GRUPPO COLFOSCO |
Dicembre 2009 |
|
|
|
Quando si dice l’attaccamento delle penne nere alla
loro terra ed alle loro tradizioni... Succede a Colfosco, dove riesce difficile parlare della realtà
del paese senza parlare degli alpini che in questa comunità sono attivi da 50 anni.
Chiude così il libro “Alpini a Colfosco” che le Penne Nere del Gruppo hanno dedicato ai soci andati
avanti ed alla gente di questa bellissima terra.
Ed è tutta in queste righe la vicenda di questo attivissimo Gruppo.
L’anno scorso il cinquantesimo di fondazione è stato celebrato nel ricordo di coloro che, nel momento
della ricostruzione di questa nostra Italia, avevano voluto chiamare a raccolta chi portava il cappello
delle Penne Nere per rinsaldare i vincoli di amicizia e di appartenenza a questa comunità e tener viva
la memoria di ciò che questo paese è stato, questo paese segnato in maniera indelebile dalla storia,
perché non si spezzasse quel filo invisibile che lega le generazioni.
Come ha ribadito Oliviero Chiesurin nella prefazione, questo libro ha voluto quindi essere un omaggio
ai fondatori del Gruppo e a coloro che al Gruppo hanno dedicato impegno e passione.
Ma anche il segno di quanto siano legati gli Alpini di Colfosco alle loro colline, alla loro comunità,
legame che muove tutto il loro operare e che, forse, è la loro principale ragion d’essere.
Da queste pagine affiorano le immagini del tempo di guerra e di pace, i momenti del lavoro e della festa,
le ore del pane e del vino, del dolore e della gioia, immagini di case, strade, rive, boschi, di chiare
ghiaie, e di quel fiume che ora scorre silenzioso in rivoli effimeri ma che ha segnato tutta la storia
di questo paese, di distruzione e di rinascita. Immagini di un paese che ha voluto conservare la sua
cultura e le sue tradizioni, al di là delle devastazioni subite 90 anni fa e dell’odierna sollecitazione
della società telematica che vorrebbe definitivamente cancellata ogni traccia del passato.
La presentazione si è svolta in un teatro-tenda allestito davanti alla sede, troppo piccola per questa
manifestazione, ed è stata l’occasione per una bella serata alpina. Con il consueto tono appassionato,
Nicola Stefani (noi lo speaker nazionale ce l’abbiamo in casa) davanti ad una platea attenta e molto
numerosa ha introdotto e commentato alcuni brani, momenti importanti del gruppo, vicende di uomini e
storie della terra in cui queste vicende si sono consumante. Brani poi letti da Toni Menegon e
Franco Moretto, cui hanno fatto da colonna sonora le cante alpine del coro ANA di Vittorio Veneto.
Struggenti le note a commento del racconto in cui si narra di Antonio Fornasier che, in Russia, depone il
primo fiore sulla tomba di migliaia di alpini italiani caduti nella battaglia di Nikolajewka, e quelle di
Penne Mozze a ricordo della visita al bosco di Cison di
alcuni soci del Gruppo presso le cinque stele dei caduti alpini di Colfosco.
Tante vicende, tanti protagonisti, a cominciare da Tiziano Montesel che ci fa rivivere gli attimi rimasti
indelebili nella sua memoria quando,
prigioniero dei Tedeschi dopo l’otto settembre ‘43, mise in atto un coraggioso e rocambolesco tentativo di fuga dal
vagone di un treno fermo nella stazione di Conegliano, che gli consentì di evitare la prigionia in Germania e
riabbracciare la famiglia.
