GRUPPO SAN PIETRO DI FELETTO |
Giugno 2016 |
L’eremo camaldolese di Rua di Feletto risale al 1670 e fu soppresso
nell’Ottocento da Napoleone. Attualmente ne restano solo alcune parti, tra cui
quattro celle, il refettorio e l’albergo dei poveri, dove ha sede il municipio.
Quelle celle furono per due secoli simulacri vuoti e abbandonati, tre di esse lo
sono ancora. Eppure tra quelle strette mura si sono formate generazioni di
scolari. Fino a 55 anni fa la prima cella ospitava le poste del paese, nelle
altre tre si svolgeva l’attività didattica delle scuole elementari, e le cinque
classi si alternavano in turni mattutini e pomeridiani.
Dal 1989 una delle celle è la sede del Gruppo alpini San Pietro. Con i suoi
(nemmeno) 40 mq è la sede più piccola tra i Gruppi della Sezione.
Fin dalla rifondazione (1960) la sede era il tinello di casa del capogruppo
storico, Narciso Piccin.
Erano gli anni della ricostruzione, ma il ricordo del conflitto, delle
sofferenze e delle distruzioni gravava ancora sulla vita di tante famiglie e i
reduci che avevano vestito il grigioverde volevano mantenere vivo quello spirito
di corpo nato nei lunghi mesi della guerra.
Il Gruppo alpini San Pietro non mosse quindi i primi passi in una fumosa stanza
dell’osteria del paese, come per la maggior parte dei Gruppi del Coneglianese,
ma l’atmosfera era la stessa, con la torta, i biscotti e il vino che la moglie
di Narciso, Elide, metteva in tavola alla fine delle riunioni. E poteva anche
accadere che qualcuno intonasse una nenia alpina, a ricordare i difficili
momenti vissuti da qualche reduce presente. Ogni anno in occasione
dell’uccisione del maiale la signora Elide organizzava anche uno spiedo per i
soci del Gruppo, personaggi che per la loro allegria, l’ottimismo e forte tratto
umano finirono per diventare un punto di riferimento per il paese.
Narciso Piccin, nessuno ha dimenticato la sua passione e fede alpina. Alla sua
memoria è dedica la sede.
Dove c’è un paese…
Terra di vigne al sole e di colline coltivate, il Felettano conserva un forte
legame con la tradizione contadina.
San Pietro, uno scenario tutto da scoprire, paesaggi suggestivi, balze disegnate
da infiniti intrecci di vigneti, un’opera d’arte fatta di filari di incantevole
bellezza, una terra dove è la vite, che si rinnova al sole come si rinnovano le
stagioni, a marcarne la storia.
E quando arriva il tempo della vendemmia ecco ripetersi la secolare tradizione
di un rito festoso, mentre umori mostosi impregnano l’aria, il verde lascia
spazio ai colori d’autunno e i filari spogli aggiungono armoniose e perfette
geometrie alle geometrie dei campi.
Le sue chiese e quelle quattro celle racchiudono storie e ricordi di un mondo
che non tornerà più ma che ha segnato le generazioni di questa terra.
La bellezza di quella pieve con i suoi affreschi, l’ampio porticato, dove spicca
l’originalissimo “Cristo della domenica”, il campanile da dove per secoli sono
partiti i segnali che regolavano i ritmi della vita. Luogo di culto e di
socialità, attorno alla sua chiesa il paese muta e si ritrova, per rivivere la
continuità della sua cultura e le Un baluardo di 40 mq per gli alpini di S.
Pietro sue tradizioni, per rinnovare il ricordo collettivo da cui affiorano le
immagini del tempo di pace e del tempo della guerra, i giorni del lavoro e
quelli della festa, le ore del pane e del vino. Scegliendo come sede la piccola
cella dei Camaldolesi le penne nere di San Pietro hanno voluto dimorare dentro
la loro storia.
Si sa, infatti, che un tratto degli alpini è di essere custodi della memoria e
delle tradizioni della loro terra.
E così anni fa il Gruppo si è fatto carico del delicato restauro del capitello
di S. Antonio, lì dove si apre quella piazza in cui sembra aleggiare ancora lo
spirito di una figura che qui era di casa e che sarebbe poi passata alla storia
col nome di “Papa buono”.
E a Rua gli alpini hanno ricollocato il crocefisso all’entrata di quello che era
il grande eremo camaldolese, con la pietra dove si ammonisce di scomunica la
donna che l’avesse oltrepassata.
Per rispetto della storia del loro paese e per ricordare cosa questo paese è
stato.
L’attaccamento delle penne nere alla loro terra e alle loro tradizioni: a San
Pietro riesce difficile parlare della realtà del paese senza parlare degli
alpini che in questa comunità sono attivi da 80 anni. Scorrendo le pagine della
loro storia, infatti, si scopre che questa è anche la storia del paese.
