GRUPPO PARE' |
Settembre 1998 |
Due giorni di vacanza tra le montagne che hanno visto combattere i morire
tanti nostri soldati, nel racconto della figlia di un nostro socio alpino.
Finalmente il giorno era arrivato: 27 giugno partenza per Passo
Falzarego.
Ho chiuso lo zaino con la solita preoccupazione di aver dimenticato
qualche cosa, ma comunque oramai non c’era più posto per nulla.
Ci ritroviamo per la partenza all’una, ma già qualcuno ci precedeva in
autostrada. Alle tre siamo a sul Falzarego, un viaggio tranquillo, più o meno
caldo a seconda di chi aveva o no il condizionatore in macchina: noi eravamo tra
gli sfortunati e vi assicuro che quando sono scesa ho tirato un sospiro di
sollievo, quanto l’afa era soffocante.
Non sapevo come si sarebbe svolto il week-end, in quanto mio padre era
stato un po’ sul vago nel darmi le spiegazioni: si partecipa con il
presupposto di camminare. Ma quando abbiamo visto la funivia, tutti siamo stati
d’accordo sulla via da prendere, dopo qualche commento di sarcasmo (eventuali
base aeree nelle vicinanze): le porte della cabina si chiusero e nessuno poté più tirarsi indietro.
L’arrivo al Rifugio Lagazuoi a quota 2752 m. fu per tutti un gran
sollievo: la veduta, per quanto ci è stato possibile ammirare (già le prime
nubi stavano salendo) toglieva il respiro per la sua magnificenza, sembrava di
essere sulla vetta più alta: avevamo alla nostra sinistra il gruppo di Fanis
col Gran Lagazuoi (m. 2835), l’imponente Tofana di Rosez (m. 3293), il gruppo di Sorapis (m. 3205), l’Antelao (m. 3263), il Pelmo
(m. 3168) e di fronte il gruppo del Civetta (m. 3218), le Pale di San Martino
(m. 3185) e verso destra la Marmolada (m. 3342) ed il Gruppo del Sella (m.
3151).
Dopo aver scaricato gli zaini, il primo pensiero fu la partita dei
mondiali di calcio: qualcuno già s’era interessato della presenza di un
televisore ed il gestore del rifugio come per magia aprì le porte di un armadio
intagliato: fu il silenzio più assoluto, con divieto di intralciare la visuale,
sembrava di essere ritornati a casa.
La cena servita modo ordinato, tutto rimane tranquillo finché non si
accennano i primi canti alpini. Basta poco, l’atmosfera è già carica ed il
coro coinvolge tutti gli ospiti del rifugio.
La notte si era preannunciata burrascosa ed infatti dormire fu difficile:
i canti continuavano anche nelle camerate e quando questi, alla lunga, tacquero,
qualcuno continuava a farsi sentire in altro modo… tutta la notte.
Il risveglio, per così dire, fu all’alba e prima di colazione tutti e
22 facemmo l’alzabandiera di fronte alla croce che ricorda i caduti in guerra.
Poi, in attesa delle nostre guide, abbiamo avuto anche il tempo di prendere
qualche raggio di sole, nell’ampio terrazzo antistante il Rifugio
Le guide ci fecero un sacco di raccomandazioni, ci fecero indossare
l’elmetto di protezione, che più tardi si rilevò indispensabile per le
nostre teste. Dopo averci imbragati ben bene, partimmo lungo il sentiero,
scortati da una colonna di circa 300 reclute U.C. (Sottufficiali dei
Carabinieri) anch’essi lì in quella giornata uggiosa per la vista alle
grotte.
Il Lagazuoi, durante la prima guerra mondiale fu teatro di accaniti
combattimenti, la cima era presidiata dagli austriaci, come del resto gran parte
delle altre. Per conquistarla il comando italiano realizzò una galleria
all’interno della montagna. I lavori durarono circa 6 mesi, durante i quali
vennero scavati ben 1100 metri di galleria principale oltre ai condotti
secondari per le prese d’aria e per il versamento del materiale di scavo.
L’idea delle truppe italiane era di conquistare almeno la cima Lagazuoi,
perché situata in posizione strategica. Fu così che nel giugno 1917 venne
fatta esplodere una grossa mina, per la quale vennero impiegati 33.000 kg. di
tritolo. Essa permise di conquistare l’antecima della montagna, dalla quale
però non riuscirono a proseguire. La meta fu mancata anche per colpa delle
strategie di guerra del comando italiano, che si prefiggeva di proseguire a
piccoli passi in avanti e per questo si impiegava molto tempo nei lavori di
costruzione degli avanzamenti.
Anche oggi si possono vedere attraverso le cenge del percorso i resti di
costruzioni che servivano come alloggi per i soldati, durante questi
interminabili lavori di scavo.
La galleria non completamente collegata, termina sulla cengia Martini, così
chiamata in ricordo del Comandante che l’aveva occupata. Allora era una
postazione strategica per la presa della cima.
Era molto interessante ascoltare la guida, mentre raccontava certe
strategie che venivano adottate per confondere gli austriaci sul proseguimento
dei lavori. Questo avveniva anche dalla parte del nemico: è risaputa
l’esistenza di una galleria austriaca che risultò inservibile appena dopo la
costruzione, ma illuminata per tutto il periodo dell’occupazione, in quanto
teneva occupati parecchi soldati italiani solo per sorvegliarla.
Il cammino lungo il sentiero si è concluso sotto la pioggia scrosciante,
quasi volesse lavarci via la tristezza che quei luoghi ricordano, per quella
gente mandata a morire sui monti, talvolta di freddo più che di pallottole,
lontani dalle loro famiglie oppure così vicini, come quei soldati di Cortina,
arruolati sotto gli austriaci, ma col dolore di non poter raggiungere i propri
cari per non essere considerati disertori.
Dietro di noi sempre le reclute, per niente affaticate, ma con
un’espressione seria del viso, quasi a dimostrare di aver ben compreso il
dramma consumato in quei luoghi, essendo consci, loro, di essere solo dei
visitatori. Per fortuna.
Sulla strada del ritorno abbiamo fatto qualche tappa di ristoro, con una
breve sosta al Castello di Andraz, sul Col di Lana, attualmente in restauro.
Castello di antichissime origini, costruito su uno sperone roccioso, in un punto
strategico per il controllo dei movimenti dei nemici, nei periodi delle guerre
dei secoli precedenti.
Mentre ci salutiamo, stiamo già pensando alla prossima escursione. Non
importa il luogo, l’importante è stare insieme, vedere luoghi che portano
segni indelebili di storia, conoscere un po’ di più il passato, farne anche
tesoro. Chissà che ricordando certi errori non li commettiamo più.
Quest'anno
la nostra gita ha avuto come meta Passo Monte Croce, dove abbiamo visitato
quanto rimane delle opere di difesa costruite sul Freikofel. Ci ha
accompagnato nella visita il sig. Lindo Unfer, con la sua inseparabile
cagnetta. Prima di ritornare a casa siamo stati a visitare anche il Museo. |