GRUPPO COLFOSCO |
Dicembre 2009 |
La famiglia Bortoletto (al centro Moreno con il cappello del padre), alpini del Gruppo Colfosco
ed il Vice Presidente della Provincia di Treviso Floriano Zambon
Narra una leggenda che nel Paradiso dove riposano gli alpini “andati avanti”, in occasione dell’Adunata c’è grande
animazione. All’alba della domenica gli ospiti del Cantore prendono posto in una immensa tribuna per assistere alla
sfilata. L’emozione è forte, anche se contenuta, ma può accadere che, all’improvviso, un alpino ceda alla commozione ed
alle lacrime.
La sfilata rappresenta il momento più alto dell’Adunata: sfilando con il suo cappello (quel cappello che è tutto per un
alpino, quel cappello che ti hanno messo il primo giorno di naja e poi non sei più stato capace di liberartene) ogni
alpino rinnova il suo patto di appartenenza e racconta la sua storia. Perché ogni Sezione, ogni Gruppo, ogni alpino ha
la sua storia da raccontare.
E così scorrono mille storie all'interno di una sfilata. Tra queste c'è quella, forse non tanto nota, degli
”infiltrati”. Gli infiltrati sono coloro che sfilano col cappello pur non essendo alpini. Ma ci sono anche alpini che
sfilano con un cappello che non è il loro.
È il cappello del padre, del nonno, di un amico che non c’è più, e quel giorno sarebbe stato felice di sfilare ancora
una volta per dire al mondo il suo orgoglio di essere alpino. Tra le storie che racconta una sfilata, questa, quella
degli infiltrati, è forse la più alpina, la più toccante. Perché non c’è maniera migliore per ricordare un alpino andato
avanti.
Può capitare allora che dagli spalti di quella smisurata tribuna del Paradiso di Cantore un alpino scorga all’improvviso
ondeggiare il suo suo cappello tra penne nere che passano. Silenziose lacrime solcano allora il suo viso. Lacrime di
gioia.
***
Lino Bortoletto ai tempi della naja.
Lino Bortoletto nasce a Colfosco. Classe 1932, nel 52 svolge servizio militare a Tolmezzo, Brigata Julia.
In occasione di un viaggio a Latina, dove scende per trovare dei parenti, conosce Severina. C’è un pezzo di Veneto in
quegli anni nel Lazio. Anni prima intere famiglie di coloni sono giunti da ogni parte d’Italia, a costruire Littoria, la
nuova città che poi sarà chiamata Latina. Ma è soprattutto la bonifica dell’Agro Pontino, terra di paludi e di malaria,
trasformata in fertile zona di coltivazione agricola, ad essere legata alla vita e al sudore delle genti arrivate dalle
nostre parti.
Dei quasi tremila poderi messi a disposizione nell’Agro Pontino ben 1440 sono stati infatti affidati a famiglie di
coloni veneti, emigrati dalle nostre campagne, per essere bonificati.
Storie di grande fatica, di un lavoro duro e povero, per cambiare l’aspetto di un territorio e renderlo utile per creare
nuova occupazione.
Così la popolazione della provincia di Latina è per circa la metà di origine veneta, e la stessa famiglia di Severina
proviene da Giavera del Montello.
Lino e Severina si fidanzano e nel novembre del 1960 si sposano. Come da tradizione di allora, la cerimonia si celebra
nella chiesa della sposa, in Borgo Montello a Ferriere, comune a 30 km da Latina, dove c’è anche Borgo Piave e Borgo
Grappa a ricordare l’emigrazione e la presenza delle famiglie venete. La famiglia si trasferisce quindi nella casa
paterna di Lino, a Colfosco, ed è presto allietata dalla nascita di Loriana e Moreno. Ma intanto la campagna del padre
di Severina si è ingrandita, e servono forze giovani, così Lino e la sua famiglia si trasferiscono definitivamente
nell’Agro Pontino, quando Loriana ha due anni e Moreno alcuni mesi.
Poco tempo dopo a causa di una grave malattia Lino Bortoletto “passa avanti”. Severina reagisce alla tragedia con
tenacia, dedicandosi prima ad allevare i due piccoli figlioli e sobbarcandosi poi l’impegno della costruzione di una
casa spaziosa che servirà da futura dimora ad entrambi i figli. Oggi Loriana e Moreno si sono fatti una famiglia ed
abitano proprio in quella casa.
Per una scelta tanto intelligente quanto sensibile, l’Adunata alpina 2009 si tiene a Latina, per riannodare dei fili tra
la comunità veneta e quella laziale, per ricordare quella grande avventura che lega gli alpini con l’Agro Pontino, per
ricordare che nell’immane opera di bonifica di quelle terre c’erano anche le penne nere, ed omaggiarne il sacrificio
messo in campo, anche in termini di vite umane.
Per le vie di Latina con gli alpini sfilerà un pezzo importante della storia, della tradizione, della cultura di questa
città. I giorni dell’Adunata nei borghi della città riecheggerà il nostro dialetto, e sarà quasi come essere in terra
veneta.
Ricordo l’amicizia che legava la mia famiglia a quella di Lino Bortoletto, eravamo vicini di casa quando dimorava a
Colfosco. Ricordo di averne apprezzato la bontà e lo spirito di sacrificio che lo aveva portato anche ad emigrare in
Francia.
Arrivati a Latina per l’Adunata il mio primo impegno è raggiungere Borgo Montello di Ferriere, dove, in compagnia di
Sandro Soldan, faccio visita a Severina ed alla sua bella famiglia.
L’incontro avviene nel ricordo di chi non c’è più e la commozione, alimentata da mille ricordi, è fortissima. Lei parla
ancora il nostro dialetto, Loriana e Moreno si sono integrati nella parlata romana, ma sembrano divertirsi a farsi
scappare qualche parola che si sente ormai solo sulle due sponde del Piave. Poi Moreno sparisce e ritorna con un
cappello alpino.
Non è il suo, lui la naia l’ha fatta nella fanteria, è quello del padre alpino.
Quel cappello è stato gelosamente custodito negli anni come una reliquia, ha occupato il posto più importante nello
scrigno dei ricordi. Perché Lino ne andava fiero.
Moreno ci chiede se domenica potrà sfilare con il cappello del padre. E noi felici di potergli dire di sì...
La commozione si stempera nella gioia di esserci ritrovati. Severina vorrebbe ospitare tutto il Gruppo Colfosco a casa
sua ma siamo in troppi ed il giorno dopo tocca a lei, con tutta la sua famiglia, esser nostra ospite nella tenda dove
siamo accampati a Latina.
Domenica Moreno ha sfilato nelle fila del Gruppo Colfosco con il cappello del padre, mentre il resto della famiglia
aspettava il suo passaggio sotto il sole oltre le transenne. Ed ho avuta la sensazione che quello che mi sfilava accanto
fosse Lino.
Come se non fossero passati gli anni, come se facesse sempre parte del Gruppo Colfosco.
Ed è stata una sensazione bellissima. E ora nel mio ricordo quella di Latina rimane l’Adunata più bella.
Paolo Ceotto