GRUPPO SOLIGHETTO |
Giugno 1993 |
50 anni dopo veniva rotto il tragico accerchiamento, che aveva avviluppato in posizione esposta, e non più
difendibile sui Don. un intero Corpo d’Armata alpino formato dalle divisioni “Cuneense”, “Julia” e Tridentina”
A Nikolajewka il 26 gennaio 1943 la colonna guidata dalla “Tridentina”, ma enfatizzata dai resti della “Julia” e
“Cuneense”, nonché da altre divisioni italiane, tedesche, rumene e ungheresi, ormai scompigliate e sbandate, riusciva a
sfondare l'ultimo ostacolo frapposto dall’Armata rossa avanzante.
Questo dopo oltre una decina di scontri in campo aperto, sopportati oltre il limite estremo delle umane possibilità,
giorno dopo giorno camminando a ritroso sulla steppa gelata ed inospitale per centinaia di chilometri. Fu una battaglia
combattuta allo spasimo, parte di notte e per tutta la giornata, con un solo intento, incrollabile e disperato: sfondare
per liberarsi e per ritrovare l’Italia.
Per questo ,gli alpini della Sezione, per non dimenticare e non far dimenticare quegli eventi che hanno tragicamente
caratterizzato quel periodo della storia italiana, si sono stretti da anni attorno al suo ideatore e promotore di tale
ricorrenza: il compianto Giovanni Pansolin, ed agli altri Alpini reduci, in una commemorazione che anche quest’anno è
stata vissuta con intensa emozione. Il primo incontro del mattino di domenica 24 gennaio è avvenuto nella piazzetta dove
s’è formato il corteo che, preceduto dal Gonfalone cittadino, dal Vessillo sezionale,dai gagliardetti della totalità dei
Gruppi, e dai Labari e Bandiere dei Mutilati ed Invalidi del Quartier del Piave, dai Combattenti e Reduci di Barbisano,
e da quelli dei Combattenti, degli Internati, dei Carabinieri, Carristi e Artiglieri di Pieve di Soligo, nonché da una
rappresentanza della Scuola elementare di Solighetto, si portava all’arcipretale per la celebrazione della S. Messa
officiata dall’ordinario militare e Cappellano mons. Santarossa, in sostituzione di mons. Agostino Balliana impegnato
altrove.
Nell’omelia, che ci è caro riportarla fedelmente, mons. Santarossa si è così espresso:
“Rendo omaggio ai Labari delle diverse Sezioni e delle Rappresentanze d’Arma presenti.
Mi corre l’obbligo di rendere omaggio alle Autorità civili e militari, che vedo qui presenti in prima fila, per questa
loro sensibilità e partecipazione a questa celebrazione.
Ringrazio l’arciprete di questa comunità che ha voluto che a celebrare questa S. Messa fosse un cappellano militare
anche se, ad onor dal vero, non dovrei essere io il celebrante, ma il paesano di questa comunità, mons. Agostino
Balliana, che per improvvisi impegni ha dovuto scendere a Roma e ha pregato me di venire a sostituirlo; non sono bravo
come lui e tantomeno come il vostro arciprete.
Vi dirò alcune cose che servono soprattutto per le giovani generazioni, di fatti dei quali siamo stati testimoni e di 50
anni di storia, dei quali siamo stati e siamo tuttora protagonisti. con una frase che vado dicendo e ripetendo
soprattutto in mezzo ai giovani, in caserma e no: “l’uomo che non ha memoria, non ha storia“.
La tragedia di un popolo, di una comunità, diventa, irreparabile se i componenti di questo popolo, di questa comunità
non hanno la memoria della loro storia e non sono capaci di trasmetterla affinché ci sia la continuità alle future
generazioni.
“Tanto si è scritto, tanto si è detto, tanto ci è stato insegnato con interpretazioni diverse di questi ultimi 50 anni
di storia.
A seconda che cambia l'uomo del Quirinale o il colore del governo che abbiamo, si accentua il termine di resistenza. di
liberazione o non se ne parla proprio più.
