nere e ricorda gli intoppi, dovuti a
spiacevoli incomprensioni, che ci sono state tra il gruppo e l’amministrazione
comunale. Dando prova di sensibilità, lealtà e coraggio, il primo cittadino di
Susegana chiede scusa agli alpini per essere stati utilizzati in questi anni
come dibattito politico.
Cocciuti peggio dei muli
Montesel riconosce la cocciutaggine degli alpini che, per avere la loro sede, non hanno
voluto arrendersi ed hanno lottato contro tutto e contro tutti. Li invita a
dimenticare tutto quello che è successo ed a continuare nella loro indefessa
attività, che permette a questa comunità di rimanere unita nelle sue
tradizioni.
Il presidente della Sezione Antonio Daminato va oltre: “Gli alpini smuovono le
montagne, perché hanno la testa dura, dura più dei sassi. I muli non ci sono
più ma si sa che hanno trasferito la loro smisurata testardaggine agli alpini.
Dove hanno deciso di arrivare lì arrivano”. Daminato elogia quindi la
Protezione Civile sezionale (“L’appartenenza alla PC è oggi il modo
migliore per vivere la propria alpinità”) ma sottolinea, con una vena
polemica, che la stessa deve essere rispettata dalle amministrazioni comunali.
Il consigliere nazionale Ivano Gentili porta il saluto del presidente dell’ANA
Parazzini. Si complimenta con il gruppo per la bellissima sede e coglie
l’occasione per un discorso sul futuro delle penne nere. Nel 2006 la leva
sparirà completamente e gli alpini sono oppressi dal pensiero sul loro futuro.
L’ANA si sta interrogando se è più giusto tener duro e mantenere le regole
attuali o se è meglio rifondare l’Associazione aprendola ad amici e
simpatizzanti che ne condividano il pensiero e le finalità, affinché questo
patrimonio enorme di valori non vada disperso. La domanda aleggia da tempo in
seno all’Associazione, ma Gentili vorrebbe che un contributo alla risposta
venisse anche da tutti coloro che conoscono le penne nere. Gentili chiude il suo
intervento consegnando la drappella del Consiglio Nazionale a Chiesurin.
Interviene infine il generale Gorza, responsabile della Protezione Civile alpina. La PC
alpina è in forte crescita: 13.000 gli iscritti, 4.000 dei quali veneti. Siamo
quindi un punto di forza delle Regione Veneto e a Venezia lo hanno capito, al
punto che tutte le richieste di mezzi e moderne attrezzature alla regione sono
state recepite in toto.
Si
precede quindi al taglio del nastro, presente la madrina del gruppo Zanco Emma.
Gli applausi si confondono con le note solenni del “33”.
La sede
Per ogni gruppo la sede è
tutto o quasi: è il segno concreto della volontà di lavorare insieme, è
l’indice di fraterna aggregazione, che è una delle caratteristiche peculiari
delle penne nere.
Quella delle sede degli alpini di Colfosco è una storia lunga.
Se, come detto, la sede per un gruppo significa tanto, per le Penne Nere di Colfosco
rappresentava qualcosa di più. Nei lavori di costruzione dell’edificio,
infatti, erano stati coinvolti tutti gli alpini ed alle varie imprese intestate
ai soci venivano assegnati incarichi diversi o a rotazione, in modo che nessuna
fosse esclusa. Si trattava quindi di un’operazione altamente simbolica che
avrebbe riaffermato l’unità e l’affiatamento del gruppo. Qualcuno vi si era
affezionato a tal punto da passare in cantiere l’intera giornata, come Luigi
Ceotto, classe 1914, che ne curava l’ordine e la pulizia, era incaricato
dell’apertura e della chiusura e non lasciava mai il cantiere senza aver prima
stilato un meticoloso e severo rapporto sull’attività giornaliera.
Ma al completamento dell’opera tutto è stato bloccato da
intoppi burocratici assolutamente indipendenti dall’operato degli alpini.
I lavori erano rimasti fermi per anni, e, dopo aver
costruito quella casa con impegno e passione, agli alpini era stato addirittura
interdetto di varcarne la soglia.
Una pagina dolorosa, un sogno svanito, che per un attimo aveva fatto vacillare il
morale del gruppo.
Ma gli alpini di Colfosco la loro sede la volevano e basta! E non hanno mai
mollato.
Il resto della vicenda è tutto nelle parole del sindaco Montesel e del presidente
Daminato.
Il Piave
A poche centinaia di metri il fiume scorre silenzioso. Ora i
rivoli sono effimeri, a volte addirittura invisibili. Ma il Piave ha segnato la
storia di questo paese, nel bene e nel male.
Tanto tempo fa, quando le sue acque non erano ancora state
imbrigliate nelle dighe alpine, il fiume era una importante via commerciale di
cui Venezia si serviva per i suoi traffici in terraferma. Poi, come tutti i
paesi della riviera, Colfosco subì la dura prova della grande guerra, con
l’epilogo della tragica ritirata di Caporetto del novembre 1917: edifici rasi
al suolo, campi devastati dalle granate che provenivano dall’altra sponda,
popolazione costretta all’esodo. E non si è ancora cancellato il ricordo
dell’alluvione del 1966, quando il paese fu sconvolto da una piena.
L’interno della sede è molto curato e personalizzato
come se gli alpini abbiano voluto trasmettervi la loro fisionomia.
In una parete, un grande affresco riprende l’immagine
dell’iconografia alpina di una sentinella in grigioverde: sullo sfondo una
montagna, i cui contorni sono quelli del monte Peralba, dalle cui pendici
muovono i primi rivoli di un fiume.
Una scritta auspica che, ora che non ci sono più frontiere
né sentinelle, gli alpini continuino ad essere “sentinelle di pace” nelle
loro comunità, per un domani migliore.
Oltre un secolo è trascorso, tutto è
profondamente e vertiginosamente
mutato nella pace e nella guerra.
Ma gli Alpini sono ancora sulle loro
montagne, e la loro consegna
è rimasta uguale.
Perché anche le
passioni e gli errori
degli uomini sono rimasti uguali,
e iI mondo è ancora troppo lontano
dal giorno in cui la voce della violenza
sarà spenta e dimenticata per sempre.
Per questo gli Alpini sono tornati al
loro posto di sentinella
vigili della pace, della libertà
e del civile progresso
del nostro vivere.