Ed il Moro (Lino Dalle Crode) con la sua inseparabile fisarmonica,
colonna sonora delle feste del Gruppo e dei concerti spontanei
che animano le adunate degli Alpini. E sono state proprio le note
della sua fisarmonica a seguire la lettura del brano dove si racconta
che nell’Adunata di Genova 2001 in una fumosa osteria il famoso
maestro Gaccetta, ultimo erede della scuola di Paganini, sentenziò
che il Moro e la sua fisarmonica erano ok. Trovandosi per la prima
volta ad esibirsi davanti ad un pubblico ben diverso da quello
chiassoso della festa, Lino ha avuto un attimo di esitazione
(“Dio me perdòne”).
Poi le note di Figli di nessuno intonate dal suo
magico strumento sono volate alte, finendo per coinvolgere il
coro e parte del pubblico.
E la storia di Giorgio Pompeo, che si trovò, durante la naia (primavera
’57), protagonista di una vicenda unica ed irripetibile
assieme agli artiglieri ed ai muli della sua batteria in un set cinematografico
di Venzone, dove un noto regista americano stava
girando “Addio alle armi”, un film tratto dall’omonimo romanzo di
Ernest Hemingway.
Dopo i saluti ed i ringraziamenti, le tre ultime guide del
Gruppo, Chiesurin Oliviero, Ceotto Paolo e Collotto Angelo,
hanno consegnato copia del libro ai familiari dei primi tre capogruppo,
Zanardo Attilio, Zago Giovanni e Trentin Virginio, a suggellare
quella continuità tra le generazioni di alpini che hanno
operato in questo paese, continuità di cui sono permeate tutte
la pagine di “Alpini a Colfosco”.
Poi, come succede in ogni incontro alpino che si rispetti,
l’interno della sede ha raccolto quanti è stata in grado di raccogliere
perché si perpetuasse quanto è scritto in un racconto
del libro: “Gli alpini sono gente sbrigativa e che non guarda al
sottile, spiccano per la loro fantasiosa approssimazione e non
sono certo famosi per la raffinatezza della loro cucina. Ma in una
cosa sono insuperabili: la pastasciutta al ragù.
Il successo è
garantito dal fatto che è sempre il loro piatto del giorno: qualunque
sia l’incontro, qualunque sia il livello dei commensali, alto, medio, normale,
il primo piatto è sempre lo stesso: pastasciutta al ragù”.
Perché anche questa
volta di pastasciutta al ragù si è trattato.
Il tutto sottolineato da altri canti alpini del coro ANA, seguiti
da quelli degli Alpini presenti, canti protrattisi ben oltre le canoniche
ore di un normale congedo
serale… dlmgfr
(O.C.)
Paolo Ceotto, ex capogruppo, premiato da Chiesurin |
Ho visto un gruppo di alpini nascere dalle vicende della guerra e passare il testimone ai figli con la promessa di mantenere alto il loro nome ed onorare la nostra bandiera. L’ho visto crescere con orgoglio anno dopo anno, mantenendo fede alle promesse nel segno dello stile di vita ereditato. L’ho visto impegnato in opere di solidarietà e farsi promotore di iniziative benefiche a favore di chi non aveva nemmeno la voce per chiedere. Ho visto i suoi alpini distinguersi per senso civico, organizzatori instancabili di iniziative per tener vive le tradizioni popolari di questa comunità. Li ho visti impegnati in interventi di restauro e di difesa dell’ambiente per valorizzare opere e luoghi di questo paese. Li ho visti correre dove l’emergenza chiamava, anche fuori dal territorio nazionale, incuranti delle barriere geografiche e culturali. Li ho visti costruire con amore, pietra su pietra, la loro e l’altrui casa. Li ho visti con il cappello in mano pregare davanti ad un crocifisso o all’immagine della Madonna. Li ho visti fieri alle note dell’inno nazionale, commossi a quelle della Leggenda del Piave, piangere quando il silenzio, suonato da una tromba, salutava l’amico andato avanti. Nel mio ricordo affiorano immagini nitide di giornate di impegno e di lavoro. Ma non avverto clamori, solo qualche lontano ed impercettibile brusio. Perché gli alpini, boce e veci, lavorano in silenzio.
(Paolo)