GRUPPO SOLIGHETTO |
Aprile 2012 |
“Veci alpini nel nome di Trento / salutate mamma e papà/ salutate la bella
bandiera / degli eroi che vanno a morir”.
Sentir cantare questa e le altre strofe de “Sul Rifugio”, da un coro alpino o
dai Cantori da Filò, a me dà sempre una grande emozione. Se, però, a cantare è
un coro di ragazzini della scuola elementare, di varie nazionalità, in una
serata dove si parla di quegli uomini rimasti lì a morire nel gelo della steppa
russa, il groppo alla gola è difficile da dominare.
Mi è successo la sera del 21 gennaio scorso, a Solighetto, quando il Gruppo
guidato da Giuseppe Corbanese ha promosso la presentazione del libro “Maso,
Uomo, Alpino, Partigiano, Eroe della nostra terra”, in occasione della
commemorazione della battaglia di Nikolajewka. Una presentazione che ha reso
omaggio alla Medaglia d’Oro Pietro Maset e ha distribuito emozioni a piene mani.
Una presentazione che ha visto, ancora una volta, gli alunni della scuola
elementare di Solighetto, accompagnati dalle loro famiglie e dai loro
insegnanti, salire sul palcoscenico e prendere parte alla serata di preludio
della cerimonia ufficiale per ricordare i caduti di Nikolajewka.
Questi ragazzi hanno cantato, ma prima hanno imparato quelle parole, e prima
ancora è stato spiegato loro cos’è successo Nikolajewka.
Che cos’è, poi, una canta alpina, in fin dei conti?
Una serie di parole messe una dietro l’altra che hanno, però, un loro preciso
significato. Parole che ricordano, che testimoniano rispetto, fissano un preciso
momento della storia, parole che fanno riflettere e danno emozioni.
E’ bello sapere che ci sono ancora bambini che hanno voglia di cantare e
insegnanti che spiegano loro di cosa parlano quei canti. Poi c’è un signore,
Piero Marchesin, direttore del coro Cantori da Filò, che va nelle classi ad
insegnare ai ragazzi come si cantano le canzoni degli alpini; non ha il
cappello, non è un alpino, ma è come se lo fosse.
Antonio Menegon
Dal 1946 a Solighetto, amena località ai piedi delle colline trevigiane, si tiene la commemorazione della “battaglia di Nikolajewka”. Sono molti i motivi per sentirsi in dovere di presenziare a questo appuntamento. A Solighetto si va perché si mantenga e si diffonda, specialmente nelle generazioni più giovani, il ricorso di quel 26 gennaio 1943. Non solo per celebrare una delle poche e nitide grandi vittorie italiane della seconda guerra mondiale, piuttosto per dedicare un pensiero deferente a chi quei tragici momenti li dovette vivere sulla propria pelle. Solo la forza della disperazione permise di sfondare l’accerchiamento russo e di poter cominciare così il lungo e doloroso ripiegamento. Quei pochi che tornarono, i più forti ed i più fortunati, erano quelli che nonostante il congelamento e la totale privazione di ogni fisica necessità, avevano mantenuto lo spirito di conservazione per sopportare una esperienza così atroce e così disumanizzante. Arrivarono irriconoscibili, lacerati nelle vesti e nel morale, sfiancati da una fatica immane. Furono nascosti da chi colpevolmente aveva consegnato la loro giovinezza a dissolversi contro un muro di fuoco e di freddo inaudito. Non potevano essere utili così conciati alla propaganda fascista ormai prossima allo sfacelo. La velleitaria ed assurda campagna di Russia, combattuta dai militari italiani con armi e mezzi ridicoli, costò cifre spaventose di vite umane, cadute in battaglia o negli internamenti nei campi di prigionia sovietici. Ancora adesso, molte di queste vittime non hanno una fine certificata e perciò dopo quasi settant’anni risultano dispersi. Per molto tempo i loro famigliari attesero qualsiasi cenno o notizia che potesse far mantenere l’illusione che fossero ancora in vita. Taluni sperarono addirittura che avessero trovato dimora in Russia, in una qualsiasi famiglia. Erano solo infide chimere, nate dall’altra subdola propaganda, quella comunista ad alimentare dal naturale e comprensibile rifiuto della loro morte, da parte di chi li amava e non aveva perso la speranza di rivederli. Tra i reduci, più di qualcuno non volle più saperne di ogni cosa potesse far ricordare quella inumana vicenda. Altri invece, si adoperarono affinché non scendesse l’oblio sul sacrificio di quei commilitoni caduti in terra di Russia. Il compianto Giovanni Pansolin del Btg. Tolmezzo, medaglia di bronzo V.M. sul fronte russo, tornato nella sua Solighetto, volle ricordare prima di tutti, fin dal 1946. Si deve alle persone come lui se c’è stata la possibilità di prendere coscienza su ciò che significò la terribile campagna di Russia e di quale fosse stato il doloroso tributo umano.
