GRUPPO SOLIGHETTO |
Maggio 2013 |
La persistente uggiosità della giornata di domenica 20 gennaio ha un po’ limitato la partecipazione a Solighetto alla commemorazione del 70° anniversario di Nikolajewka, non riuscendo in ogni modo a togliere alcunché allo spessore raggiunto nel corso degli anni da questa importante celebrazione.
Quella di
Solighetto rimane un evento particolarmente sentito nel nostro ambito sezionale
perché la nostra è fra le terre che più di altre ha versato sangue nella triste
e sciagurata epopea della campagna di Russia.
Inoltre settant’anni sono un numero pesante e consono per dare ulteriore
solennità a ciò che successe quel 26 gennaio 1943, quando con la forza della
fede e con il più disperato attaccamento alla vita, gli alpini assieme al resto
delle altre unità italiane, riuscirono a sfondare l’accerchiamento russo a
Nikolajewka aprendo la strada per il “ritorno a baita”.
La celebrazione diretta come al solito dall’impareggiabile Nicola Stefani, dopo
l’alzabandiera nei pressi della sede ANA, ha avuto il consueto sfilamento lungo
le vie di Solighetto. La santa messa nella parrocchiale dedicata a Santa Maria
Immacolata è stata officiata da Monsignor Agostino Balliana, generale dei
cappellani alpini, che nella sua omelia riprendendo una delle sacre letture ha
saputo far risaltare la volontà degli alpini e dei reduci in generale, nel voler
ridare vita alle loro comunità nonostante ciò che in precedenza avevano passato.
Parole poche, esempi chiari e significati profondi, queste sono in sintesi le
prediche di Mons. Balliana. Dopo la funzione religiosa il corteo si è ricomposto
per soffermarsi davanti all’asilo monumento da dove era in precedenza partito
con il passo scandito dalla fanfara alpina di Conegliano. In seguito alla
benedizione della corona d’alloro da parte del referente pastorale di Solighetto
Mons. Giuseppe Nadal, arciprete di Pieve di Soligo, è stato reso l’onore ai
caduti. Si sono susseguite le allocuzioni morali abbastanza sintetiche data
l’inclemenza del tempo. Il capogruppo Giuseppe Corbanese ringraziando le decine
di fiamme alpine, le tante bandiere presenti e tutte le penne nere, ha letto un
brano tratto dall’opera autobiografica della medaglia d’oro Enrico Reginato
“Dodici anni di prigionia in Russia”. Il generale medico Enrico Reginato tornò a
casa solo nel 1954 dopo aver passato una dozzina d’anni a cercare di alleviare
le sofferenze dei reclusi come lui nei vari lager sovietici. E’ stato un vero
eroe, degno di essere una medaglia d’oro vivente.
Il sindaco di Pieve di Soligo Fabio Sforza si è soffermato brevemente ma in
maniera significativa su quanto sia importante l’esempio alpino di quei giorni
in questo preciso contesto attuale.
Il presidente della nostra sezione Giuseppe Benedetti ha indirizzato un breve
saluto ai presenti dando quasi subito la parola al vice presidente nazionale
Nino Geronazzo. Quest’ultimo oratore ha elogiato mons. Balliana per la splendida
omelia e ha lodato il capogruppo Corbanese per aver scelto di leggere il brano
del libro di Reginato. Ha ricordato che quest’anno la sezione ANA di Treviso in
occasione del centenario della nascita del gen. Medico Enrico Reginato e della
morte del gen. Alpino Tommaso Salsa, allestirà a metà febbraio una mostra
antologica presso Ca’ de Noal, in centro città, in onore delle due medaglie
d’oro trevigiane. Le consuete evoluzioni poetiche e canore degli alunni della
scuola d’infanzia e di 1° grado sono state ridotte e un po’ mortificate dal
maltempo: I ragazzi erano comunque “sul pezzo” con i loro insegnanti, i loro
genitori ed il “buon maestro” Piero Marchesin, segno evidente della sensibilità
e della disponibilità nel mantenere e divulgare i valori più veri.
Dopo il “rompete le righe” il brulè ed il prosecco abbinati ai cicchetti hanno
riscaldato l’atmosfera nei pressi della bella sede alpina. Quando eravamo pronti
per il ritorno a casa ecco quell’animo umile e nobile di Lauro Piaia che ci
invita a far visita ad una casa situata nei pressi della chiesa parrocchiale. Lì
abbiamo trovato la tavola imbandita con tante buone cose e soprattutto la più
squisita e calorosa accoglienza. E’ la casa della famiglia di Giovanni Pansolin,
quel reduce di Russia che volle ricordare quei suoi commilitoni “andati avanti”
organizzando questa commemorazione. Abbiamo conosciuto il figlio e la vedova
dell’altro che ci ha lasciato troppo giovane. Ci ha profondamente commosso il
loro assolvere volentieri a quel “testamento” lasciato dalla vedova di Giovanni
Pansolin di aprire le porte agli alpini in questa domenica di gennaio. E’ questa
a nostro avviso l’immagine più schietta e più umana dell’alpinità che va avanti
nonostante tutto, senza nulla dimenticare. Tra le cose che rimarranno indelebili
di questa giornata è sicuramente la presenza sulla jeep militare degli alpini di
Soligo di alcuni reduci, perché di loro abbiamo bisogno per misurare il nostro
livello associativo ed essere degni delle loro gesta.
Renzo Sossai