GRUPPO SOLIGHETTO |
Aprile 1967 |
Domenica 22 gennaio il Gruppo di Solighetto ha accolto numerose autorità e rappresentanze per l’ormai consueta
commemorazione dei gloriosi fatti d’arme di Nikolajewka.
Il nostro bravo corrispondente del Gruppo organizzatore ci segnala anche i nomi degli alfieri dei gagliardetti e delle
bandiere presenti, e riteniamo di ricordarne i nomi - almeno questa volta - in quanto gli allleri sono solitamente gli
stessi ed assolvono il loro semplice ma elevato compito con vera abnegazione e senso di responsabilità.
Attorno al gagliardetto di Solighetto (alfiere G. Mazzero), sono affluite le bandiere dell’Associazione Mutilati e
Invalidi di Guerra del Quartier Piave (alfiere Battista Todesco), dell’Associazione Combattenti e Reduci di Pieve di
Soligo (alf. Giuseppe Lorenzon) e di Barbisano (alf. Gino Zaccaron), dell’Associazione ex Internati di Pieve di Soligo
(alf. Amedeo Lorenzon), della Sezione di Pieve di Soligo dell’Associazione del Fante (alf. Antonio Pansolin), i labari
dell’Associazione Bersaglieri del Quartier del Piave (alf. Angelo Madurotto), dell’Associazione Artiglieri (alf.
Sebastiano Olivot), e quello dell’Associazione Arma Aeronautica di Pieve di Soligo con l’alfiere Celestino D’Agostin.
Tra i gagliardetti dei Gruppi alpini: Miane (alf. Luigi Merotto), Pieve di Soligo (alf. Francesco Granzotto), Falzè di
Piave (alf. Sante Stella), Soligo (alf. Costante De Conto), e quello di Barbisano (alf. Antonio Pancot).
In rappresentanza del Sindaco cav. Gerlin è intervenuto il m.o Giannetto Fontana; tra i membri del Consiglio direttivo
sezionale, erano presenti il presidente comm. enot. Guido Curto e il vice presidente avv. comm. Francesco Travaini.
Alle ore 10,30 si è formato il corteo che, attraversato il paese, è giunto alla chiesa parrocchiale ove è stata
celebrata la S. Messa. I partecipanti si sono infine diretti al Monumento-asilo eretto a ricordo dei Caduti, per la
deposizione di una corona d’alloro.
Il ten. col. cav. Alberto Piasenti - comandante del Presidio militare di Coneghano e della Sezione staccata di
Artiglieria - ha tenuto il seguente applaudito discorso commemorativo:
Autorità, Signore, Amici alpini,
non è cosa facile rievocare vicende e gesta, gl’innumerevoli atti eroicì e l’indiscussa epopea di gloria dei nostri
Alpini, perchè tutta la storia patria - da poco dopo l’unità d’Italia ad oggi - ne è intrisa, come imbevute del loro
sangue sono tutte le terre d’Europa e d’Africa, perchè episodi di valore e pagine di eroismo gli alpini ne hanno scritte
in guerra e in pace.
Ma, scegliendo tra tanta gloria, una delle pagine più belle, più grandiose e sublimi, è senza dubbio alcuno quella
scritta a Nikolajewka.
Pagina di sacrifici, di eroismi; pagina indimentica bile di valore individuale e collettivo, di abnegazione, di spirito
di corpo, di amor patrio virilmente inteso.
Pianura sconfinata, colonna in marcia purtroppo di ripiegamento, volti stanchi, feriti, congelati, malati, capelli
lunghi, barbe irsute, visi smunti, bende, febbre, sete, voci roche, esauste, invettive e insieme preghiere, lamenti
strazianti ma nel contempo cuori di acciaio sorretti dalla penna nera dell’alpino.
Provata da nove giorni di ripiegamento e in particolare dal combattimento di Nikitowka appena superata, la «Tridentina»
giunse il 26 gennaio 1945 in vista di Nikolajewka, ultima tra le maggiori linee di resistenza organizzata dagli
avversari lungo la direttrice di marcia degli alpini.
Ad impegnare per primi il nemico f urono i battaglioni del 6° Alpini, ma la linea si rivelò fortemente munita e non
cedette ai reiterati attacchi dei nostri prodi; i russi erano infatti organizzati a difesa, rinforzati con mortai e
artiglierie e contrastavano efficacemente i tentativi, sebbene decisi, dei nostri alpini.
Sopraggiunsero i battaglioni del 5° Alpini e i gruppi del 2° Artiglieria Alpina i quali schierarono i pezzi, e l’attacco
riprese con disperato valore. In testa a tutti il Generale Reverberi risolutamente gridava «Tridentina avanti!».
E lo slancio ebbe momenti di ineguagliabile epopea: chi aveva finito le munizioni si batteva all’arma bianca, gli
artiglieri alpini lasciavano i pezzi ormai privi di munizioni e si battevano a fianco degl alpini con estrema decisione.