Non abbiamo nulla di cui vergognarci. ma soprattutto non hanno nulla di cui si debbano vergognare gli uomini che hanno
partecipato all’ultima guerra mondiale, i nostri uomini.
Forse si debbono vergognare le persone che hanno dato gli ordini e livello politico o diplomatico, che hanno fatto i
conti sbagliati, che hanno pensato che valesse ancora il principio dove la farsa debba prevalere sul diritto e la
giustizia.
Questo, è un giudizio che solo la storia, non la storia che scriviamo noi, può fare... ed è troppo presto perchè venga
fatto: ma la storia degli uomini. di questi uomini, di questi nostri padri e di questi nostri fratelli, questa è
cronaca, questa è storia contemporanea che non può essere strumentalizzata né dimenticata perchè sono ancora vivi i
testimoni, i protagonisti.
I sacrifici umani in condizioni ambientali impossibili, e chi vi parla pur essendo giovane ha già qualche esperienza
analoga, questi nostri padri s’erano detto se fosse giusto quello che stavano facendo, se la causa fosse giusta, ed è
molto importante questo. Hanno dato la loro vita, il meglio di sé compiendo atti di eroismo dei quali noi oggi non siamo
nemmeno capaci di imitarne le cose più piccole... ma noi non dobbiamo esaltare questo, sarebbe un gravissimo errore
perchè gli atti di eroismo meriterebbero cause molto più giuste; però il fatto che questi atti sono stati compiuti non
possono essere cancellati.
E allora io debbo chinare il capo davanti a questi Martiri, a questi Eroi, a questa immane tragedia che ha coinvolto
centinaia di migliaia di uomini: a questi giovani soldati: alpini, bersaglieri, carristi, artiglieri, genieri, autieri.
soldati, ufficiali, sottoufficiali e preti che hanno lasciato la vita, i loro vent’anni o poco più.
Questo è un dato che non deve essere dimenticato, ed ecco perchè ripeto: “l’uomo che non ha memoria non ha storia!”
Ed è giusto che il popolo, che i figli e i nipoti ricordino: guai se non si ricorda quello che ha fatto il nonno o il
papà.
Se c’è una stroncatura nella vita di un giovane, la stessa è come un tentativo di passare dall’adolescenza alla
giovinezza senza che il tempo maturi l’evoluzione psicologica e fisica del giovane.
La natura non fa fatti nella sua evoluzione, noi qualche volta, però, li facciamo questi fatti e creiamo catastrofi:
creiamo dei vuoti incolmabili per cui il nostro linguaggio non è più comprensibile e accessibile alle nuove generazioni;
ed un'altra caratteristica hanno avuto i nostri padri in questa ed in altre simili circostanze: un'infinita fede in Dio.
Diciamocelo, diciamo con onestà: prima di andare in prima linea chiedevamo la benedizione, la confessione e la comunione
ai vari sacerdoti: soldati, ufficiali e
sottufficiali lo fanno tutt'ora.
Ricordo in Libano, dove c'ero nell'83/84, dove la gente prima di uscire in postazione di notte mi chiedeva l’assoluzione
e la benedizione; e mai come lì la gente viene in chiesa, o sotto la tenda o sotto una pianta, la domenica, non ha
bisogno del suono delle campane.
“Perchè non vogliamo ricordare queste cose? Basta ritornare per un attimo alla routine delle nostre cose, dei nostri
paesi, delle nostre comunità e allora dimentichiamo tutto, anche Dio.
Siamo tutti convinti che Dio è importante nella vita del mondo e degli uomini, ma lo dimentichiamo poi nella realtà
pratica; nella quotidianità non incide più niente, diventa un atto formale; non incide nella nostra vita, non ci
coinvolge, non ci modifica, non ci cambia,.. ma avessimo questa fede in Dio!
Alcuni di loro sono tornati solo perché questa fede in Dio, questo amore alla sposa, al padre o alla madre gli hanno
dato forze fisiche che umanamente non esistevano più.
Così, come l’alpinista al limite delle sue energie fisiche riesce a scalare ed a superare l’ultima vetta; così
altrettanto è la volontà dell’uomo, quando è animata da un forte ideale, da riuscire a superare ostacoli inimmaginabili.
