CARTOLINE IN FRANCHIGIA |
Aprile 1962 |
Capitani e capitoni
…considerando la legittima reazione di tuta la stampa alpina per l’ignobile satira televisiva alla canzone del
capitano, devi ammettere che l’articolo apparso nel tuo giornale non corrisponde all’entità dell’offesa, tanto più che
ad essa son seguite altre trasmissioni che non possono risultarci gradite.
Infatti, nel «Carosello» del 6 marzo avrai notato che nella pubblicità «Lombardi» han rappresentato un alpino, con
tanto di cappello, ubriaco; in «Alta fedeltà del 10 marzo, nel dialogo tra la Masiero e Kramer sulla scuola musicale
piemontese, la subrette ha esclamato con aria di commiserazione: «sì, degli alpini» (riferito appunto alla «nostra»
scuola mu$icale) ed atteggiamenti simili si sono pure verificati nella medesima trasmissione.
Scusami se penso che stai invecchiando, ma ricordando la tua aggressività al tempo della naja e le unghiate dei tuoi
articoli du « Fameja Alpina», devi ammettere che il cambiamento è notevole...
P. L. - Udine
Mio caro amico, l’essere un po’ invecchiato non è colpa mia; più responsabile mi sento per la pancetta che ho messo su.
Per quanto riguarda la televisione assicuro di non aver assistito a quella del «capitone» e non mi sembra che sia stato
inefficace pubblicare su «Fiamme Verdi» la storia della Canzone del Capitano (rievocata da Lucia Sollazzo recente
vincitrice di uno dei premi giornalistici «Saint Vincent») perché ho ritenuto opportuno approfittare della circostanza
per far conoscere maggiormente ai soci (e agli «altri» l’origine e il contenuto della nostra bella canzone alpina;
l’ignoranza di ciò ha determinato la parodia televisiva da tutti deprecata ma sulla quale è bene mettere una pietra
sopra e stop.
Ho invece avuto modo di assistere a «Carosello» e ad «Alta fedeltà» ma non ho trovato motivo d’irritazione particolare
trattandosi di espressioni e figurazioni che da anni si susseguono senza malizia sugli schermi televisivi.
Col telegiornale del 18 marzo la RAI- TV ha messo in onda un breve documentario sugli alpini, commentandolo con parole
di stima e riconoscenza.
Non bisogna quindi riscaldarsi troppo per fatti come quelli da te lamentati; sii certo però che, all’occorrenza, le
unghie d’aquila che ci diede il «Tolmezzo» son sempre affilate e pronte a funzionare come un tempo.
Stesso lagno per la TV.
Se non mi sbaglio il Direttore dei programmi televisivi è il Dott. Sergio Pugliese
che fu alpino; come giustifica perciò il fatto che sia andato in onda un programma offensivo per gli alpini?
G. M. - Pieve di Soligo
Confesso di non essere informato sull’attuale direzione dei programmi radiotv.; sapevo che il Dott. Pugliese (che so
alpino) era e forse ne è ancora un Direttore e che è stato praticamente il creatore dei programmi italiani dopo una
lunga esperienza negli studi americani. In quanto alla domanda formulata rispondo con la «cartolina» che precede.
Francia infuocata
La crisi algerina non accenna a diminuire; praticamente i francesi sono giunti alla guerra civile a causa di quella
coloniale. Quale crede che sia la parte giusta?
F. A. - S. Fior
La cosa non interessa la nostra organizzazione; penso comunque che i mali della Francia derivino, in buona parte,
dall’errata convinzione di aver vinta la guerra.
Più che all’Algeria io penso a Briga e a Tenda; se è dalla stessa opinione legga il recente libro ARMONIE di Aldo Ruffi,
vice presidente dell’Associazione Esuli Valle Roja, edito dalla Tipografia TE- CA di Torino e recante una incisiva
prefazione dell’On. Vittorio Badini Confalonieri.
Il «vecio» Generale Piazza
Chiedo ospitalità, almeno tra le «Cartoline in franchigia», per scrivere sul Generale Piazza qualcosa di più di
quanto pubblicato nel vostro numero di dicembre.
Il Generale Gino Piazza era nato a Castagnole di Paese, in provincia di Treviso, il 5 novembre 1878, nella stessa casa
ove è morto il 22 dicembre dello scorso anno.
Nel 1912 fece parte, col grado di tenente, della commissione politico-militare per le trattative con El Baruni,
meritando l’onorificenza di cavaliere della Corona d’Italia.
Rivestì successivamente il grado di Capitano comandando una compagnia a Bormio prima di tornare in Libia al comando
della 54a Compagnia con la quale poi partecipò ai primi combattimenti della Grande Guerra al Martinel, a Monte Nodic, a
Lenzumo, Bezzecca, Monte Vies fino al suo ferimento per bombardamento austriaco dal Forte Por dopo essersi meritato una
decorazione.
In primavera del 1916 fu nelle zona del Monte Nero prendendo parte all’attacco al Vrsic prima della promozione a
Maggiore con l’assegnazione al comando del Btg. Monte Spluga col quale combatté all’Ortigara rimanendo seriamente ferito
e nella cui occasione fu decorato di medaglia d’argento.