Non c’è, infatti, momento di impegno sociale, culturale, solidale, ricreativo
che non veda la presenza delle penne nere di Rua e San Pietro. E' questo lo
spirito che li ha guidati per 80 anni. 80 anni sono stati un impegno attivo per
la comunità, impegno che li vede sempre in prima linea in tutte le
manifestazioni, pronti a fornire in ogni momento la loro organizzazione e il
loro supporto logistico a chi li chiama, e loro stessi promotori di iniziative
che tengono vive le tradizioni, fedeli al motto “dove c’è un paese lì ci sono
gli alpini”.
Sporcarsi le mani
Il nuovo parroco, don Adriano, non si è ancora insediato nelle parrocchie del
Felettano, ma ha voluto celebrare la messa per l’80mo.
Ha ricordato di essere figlio e fratello di un alpino, di sapere che alpinità
significa amicizia, solidarietà, gratuità, condivisione, amore per la propria
terra, e di conoscere il ruolo importante nelle comunità in cui gli alpini
operano, quegli alpini che tengono in gran conto il ricordo rispettoso del
passato e delle sofferenze, del sacrificio di chi ha dato la vita per il dovere
e il bene prezioso della pace, quella pace di cui le generazioni di oggi possono
godere.
Gli alpini vivono con grande impegno anche il presente, con l’attenzione per le
sofferenze e le situazioni di emergenza, dove arrivano sempre, in silenzio e
senza clamore, senza paura di sporcarsi le mani.
Sporcarsi le mani, nel fango, nella polvere delle macerie, avere il coraggio di
farsi carico del disagio altrui, anche se ciò significa andare controcorrente
rispetto ai messaggi che la società attuale propone in continuazione.
Le parole di don Adriano sono musica per le orecchie degli alpini che riempiono
le navate della chiesa di Rua.
Negli sguardi che si incrociano compiaciuti si legge: “sto qua l’è dei
nostri”.
Prima della messa la sfilata e l’alzabandiera, bandiera che è subito stata messa
a mezz’asta in ricordo delle vittime di poche ore prima a Parigi in quella
strage che ha scosso l’Europa.
Nel successivo sfilamento verso il municipio il corteo ha sostato davanti al
campanile ove una pietra ricorda il sacrificio degli avieri caduti proprio in
quel punto nell’ultimo anno del primo conflitto mondiale.
Irrompe così nella manifestazione il ricordo della Grande Guerra che proprio da
queste parti ebbe il suo epilogo finale.
La nostra millenaria civiltà cristiana.
La lapide dei caduti (è stata restaurata e ricollocata anni fa proprio dagli
alpini) è lì a ricordare che anche qui la guerra presentò il conto, un conto
salatissimo se è vero che il lungo elenco sembra addirittura esagerato per un
paese come San Pietro.
L’omaggio ai caduti è accompagnato dalle note eseguite dalla “1906 Feletto
Band”, il complesso musicale sorto dalle ceneri del Corpo Bandistico di San
Pietro di Feletto, nato i primi anni del secolo scorso e scioltosi nel 1996.
Il Piave, e l’Inno di Mameli: il complesso musicale per l’occasione ha saputo
adattarsi al repertorio in maniera magistrale, ed è palpabile la commozione alle
note del 33. Perché anche l’alpino più duro a quelle non sa resistere…
Dalle parole del sindaco Loris Dalto si coglie quanto sia vitale per San Pietro
questo piccolo Gruppo, mentre il presidente Benedetti ricorda con orgoglio
l’impegno di tutti i Gruppi per le numerose manifestazioni che ha visto
impegnata la Sezione per il 90.mo.
Molto appassionato l’intervento del presedente ANA Favero che ha voluto onorare
con la sua presenza questo compleanno. Rivendica con toni forti il ruolo degli
alpini nel difendere i nostri valori, i valori della “nostra millenaria civiltà
cristiana”.
Come detto, incombono come macigni le drammatiche immagini degli attentati in
Francia, e la presa di posizione del presidente nazionale è ferma: non
rinunceremo mai a quelle parole della Preghiera dell’Alpino troppo spesso messe
in discussione. L’alpino è armato di fede e di amore e usa la sua forza non a
offesa ma a difesa. E noi, nel profondo rispetto di tutte le altre, la nostra
civiltà la difenderemo!
Palpabile l’emozione del capogruppo, che ringrazia i numerosi sindaci presenti,
le rappresentanze dei Gruppi della Sezione con i gagliardetti e tutti gli
alpini.
Ricorda i capigruppo che lo hanno preceduto: Ceschin Giovanni, Ceschin Roberto,
Antiga Ernesto, Piccin Narciso, Miraval Jack.
La passione e l’impegno di Mario Casagrande sono ripagati da un grande consenso.
Guida il Gruppo da 24 anni e probabilmente si accinge a entrare in quella
schiera di personaggi che per l’attaccamento ai loro alpini sono destinati a
svolgere la mansione di capogruppo a vita.
Come un caretèl da 2 etoitri…
Il rancio è preparato dai cuochi del Gruppo nella palestra comunale,
coadiuvati, come sempre, dall’altra metà del cielo.