E allora per questo rendiamo omaggio a questi nostri morti, guardiamoli con rispetto e venerazione e impariamo questa
lezione di storia, della nostra storia, affinché non s'abbia a combattere mai più per cause che non siano giuste.
Ma non crediamo perchè si possa essere in pace si possa stare con le mani in tasca o si possa semplicemente camminare
per la strada dietro uno slogan o una bandiera; la pace non si costruisce né con gli slogan né con le bandiere ma con il
puro impegno quotidiano e con la solidarietà che non è fatta solo di parole, ma che se non trova il fondamento di
riconoscere che siamo tutti fratelli, e quindi in buona fede e in Dio, diventa soltanto divisione, Così vi parla
l’apostolo Paolo nella lettura di oggi dove diceva: “uno è di Pietro, uno è di Paolo, uno è di Giacomo e uno è di
Andrea“.
Oggi diremo uno è di una Lega uno è di un’altra, uno del sud e uno del nord, uno è “vu’ cunprà” e l’altro è meno “vu’
cumprà”: e continueremo ad andare avanti con questi ragionamenti, con questi slogans: e poi vogliamo costruire la pace:
facciamo le marce per la pace e le veglie per la pace -, non è questa la strada! La strada è nell’impegno quotidiano, è
con la solidarietà che è fatta di gesti e non più di parole (non siamo più credibili con le parole), che è fatta di
servizio di responsabilità e di professionalità a qualsiasi livello. La sposa fa il suo dovere di sposa e di madre come
lo studente e il bambino fanno il loro dovere di studiare seriamente e con impegno; questa è la strada della pace le
altre sono utopie o deviazioni. E allora io auguro all’Associazione, al Gruppo alpini di Solighetto che per primo ha
voluto ricordare questo anniversario della grande battaglia, auguro a loro, auguro a voi e a tutta questo comunità di
camminare insieme: mai li noi contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri ricordando la storia, queste storie, anche
queste storie, perchè un popolo che non ha memoria non scriverà nessuna vera storia".
Con queste parole l’officiante ha voluto ricordare una somma di sacrifici, sempre cocente e indimenticabile, per trarne
messaggio di fratellanza e monito di pace.
Riformatosi il corteo e giunti all’asilo per la deposizione della corona ai Caduti, il capogruppo Antonio Possamai ha
voluto ricordare la figura di Giovanni Pansolin promotore e fondatore di questa cerimonia giunta alla sua 46a edizione,
e che lui per primo in Italia e con l’aiuto di pochi amici ha voluto organizzare nel lontano 1947.
Gli ha fatto seguito il sindaco rag. Giampietro Titonel che nel ricordare a distanza di 50 anni l’evento, che eravamo
abituati a chiamare “l’ultima guerra mondiale”, da ogni parte del mondo fa pensare che purtroppo non è più così:
numerosi sono infatti i conflitti che si combattono ancora con le stesse stupide morti azioni di superiorità etniche e
di razza (vedi ex Rep. Jugoslava).
Riferendosi anche a quanto detto da mons. Santarossa, il sindaco Titonel si è chiesto a cosa sia servito quel coraggio,
quella idealità, quel senso del dovere se oggi viene messa in discussione addirittura l’unita d’Italia.
“E’ pur vero — ha aggiunto il sindaco — che abbiamo toccato il fondo ma ora, da questa situazione, non possiamo che
risalire.
Pertanto il ricordo del loro sacrificio ci permetteva di costruire un paese libero dove ognuno sia rispettato nella sua
dignità di uomo e cittadino dove ogni forza nel pluralismo proprio della democrazia possa contribuire in libertà e nel
rispetto della libertà al bene comune e dove la diversità di colore, di razza e di religione non siano elemento di nuove
tensioni e di nuove emarginazioni”.
Termina auspicando che ognuno di noi, ognuno per la propria parte piccola o grande che sia, s’impegni affinché si possa
superare questo momento di generale sbandamento e possa quindi riemergere la speranza per un futuro migliore.
