GRUPPO PARE' |
Dicembre 1997 |
Il 19 Luglio i diciannove coraggiosi erano pronti ad affrontare i sei rifugi
decisi a tavolino, in sede. Tutti attrezzati e con le macchine cariche ci
siamo trovati all'imbocco dell'autostrada convinti (noi non del tutto) di ciò
che ci aspettava dopo il nostro arrivo nelle Dolomiti.
Vi
chiederete chi siamo! La risposta è presto detta: due ragazze di 14 anni con
poca esperienza della montagna ma con tanto entusiasmo se pur poca voglia di
camminare.
Dopo
il viaggio in macchina durato soltanto un'ora e mezza siamo giunti ad Auronzo
dove ad aspettarci c'erano già altri alpini giunti sul luogo di buon mattino.
Fra questi, anche il più anziano, l'ottantatreenne Cav. Zanella.
Dopo
aver lasciato le macchine presso il suo appartamento, ci siamo apprestati a
prendere il pullman, che ci ha portato, passando per il Lago di Misurina, al
rifugio Auronzo dove tirava un vento freddo, quasi gelido, tipico della
montagna, che però non ha ostacolato la nostra escursione.
Zaini
in spalla abbiamo iniziato il nostro cammino convinte di trovare il rifugio
Lavaredo dopo la prima curva; ciò che ci aspettava però era ben più di una
curva.
Ben
presto giungemmo al secondo rifugio dove sostammo per un piccolo spuntino, e
dove i nostri vecchi stapparono la prima bottiglia di vino e ci indicarono il
seguito del sentiero che ci avrebbe condotti alla forcella Lavaredo.
Ripartiti,
superando una salita niente male, arrivammo lassù da cui si poteva vedere, in
lontananza, dove avremmo trascorso la nottata: il rifugio Locatelli, e al
nostro fianco le maestose Tre Cime di Lavaredo.
Il
ricordo che più ci rimarrà di questa forcella sarà il fastidioso vento che
ci costrinse ad indossare le giacche a vento. Dopo aver aspettato il più
piccolo della compagnia, il coraggioso Andrea di 9 anni, riprendemmo la strada
che, sempre più insidiosa, ci conduceva al rifugio.
Giunti
al Locatelli, un rifugio con vista sulle Tre Cime, finalmente posammo i nostri
zaini pesanti, esplorammo le camere e ci preparammo per la cena. Ci
aspettavamo fosse completa ed abbondante e che soprattutto ci riservasse i
famosissimi canederli. Non c’erano, ma, causa la fame e la fatica, ci andava
bene tutto.
La
sera lassù arrivò presto, ci rintanammo nella nostra mansarda dove ci
aspettavano sei bei letti a castello. A loro però non davamo importanza,
infatti ci fu chi, come noi, giocò a carte, altri fuori si misero a cantare -
come al solito - insieme ad una compagnia di Castelfranco, accerchiati da un
paesaggio da favola. Quella sera, su quei monti d'incanto, splendeva una
bellissima luna piena, assieme alle sue innumerevoli stelle: uno di quei
paesaggi che si vedono solo nei film. Rientrati quasi tutti, dormire fu
davvero difficile, i bicchierini di grappa venivano consumati man mano tra una
barzelletta e l'altra, fino a quando i più anziani imposero il silenzio
ricordandoci di ciò che ci avrebbe aspettato l'indomani.
E
l'indomani arrivò troppo presto! Infatti la sveglia suonò all’alba. Dopo
una sostanziosa colazione arrivò il momento di incamminarci per affrontare
una vetta alquanto imponente che però ci riservava anche dei meravigliosi
paesaggi: al di sotto dei nostri piedi si potevano scorgere due laghetti
formati dalla neve appena sciolta che, imperterrita, era avvinghiata al suolo
intralciandoci il passaggio. Giunti alla forcella e soprattutto raggiunti i più
esperti camminatori sostammo ad ammirare le stupende valli che ci
circondavano, accompagnati da un delizioso reintegratore vitaminico, mentre i
soliti sorseggiavano del buon vino, osservando le marmotte che ai piedi della
montagna sfrecciavano sul prato.
Ripreso
il cammino con più calma, chiacchierando, cantando e (si sa chi) continuando
a bere vino, siamo saliti fino al piccolo rifugio dove abbiamo capito che la
parte più buona del viaggio ci stava aspettando nei rifugi successivi: al
Cengia arrivò l'ora del tanto sospirato strudel e del delizioso the con il
rum, mentre dopo un'altra ora e mezza di duro cammino, al rifugio Sigsmondo
Comici, da cui proveniva un profumo invitante, ci aspettavano i più buoni
panini con lo speck e con il formaggio. Dopo esserceli gustati, ripartimmo
alla conquista dell'ultimo rifugio, vale a dire il Carducci, dove speravamo in
un pranza alquanto abbondante: la lunga camminata, con tutte le nostre
fatiche, ci aveva fatto fare una fame da lupi. Arrivati, constatammo che le
nostre speranze potevano concludersi con una bella (e soprattutto buona)
mangiata di tipici cibi montani (eccetto i Canederli). Così la nostra
avventura era quasi conclusa, mancava solamente il viaggio di ritorno, che
doveva essere breve - almeno nella nostra mente lo immaginavamo così - ma si
rivelò lungo e non sempre facile da percorrere; ma quanta soddisfazione
vedendo al di sopra di noi le montagne e sentendo scorrere il gelido ruscello
che ci ha accompagnate fino a valle. Durante il nostro cammino abbiamo
incontrato anche dei tedeschi che dopo una bevuta di birra hanno affrontato
l'arrampicata Cengia Gabriella per il rifugio Berti.
Si
continuava a camminare ma la fine non arrivava mai, la valle sembrava non
esistesse e di questo i nostri piedi se ne erano ben resi conto, però tutto
era troppo bello! Natura ovunque si guardasse e soprattutto quel desiderio di
libertà che sembrava avverarsi, lassù: infatti, di problemi non ce
n’erano, a parte quello dei piedi; la mente riusciva a vagare con semplicità
mentre si ascoltavano i suoni che la natura emetteva, se dobbiamo dire la
verità, ci sentivamo proprio qualcuno. Attraversati ruscelli, frane e dopo
aver odorato il profumo dei baranci, finalmente arrivammo.
C’era
però un problema: non eravamo tutti presenti all'appello, mancavano infatti
il Cav. Zanella ed il nostro capogruppo Claudio Lorenzet. Preoccupati per i
due si decise di andare a vedere che fine avessero fatto e quindi uno di noi
risalì il sentiero mentre gli altri si ritrovarono alle auto per cambiarsi e,
ovviamente, per rinfrescarsi il palato. Circa un'ora dopo i “dispersi”
arrivarono e tutti assieme e si finì nell’appartamento del Cavaliere a
rifocillarsi con qualche buon panino col salame. Pochi alla volta si andò via
tutti, per la strada che ci avrebbe condotti a casa con le gambe a pezzi ma
orgogliosi della nostra missione.
In
conclusione, voi lettori potreste dedurre che tutto è andato per il meglio ma
purtroppo non è così. Infatti all'arrivo a casa ci aspettava la notizia
della scomparsa del nonno del più giovane della compagnia, il signor Antonio
Corrocher. Proprio a lui vorremo dedicare il ricordo di queste due
meravigliose giornate.
Sigalotti Federica
Miraval Barbara