PER NON DIMENTICARE. “A coloro che la parte migliore della loro vita,
la giovinezza, l’hanno dedicata, o dovuta dedicare, alla fame, alla
sofferenza, alla drammatica esperienza della guerra. Perché il loro
sacrificio non vada dimenticato”.
Ha motivato così Manuele Cadorin, da due anni alla guida del nostro Gruppo, la
scelta del Direttivo di un riconoscimento ai reduci alpini iscritti al Gruppo.
Ricordando come ci sia la tendenza a rimuovere un certo passato, Cadorin si è
chiesto se i giovani e gli alpini d’oggi sarebbero altrettanto preparati ad
esperienze così difficili. “Gli alpini di San Vendemiano non dimenticano e
non vogliono dimenticare - ha poi sottolineato - e se fisicamente oggi premiamo
i nostri reduci, nel cuore portiamo il ricordo di coloro che non sono più
tornati.”
Il saluto del capogruppo ai presenti era stato preceduto dalle note del silenzio
per onorare la memoria dei reduci che non ci sono più, note risuonate nel
raccoglimento di una sala dove aleggiano due presenza carismatiche per il Gruppo
di San Vendemiano: quelle degli indimenticabili Gino Citron e Bepi Cadorin.
TESTIMONI
DI PACE. Il presidente della sezione Toni Daminato ha rivolto il
suo plauso al Gruppo per l’iniziativa, ricordando che spesso si dimentica
che la pace ed il benessere di cui godiamo hanno le loro radici nella storia e
nel sacrificio di coloro che ci hanno preceduto. Ha ricordato con commozione
il padre, che non aveva mai voluto raccontare le sue vicende al fronte,
dolorose e drammatiche al punto da averne segnato il fisico e l’anima.
“Sappiamo che spesso i reduci sono restii a raccontare la guerra. Ma anche
il loro silenzio è un urlo contro la guerra. Sono coloro che hanno vissuto
sulla propria pelle la sventura della guerra ad ammonirci quanto questa sia
inutile e disumana. Sono i reduci, quindi, i veri testimoni della pace. Ed è
proprio la pace uno dei principali obiettivi della nostra Associazione” ha
concluso Daminato, che ha poi rinnovato il suo ringraziamento al Gruppo per
l’inesauribile impegno a favore della comunità.
Aurelio Collodetto | classe | 1924 |
Natale Sanson | “ | 1923 |
Antonio Cuzzuol | “ | 1922 |
Giovanni Dall’Osta | “ | 1923 |
Armando Mazzer | “ | 1920 |
Angelo Zago | “ | 1919 |
Stefano Franceschet | “ | 1918 |
Angelo Gaiotti | “ | 1919 |
Mario Mazzer | “ | 1916 |
Guerrino Chies | “ | 1915 |
Libero Sacco Zirio | “ | 1915 |
Attilio Zago | “ | 1914 |
Olindo Segat | “ | 1913 |
Augusto Feltrin | “ | 1913 |
Questi i reduci alpini del Gruppo. A ciascuno di essi
è stata consegnata una targa di pregevole fattura, accompagnata da una
pergamena con le presenze sui vari fronti della vicenda bellica. Una targa
veniva consegnata anche all’Associazione Combattenti e Reduci di San
Vendemiano, presieduta e rappresentata dall’alpino Armando Mazzer. Alla
semplice e toccante cerimonia, oltre al capogruppo ed al presidente sezionale,
partecipavano i vicecapogruppo, Cesare Antiga, Giovanni Lovisotto e Pietro
Cisotto, il segretario Dal Pos, numerosi soci alpini e tantissimi amici e
simpatizzanti della comunità di San Vendemiano.
Nella serata a loro dedicata, i reduci alpini di San
Vendemiano hanno ricordato qualche momento della loro guerra. Ed abbiamo
capito ancora una volta che la realtà non ha poi molto da spartire con la
poesia e la letteratura alpina. I racconti si assomigliano in modo
impressionante, perché sono fatti, sostanzialmente, dalle stesse parole:
fame, tanta fame, sacrifici inenarrabili, attese, ansie e paure. Come ha
ricordato Armando Mazzer, spesso le uniche vere battaglie si combattevano
contro un nemico subdolo e quasi invisibile. Erano battaglie sanguinarie che
si concludevano con bollettini dove i caduti si contavano a migliaia: i
pidocchi.
Un corale “Signore delle Cime” ha chiuso la
cerimonia, cui è seguito, in perfetto stile alpino, una bicchierata in
compagnia.
