GRUPPO SAN VENDEMIANO


Giugno 2003

PER NON DIMENTICARE

L’omaggio degli alpini di San Vendemiano
ai reduci del Gruppo


Momento di raccoglimento mentre risuonano le note del silenzio


Foto ricordo con i protagonisti della serata

PER NON DIMENTICARE. “A coloro che la parte migliore della loro vita, la giovinezza, l’hanno dedicata, o dovuta dedicare, alla fame, alla sofferenza, alla drammatica esperienza della guerra. Perché il loro sacrificio non vada dimenticato”.
Ha motivato così Manuele Cadorin, da due anni alla guida del nostro Gruppo, la scelta del Direttivo di un riconoscimento ai reduci alpini iscritti al Gruppo. Ricordando come ci sia la tendenza a rimuovere un certo passato, Cadorin si è chiesto se i giovani e gli alpini d’oggi sarebbero altrettanto preparati ad esperienze così difficili. “Gli alpini di San Vendemiano non dimenticano e non vogliono dimenticare - ha poi sottolineato - e se fisicamente oggi premiamo i nostri reduci, nel cuore portiamo il ricordo di coloro che non sono più tornati.”
Il saluto del capogruppo ai presenti era stato preceduto dalle note del silenzio per onorare la memoria dei reduci che non ci sono più, note risuonate nel raccoglimento di una sala dove aleggiano due presenza carismatiche per il Gruppo di San Vendemiano: quelle degli indimenticabili Gino Citron e Bepi Cadorin.

TESTIMONI DI PACE. Il presidente della sezione Toni Daminato ha rivolto il suo plauso al Gruppo per l’iniziativa, ricordando che spesso si dimentica che la pace ed il benessere di cui godiamo hanno le loro radici nella storia e nel sacrificio di coloro che ci hanno preceduto. Ha ricordato con commozione il padre, che non aveva mai voluto raccontare le sue vicende al fronte, dolorose e drammatiche al punto da averne segnato il fisico e l’anima. “Sappiamo che spesso i reduci sono restii a raccontare la guerra. Ma anche il loro silenzio è un urlo contro la guerra. Sono coloro che hanno vissuto sulla propria pelle la sventura della guerra ad ammonirci quanto questa sia inutile e disumana. Sono i reduci, quindi, i veri testimoni della pace. Ed è proprio la pace uno dei principali obiettivi della nostra Associazione” ha concluso Daminato, che ha poi rinnovato il suo ringraziamento al Gruppo per l’inesauribile impegno a favore della comunità.

Aurelio Collodetto classe 1924
Natale Sanson 1923
Antonio Cuzzuol 1922
Giovanni Dall’Osta 1923
Armando Mazzer 1920
Angelo Zago 1919
Stefano Franceschet 1918
Angelo Gaiotti 1919
Mario Mazzer 1916
Guerrino Chies 1915
Libero Sacco Zirio 1915
Attilio Zago 1914
Olindo Segat 1913
Augusto Feltrin 1913

Questi i reduci alpini del Gruppo. A ciascuno di essi è stata consegnata una targa di pregevole fattura, accompagnata da una pergamena con le presenze sui vari fronti della vicenda bellica. Una targa veniva consegnata anche all’Associazione Combattenti e Reduci di San Vendemiano, presieduta e rappresentata dall’alpino Armando Mazzer. Alla semplice e toccante cerimonia, oltre al capogruppo ed al presidente sezionale, partecipavano i vicecapogruppo, Cesare Antiga, Giovanni Lovisotto e Pietro Cisotto, il segretario Dal Pos, numerosi soci alpini e tantissimi amici e simpatizzanti della comunità di San Vendemiano.

Nella serata a loro dedicata, i reduci alpini di San Vendemiano hanno ricordato qualche momento della loro guerra. Ed abbiamo capito ancora una volta che la realtà non ha poi molto da spartire con la poesia e la letteratura alpina. I racconti si assomigliano in modo impressionante, perché sono fatti, sostanzialmente, dalle stesse parole: fame, tanta fame, sacrifici inenarrabili, attese, ansie e paure. Come ha ricordato Armando Mazzer, spesso le uniche vere battaglie si combattevano contro un nemico subdolo e quasi invisibile. Erano battaglie sanguinarie che si concludevano con bollettini dove i caduti si contavano a migliaia: i pidocchi.

Un corale “Signore delle Cime” ha chiuso la cerimonia, cui è seguito, in perfetto stile alpino, una bicchierata in compagnia.