LA CRONACA
Alla commemorazione di domenica 22 gennaio c’è stata come sempre un’ottima
partecipazione nonostante la fredda mattinata. La cerimonia iniziata con
l’alzabandiera nei pressi della sede alpina di Solighetto, ha visto la
tradizionale sfilata lungo le vie del paese. Il passo è stato scandito dal suono
della fanfara alpina di Conegliano che ha convogliato i presenti alla Santa
Messa, celebrata nella splendida chiesa parrocchiale di Santa Maria Immacolata.
Nell’omelia il parroco Don Francesco Casagrande si è soffermato con parole piene
di ammirazione su ciò che hanno dato e su ciò che sono ancora adesso gli alpini.
La funzione religiosa è stata impreziosita da alcune cante alpine vocalizzate
dai “Cantori di filò”. Più tardi davanti all’asilo monumento è stata posata la
corona d’alloro in omaggio ai caduti. Si sono susseguite poi le varie
allocuzioni, moderate e presentate dall’impareggiabile cerimoniere Nicola
Stefani. Per i convenuti si sono evidenziati altri spunti importanti che
stimolano la presenza a questa celebrazione. La lettura da parte del capogruppo
Giuseppe Corbanese di uno scritto di Egisto Corradi, reduce di Russia e medaglia
d’argento al V.M. inerente alla battaglia di Nikolajewka, ha introdotto
l’argomento dal punto di vista storico. Il sindaco di Pieve di Soligo Fabio
Sforza, ha ribadito quanto questa rievocazione sia nel cuore della gente del
territorio pievigino. Il primo cittadino ha detto che la ricorrenza invita tutti
a ritrovare quello spirito che spinse gli alpini a sopportare tutti quei tristi
avvenimenti. Il presidente sezionale Giovanni Battista Bozzoli, in una delle
ultime uscite ufficiali, prima di lasciare la carica, si è chiesto il senso di
essere qui dopo quasi settant’anni. “Commemorare e fare memoria assieme queste
parole si trovano nel nostro statuto”. In questi tre interventi c’è quasi tutta
l’essenza dell’ANA, un’associazione d’arma che si volge alla comunità con
l’esempio e la concretezza. A Solighetto si va anche per ascoltare in silenzio
ed apprezzare con sincera commozione le poesie ed i canti attinenti alla
giornata che gli alunni della scuola d’infanzia e di 1° grado propongono da
diversi anni. E’ il frutto mirabile di una sinergia che vede la disponibilità
dei dirigenti scolastici e degli insegnanti assieme alla paziente opera del
“buon maestro” Piero Marchesin. Non è cosa comune rilevare questa condivisione
d’intenti nel far affiorare la nostra storia e nel metterla a disposizione delle
giovani leve. E’ una lezione per tutti, grandi e piccoli. Particolarmente è
piaciuta la recita della poesia di Nikolajewka e l’interpretazione corale di
“Sul rifugio”. Infine la chicca di quest’anno: la dissertazione sul tema da
parte del generale di corpo d’armata Italico Cauteruccio già comandante della
Brigata Cadore. Da insigne storico, l’alto ufficiale è riuscito a catturare
l’attenzione dei presenti disquisendo a braccio, con toni pacati, configurando
la realtà di quei tempi con particolari non noti ai più e riuscendo così a
mettere in luce la verità. In poco più di un quarto d’ora abbiamo avuto la
possibilità di imparare più degli anni trascorsi a scuola e più della molta
bibliografia letta sul tema.
Ecco quindi, a parere di chi scrive, il senso della partecipazione.
Renzo Sossai