Cesare Antiga |
L’ENIGMA DEL REDUCE
Nella sterminata
letteratura sulla guerra, la componente alpina rappresenta un elemento
tutt’altro che trascurabile, dal momento che sono oltre 200 i testi che si
riferiscono alle vicende che hanno come protagoniste le penne nere. Sono
vicende che parlano di gente di montagna chiamata a combattere prima nel
proprio habitat (nella Grande Guerra) quindi, nei conflitti che seguirono,
un po’ dovunque: dalle sabbie africane ai monti della Grecia e
dell’Albania, fino alle sconfinate steppe russe. Vi figurano opere di
illustri personaggi e testimoni che proprio nelle realtà della guerra hanno
trovato ispirazione per tradurre sulla carta esperienze drammatiche,
sentimenti e valori di un’umanità varia ma autentica, caratterizzata
dalla fedeltà a una condizione esistenziale, morale e spirituale. Da questa
letteratura la figura dell’alpino emerge come quella di un soldato unico
ed originale, coraggioso ed umanissimo, un’anima aperta e solidale
caratterizzata da uno straordinario spirito di fratellanza che nemmeno la
guerra riesce ad offuscare.
Ci sono poi le leggende,
quelle di cui si alimentano le cante alpine, quelle che nascono dal racconto
del sacrificio delle penne nere. A dimostrazione che la poesia può
scaturire anche dalle vicende della guerra, esaltando i valori migliori che
l’uomo nella sua lunga storia ha saputo e sa dimostrare.
Letteratura e leggende che
costituiscono l’epopea alpina e cioè gli elementi, i sentimenti ed i
valori della realtà scarpona.
Protagonista di questa
epopea è il soldato alpino, quello che ora è il reduce, le cui fila si
vanno via via assottigliando, essendo la sua età quasi mai inferiore agli
80.
Ogni guerra produce i suoi
reduci. Quelli della seconda furono ancor più sfortunati di quelli della
prima, che la guerra riuscirono a non perderla. Questi, infatti, erano stati
cacciati da tutti i punti cardinali e la delusione tra le aspirazioni della
vigilia ed i risultati era stata cocente e completa.
La guerra è un grosso
maglio che schiaccia ed annulla ogni individualità e trasforma gli uomini
in automi. Essa è completamente indifferente alle esigenze fisiche, morali
ed affettive dei singoli; ne distrugge gli ideali e ne demolisce le
convinzioni e sviluppa solo una dote: la rassegnazione.
Il soldato impara a
marciare intere giornate senza sapere dove lo conducono, a sostare altre
giornate in posti impossibili e sovente lo fanno ripartire, magari di notte
o sotto la pioggia, per ritornare da dove era partito. Lo fanno massacrare
di fatiche per sistemarsi su una posizione per annunciargli, il giorno dopo,
che bisogna andarsene. Crede di aver diritto di mangiare almeno una volta al
giorno, ma impara presto a saltare i pasti ed ingoiare in fretta cose fredde
e disgustose in mezzo al fango o alla polvere, mentre la tormenta che soffia
di traverso gli svuota il cucchiaio.
Ogni reduce ha la sua
storia, perché nella miriade di eventi che si succedono in una guerra ogni
storia è diversa dalle altre.
Eppure c’è qualcosa che
accomuna l’atteggiamento di tanti reduci, qualcosa che spesso risulta
incomprensibile. Difficile spiegare, per esempio, come tanti di loro, magari
dopo l’esperienza della dura prigionia, continuino a ringraziare la
fortuna per essere stata benevola nei loro confronti. Forse è solo umana
pietà verso coloro che, dopo aver combattuto per una causa sconosciuta, ora
giacciono sotto un suolo straniero, senza un fiore o addirittura una tomba.
Come sottolineato dal
presidente Daminato, molti di loro sono restii a raccontare, a volte per
pudore, a volte perché i ricordi possono far male.
C’è un altro tratto che
accomuna tanti reduci: spesso danno l’impressione di aver rimosso ogni
ricordo. Ma poi basta lo squillo di una tromba o un’alzabandiera o le note
di un brano alpino… ed una lacrima affiora improvvisa. Forse perché,
improvviso, riaffiora il ricordo dell’amico caduto, o delle marce nel
candore della neve dell’interminabile steppa russa dove la notte le stelle
sembravano scintille…
Come possono due note
sciogliere uomini dalla scorza dura come gli alpini? E’ questo uno dei
grandi enigmi della storia delle penne nere.
gf
L’intervento del Presidente Daminato
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