Un pranzo aperto da una raffinata pastasciutta, per sfatare la tanto bistrattata
fama della pasta al ragù degli alpini, punto debole degli incontri culinari
delle penne nere. Poi uno spiedo degno della fama degli spiedi che in queste
colline vengono rosolati lentamente al fuoco fin dai tempi dei Longobardi.
Per non parlare del vino che qui non devono certo andare a procurarselo altrove.
Per l’occasione compare sulle tavole l’“ardore patrio”, un bianco tranquillo
che, oltre a riassumere alcune varietà d’uva dei primi anni del Novecento,
vorrebbe racchiudere in sé il valore di quei giovani ragazzi che nella primavera
del 1915 partirono con l’ardore della gioventù per onorare il loro dovere verso
la Patria.
E proprio la sera prima in questa palestra uno spettacolo di canti e
testimonianze aveva abbinato la festa dell’80.mo al ricordo dei 100 anni della
Grande Guerra.
Protagonisti della serata il nostro Nicola Stefani, ormai da tutti apprezzato
come “la voce degli alpini”, e il coro Voci della Julia, gruppo di ex coristi
della Brigata alpina sorto per ricordare un amico prematuramente scomparso. Voci
che hanno regalato al numeroso pubblico presente non solo una performance canora
di assoluto livello, ma hanno saputo veicolare con le loro cante, emozioni e
sentimenti, e hanno risvegliato e reso vive sensazioni e immagini. L’ultimo
brano, a sottolineare la familiarità e l’amicizia che lega il Gruppo, è stato
eseguito assieme ai boce dei coristi.
Commoventi, drammatici, difficili, a volte addolciti dalla patina del tempo i
racconti letti da Stefani, le testimonianze degli alpini di San Pietro che
avevano partecipato alla prima guerra. Le sofferenze patite, la morte tante
volte vista in faccia e tante volte sfiorata, storie di eroismo, coraggio,
incoscienza, l’impreparazione alla guerra dell’esercito italiano, l’inettitudine
dei comandanti.
Come nella testimonianza dell’alpino Faldon Pietro che raccontava di montagne
abbandonate agli Austriaci su ordine degli alti ufficiali italiani e poi
riconquistate con il sangue.
Pietro Schincariol sul Montenero era stato gravemente ferito da una granata a
una gamba ed era rimasto muto sotto una catasta di commilitoni cadaveri. Dopo
tre giorni, sentendo parlare italiano, aveva chiamato aiuto. Nell’ospedale da
campo la gamba amputata gli era stata sostituita con una di ceramica. Inviato a
Torino in una struttura che ospitava gli invalidi di guerra vi era rimasto per
un anno e mezzo e nel periodo della riabilitazione aveva imparato il mestiere di
ciabattino, mestiere che avrebbe poi esercitato per tutta la vita.
Durante la dura occupazione del ’18 per evitare di essere catturati dagli
occupanti le tentavano tutte, come Ceschin Erminio che teneva la barba lunga e
incolta per sembrare più vecchio.
Ros Vincenzo durante un assalto era rimasto sepolto sotto la terra sollevata da
una granata. Un addetto al recupero dei feriti nella foga di estrarlo dalla
terra gli aveva piantato un piccone sulla schiena. Vincenzo avrebbe maledetto la
guerra per tutto il resto della sua esistenza perché, uscito dal conflitto
illeso dai colpi nemici, aveva rischiato la pelle per la picconata di un
commilitone. L’alpino Lot Onorato Antonio, fratello del nonno materno di Angelo
Miraval, raccontava che nella casa di Rua, nel difficile anno dell’occupazione,
erano rimaste solo due sue sorelle e 7 bambini, gli uomini erano tutti al fronte
al di là del Piave.
La famiglia Lot aveva una mucca, che, per paura che i soldati nemici portassero
via, veniva nascosta nel tinello di casa. Un collaborazionista aveva fatto la
spia e aveva portato a casa Lot gli occupanti che si erano portati via la
bestia. Ritornato dal fronte, Onorato, incontrato il collaborazionista, lo aveva
tramortito di botte, fino a ridurlo in fin di vita. Processato per tentato
omicidio il giudice gli aveva chiesto se fosse pentito. Onorato aveva ribadito
con spavalderia che l’unica cosa di cui si pentiva era di non averlo ammazzato…
Antiga Antonio, dispersosi durante un bombardamento nemico che aveva distrutto
la sua postazione, era stato ritrovato sano a salvo dopo alcuni giorni in una
minuscola casera sulle pendici del Grappa. Ricordava sempre che i proiettili dei
cannoni nemici che vedeva arrivare erano grossi come caretei da 2 etoitri de
proseco… Il prosecco, uno dei protagonisti della storia di San Pietro, con i
suoi grappoli a ricamare d’oro le colline di questo lembo della Marca
Trevigiana.
Le penne nere di San Pietro hanno voluto questo Ottantesimo per ricordare gli alpini che hanno dato un pezzo della loro esistenza a questo Gruppo e a questo paese. Mario Casagrande ringrazia tutti coloro che si sono impegnati a vario modo nella manifestazione e in particolare il giovane segretario Christian Faldon, per l’enorme mole di lavoro svolto con passione e competenza.