Lungo l’infuocata linea: infiniti episodi di valore, disperate resistenze, immani sofferenze di uomini, amor proprio di
reperti, eroismi da emulare, tradizioni da sostenere, morti da vendicare.
Il nemico non potè reggere al disperato assalto e fuggì: Nikolajewka venne occupata, l’ultima più difficile resistenza
venne infranta, la via finalmente libera.
Tutta la colonna, che attendeva l’esito della battaglia - quarantamila superstiti delle divisioni di fanteria, in mezzo
ai quali c’erano ungheresi e tedeschi - passò urlando per le breccia aperta dagli alpini i quali sembravano uscire da
quelle immensa distesa di neve infuocata come dalle porte dell’Eternità, anzi dai cancelli della Morte.
Laceri, affamati, provati dalla fatica di duecento chilometri di marcia sulla neve, affondando fino al ginocchio nella
bianca vastità di quell’immenso sepolcro di gelo, a temperature proibitive e da nove giorni di combattimento contro
forze superiori, ma ancora sorretti da quell’indomabile forza che sembra essere uve prerogativa delle granitica gente
delle nostre montagne, le Penne Nere apparirono là sull’orizzonte della steppa innevata, con le armi in pugno come
giganti che ancora una volta domarono l’avverso destino.
«Tridentina», «Julia», «Cuneense»: erano sessantamila Penne Nere, inquadrate nel Corpo d’Armata Alpino. Questi uomini -
usi ad essere un tutt’uno con la montagne e a conoscere e sfruttare ogni intimo segreto della rupe, capaci di vivere a
compagnie o batterie là dove l’inverno fa sloggiare anche il falco - queste meravigliose truppe vennero invece impiegate
in pianura. Lo stesso loro armamento, costituito da obici da montagna e da piccoli mortai, era nullo per efficacia
contro i pezzi da campagna di più lunga gittata. Come avrebbero potuto questi uomini agire in una guerra manovrata fra
carri armati e semoventi, legati come erano ai loro muli marcianti all’immutabile velocità di quattro chilometri
all’ora? Eppure, sono stati inviati sul Don, e le loro imprese hanno ugualmente fatto sbalordire il mondo e lo stesso
tenace avversario.
A Nikolajewka, alla testa dei loro Alpini, sono morti in combattimento più di quaranta ufficiali, fra i quali l’eroico
Generale Martinat, Capo di Stato Maggiore dei Corpo d’Armata Alpino, e il Colonnello Migliorati Comandante del 2°
Artiglieria Alpina, e tanti altri.
I resti della «Julia», già logorata a Novo Kalitwa e la cui odissea era iniziata il 24 dicembre, e i resti della
«Cuneense», si sono infranti contro i carri, e le fanterie russe a Velujki il 27 e il 28 gennaio generosamente
immolandosi in mezzo al turbine dei quaranta gradi sotto zero.
Le perdite della truppa non si possono valutare. Erano sessantamila: da Nikolajewka sono usciti - con le loro bandiere -
solo seimila uomini delle «Tridentine», pochi i resti della «Julia»; la «Cuneense» era quasi totalmente distrutta.
Questi, Signori, sono gli Alpini di ieri - degni figli di quelli di Adua, di Libia e della Grande Guerra, e poi ancora
di Africa - e sono come gli Alpini di oggi,. di domani, di sempre. Sono gli Alpini di tutte le nostre brigate: sono gli
Alpini del Don, delle ambe africane, della Grecia e dell’Albania; gli Alpini dell’Adamello, del Grappa, del Pasubio e
del Monte Nero; padri, figli, nipoti di un’unica razza che non conosce che fatiche, sudore e sangue, ma anche tanto
onore e gloria indiscussa; sono pure gli Alpini accorsi alla distrutta Longarone, alle calamità naturali del Comelico e
dell’Agordino, all’odio innaturale in Alto Adige; razza che conosce solo disagi e sacrifici; gente nostra che è di
guardia ai confini della Patria, da Resia, al Brennero a Tarvisio; bene armati sì, ma - specie in Alto Adige - con le
mani legate da discutibili cautele politiche.
Se lasciassero ai nostri Alpini la mano libera, e libera la loro azione nel servire la Patria, i malviventi che
aggrediscono alle spalle o al buio di casa nostra conoscerebbero ancora una volta come gli Alpini sanno far rispettare
la ricevuta consegna di difendere la Patria.
Conclusa la manifestazione, i partecipanti hanno particolarmente festeggiato i reduci e i decorati di Russia tra i quali
figura lo stesso capogruppo di Solighetto cav. Giovanni Pansolin.
E’ seguito il rancio durante il quale il presidente comm. Curto ha consegnato la tessera dell’Associazione a nove bocia
da poco congedati.
Il ridente borgo di Solighetto è rimasto animato fino a sera tra i canti (e persino con la presentazione di poesie in
dialetto) dei tanti alpini convenuti.