Il presidente onorario prof. Giacomo Vallomy che, con il ten. col. Rolandi in rappresentanza della “Cadore” ha
presenziato per l’intera giornata, così si è espresso:
“- Per me, che ho accettato commosso l’invito gentile del presidente Luigino Basso di parlare a nome della Sezione, i
compito è anche facile, dati gli oratori che mi hanno preceduto.
E mi compiaccio, soprattutto con il capogruppo e con il sindaco per le parole che hanno detto e per l'incremento dato a
questa manifestazione che è una cerimonia di grande valore nella storia degli Alpini e nella storia delle FF.AA. .
Grazie Giovanni Pansolin che ci hai lasciato in eredità una commemorazione che tu hai voluto nei tempi in cui in
Italia si vergognavano di parlare di Nikolajewka, di parlare della guerra in Russia.
Oggi la mentalità, o meglio l’onestà nei confronti dei sacrifici di quei combattenti è mutata e anche l’Ass. Naz. Alpini
ha sentito il dovere, finalmente, di commemorare la Battaglia di Nikolajewka a Brescia, ma molto più tardi.
Pansolin ha capito il valore di questa commemorazione e ha lasciato a noi e a tutta l’Italia questa eredità.
No! Non ci vergogniamo della guerra di Russia per quanto riguarda il comportamento dei nostri alpini e dei
soldati di tutte le armi.
Il ministro delle FF.AA. a Redipuglia, or sono alcuni mesi, ha avuto finalmente il coraggio di dire:
Siamo fieri dei nostri combattenti. dei Caduti di Russia e di tutte le guerre. “E’ finalmente il riconoscimento di
quegli uomini, di quei martiri che in nome del giuramento fatto alla Patria, hanno compiuto il loro dovere senza
discutere se la guerra era o non era giusta.
Non sono stati obiettori cd coscienza in quel tempo - continua il prof. Vallomy - è una brutta parola che non riesco
a capire e di cui non conosco l’origine: ma mi da fastidio “obiettore di coscienza", anche perchè è contro
l’articolo preciso della nostra Costituzione dove si dice che noi dobbiamo, fra i nostri doveri, oltre che pagare le
tasse anche servire la Patria in armi.
Mi compiaccio soprattutto con la lezione meravigliosa e chiara del Cappellano del 4° Corpo d’Armata: una lezione di
storia, una lezione di civiltà, una lezione che incoraggia a vivere veramente secondo la nostra
tradizione.
Ed è questo che io voglio confermare, ed è per questo che ho accettato, come tutti gli anni da quando Giovanni Pansolin
ha "fondato" questa festa, di parlare perchè considero questo intervento, queste poche parole, e anche forse troppe
improvvisate come un atto di riconoscenza a tutti i nostri Caduti in Russia.
A questo punto, ed in chiusura, mi piace ricordare l’intervento del cons. sez. trentino G. Vettorazzo, che riferendosi a
questa manifestazione biasimava quanti criticano o contestano perchè in ciò vedono esaltati eventi che invece sarebbero
solo da dimenticare: gli alpini oppongono il loro operoso associazionismo che invece intende ricordare; per ricordare
quanti caddero ovunque, in un sofferto impegno spesso e sempre tanto crudele, non certo cercato. A chi poi, anche fra
noi, obietta contro Nikolajewka, quasi che questa potesse fare torto ad altre ricorrenze, a questi diciamo che
abbiano senso di giustizia e cerchino di capire, poiché la campagna di Russia e Nikolajewka furono purtroppo esenti
particolarmente significativi e pesanti: per impegno catastrofico, per vastità di proporzioni, per entità di perdite e
sacrifici, per ammonimento profondo.
Non ci deve però meravigliate se tali fatti, più di altri, colpirono la fantasia, la mente ed il cuore, viste anche le
conseguenze e la vastissima letteratura prodotta.
Ricordiamo, in conclusione, la somma di sacrifici, sempre cocente ed indimenticabile, per trarre messaggio di
fratellanza e di pace.
Steno Bellotto