Cesare Antiga

L’ENIGMA DEL REDUCE

Nella sterminata letteratura sulla guerra, la componente alpina rappresenta un elemento tutt’altro che trascurabile, dal momento che sono oltre 200 i testi che si riferiscono alle vicende che hanno come protagoniste le penne nere. Sono vicende che parlano di gente di montagna chiamata a combattere prima nel proprio habitat (nella Grande Guerra) quindi, nei conflitti che seguirono, un po’ dovunque: dalle sabbie africane ai monti della Grecia e dell’Albania, fino alle sconfinate steppe russe. Vi figurano opere di illustri personaggi e testimoni che proprio nelle realtà della guerra hanno trovato ispirazione per tradurre sulla carta esperienze drammatiche, sentimenti e valori di un’umanità varia ma autentica, caratterizzata dalla fedeltà a una condizione esistenziale, morale e spirituale. Da questa letteratura la figura dell’alpino emerge come quella di un soldato unico ed originale, coraggioso ed umanissimo, un’anima aperta e solidale caratterizzata da uno straordinario spirito di fratellanza che nemmeno la guerra riesce ad offuscare.
Ci sono poi le leggende, quelle di cui si alimentano le cante alpine, quelle che nascono dal racconto del sacrificio delle penne nere. A dimostrazione che la poesia può scaturire anche dalle vicende della guerra, esaltando i valori migliori che l’uomo nella sua lunga storia ha saputo e sa dimostrare.
Letteratura e leggende che costituiscono l’epopea alpina e cioè gli elementi, i sentimenti ed i valori della realtà scarpona.
Protagonista di questa epopea è il soldato alpino, quello che ora è il reduce, le cui fila si vanno via via assottigliando, essendo la sua età quasi mai inferiore agli 80.

Ogni guerra produce i suoi reduci. Quelli della seconda furono ancor più sfortunati di quelli della prima, che la guerra riuscirono a non perderla. Questi, infatti, erano stati cacciati da tutti i punti cardinali e la delusione tra le aspirazioni della vigilia ed i risultati era stata cocente e completa.
La guerra è un grosso maglio che schiaccia ed annulla ogni individualità e trasforma gli uomini in automi. Essa è completamente indifferente alle esigenze fisiche, morali ed affettive dei singoli; ne distrugge gli ideali e ne demolisce le convinzioni e sviluppa solo una dote: la rassegnazione.
Il soldato impara a marciare intere giornate senza sapere dove lo conducono, a sostare altre giornate in posti impossibili e sovente lo fanno ripartire, magari di notte o sotto la pioggia, per ritornare da dove era partito. Lo fanno massacrare di fatiche per sistemarsi su una posizione per annunciargli, il giorno dopo, che bisogna andarsene. Crede di aver diritto di mangiare almeno una volta al giorno, ma impara presto a saltare i pasti ed ingoiare in fretta cose fredde e disgustose in mezzo al fango o alla polvere, mentre la tormenta che soffia di traverso gli svuota il cucchiaio.

Ogni reduce ha la sua storia, perché nella miriade di eventi che si succedono in una guerra ogni storia è diversa dalle altre.
Eppure c’è qualcosa che accomuna l’atteggiamento di tanti reduci, qualcosa che spesso risulta incomprensibile. Difficile spiegare, per esempio, come tanti di loro, magari dopo l’esperienza della dura prigionia, continuino a ringraziare la fortuna per essere stata benevola nei loro confronti. Forse è solo umana pietà verso coloro che, dopo aver combattuto per una causa sconosciuta, ora giacciono sotto un suolo straniero, senza un fiore o addirittura una tomba.
Come sottolineato dal presidente Daminato, molti di loro sono restii a raccontare, a volte per pudore, a volte perché i ricordi possono far male.
C’è un altro tratto che accomuna tanti reduci: spesso danno l’impressione di aver rimosso ogni ricordo. Ma poi basta lo squillo di una tromba o un’alzabandiera o le note di un brano alpino… ed una lacrima affiora improvvisa. Forse perché, improvviso, riaffiora il ricordo dell’amico caduto, o delle marce nel candore della neve dell’interminabile steppa russa dove la notte le stelle sembravano scintille…
Come possono due note sciogliere uomini dalla scorza dura come gli alpini? E’ questo uno dei grandi enigmi della storia delle penne nere.

gf


L’intervento del Presidente Daminato