Dopo altri incarichi d’ufficio, Piazza si ritirò dal servizio attivo conseguendo successivamente il grado di Generale e
l’onorificenza di Commendatore,
Presidente Onorario della sezione di Treviso dell’A.N.A., partecipò attivamente fino ad una decina di anni fa alle
attività associative e fino a poco prima della morte la sua casa fu un vero cenacolo di alpini.
Ai suoi funerali erano presenti il Generale Galateri, il Maggiore Sugana e una compagnia d’onore della Divisione
«Folgore» oltre a moltissime rappresentanze e associazioni combattentistiche ed alpine del Veneto.
Spero di non aver disturbato e ringrazio dell’ospitalità.
M. V. - Nervesa della B.
Non hai affatto disturbato, vecio carissimo di Nervesa, e ti ringraziamo invece per a-ver integrato
il nostro articolo la cui brevità fu dovuta al fatto che la morte del Generale Piazza (del quale pubblichiamo una foto
del 1916) avvenne proprio mentre avevamo il giornale alla stampa ed abbiamo quindi dovuto inserire sinteticamente la
notizia all’ultimo momento.
Gli obiettori
E’ stato recentemente pubblicato, con un certo rilievo e forse anche in relazione al film «Non uccidere», che il
giovane Benito Ardito (notare il cognome estremamente impegnativo) è stato per la terza volta condannato dal tribunale
di Bari ad un anno di reclusione per essersi rifiutato di indossare la divisa militare in sede di chiamata di leva,
essendosi dichiarato «testimone di Jeova».
Gradiremmo sapere (siamo tre soci del1’ANA) se siamo proprio stati fessi noi ad obbedire alle richieste della Patria e
cosa di preciso sono questi testimoni di Jeova.
seguono tre firme - Farra di Soligo
I testimoni di Géova rappresentano una setta religiosa fondata dal commerciante americano Charles Taze Russell, nato in
Pensylbania nel 1852 da una famiglia presbiteriano: egli si dedicò accanitamente allo studio della Bibbia senza capirci
molto mancando della necessaria preparazione teologica e storico-filologica, e di conseguenza formulò teorie e concetti
religiosi fondati sulla estrema confusione che aveva nella zucca.
Entrato temporaneamente nel movimento avventista, Russell imbastì la sua religione personale sul
tema della fine del mondo che egli assicurava imminente, con inizio dal 1874 mentre il millennio apocalittico avrebbe
dovuto aver inizio dal 1914; la sua setta ebbe maggior consistenza nel 1878 quando Russell (i testimoni di Geova, così
chiamati dal 1931, sono anche detti «russelliti») cominciò a viaggiare per tutto il mondo per diffondere la nuova
religione ma non conseguendo particolari successi.
Morto nel 1916, Russell ebbe a successsore J. F. Rutherford che nel 1920, con un libro dal titolo sensazionale, affermò
che nel 1925 sarebbero risorti gli antichi profeti, con inizio del regno di Géova i cui appartenenti non sarebbero mai
morti.
Tutte queste balle, il rifiuto della Trinità di Dio e dell’immortalità dell’anima (però ci tengono a credere che loro
non morranno mai), l’opposizione alla vita civile e politica (che non è necessariamente rifiuto al servizio militare e
infatti non tutti i «russelliti» sono degli obiettori di coscienza) hanno attratto una piccola schiera di spostati in
tema religioso, i quali non hanno dei sacerdoti propri e nemmeno chiese ma studiano sempre la Bibbia (con la medesima
confusione del loro fondatore) e trovano pretesti per «obiettare» sempre su tutto ciò che di sociale li circonda.
Attualmente i «testimoni di Géova» sono meno di un milione in tutto il mondo, di cui metà nei soli Stati Uniti; in
Germania sono cinquantamila e in Italia quasi seimila tra i quali Benito Ardito.
Adesso che ci siamo eruditi sui «russelliti» ed i loro obiettori di coscienza, facciamoci una bella considerazione
iniziale. Voi tutti che la naja ve la siete sgobbata con rassegnazione (e con la medesima rassegnazione sono morti a
milioni) perchè non siete ricorsi alle testimonianze di Jeova? Quando le vostre famiglie erano in pericolo, i vostri
sudati beni in vista di confisca, i vostri ideali sociali e personali nella prospettiva di repressione ed annullamento,
perchè non ve ne siete lavate le mani proclamandovi «testimoni di Jeova» ?
Obiettori di coscienza: e suona bene questa parola che di buona coscienza sa ben poco e di vigliaccheria assai di più.
Gli obiettori vanno più esattamente denominati «abiettori della coscienza» anche se è apparentemente bello affermare la
priorità della coscienza individuale sulle norme della collettività; non bisogna però dimenticare che l’uomo è sociale
per istinto e necessità e quindi è inconcepibile tirarsi indietro quando è richiesta la più pesante delle prestazioni
sociali: quella di fare la guerra, il che vuol dire «uccidere» ma anche farsi ammazzare.
Non bisogna escludere che ci siano state e possono esserci delle guerre giuste, anche se la guerra è sempre uno schifo
che nulla risolve; certo è che sarebbe sufficiente che solo i governanti, ma tutti e sempre, fossero degli obiettori di
coscienza.
Il cittadino normale non si gode affatto a fare la guerra e tanto meno ad uccidere, ma è ancor meno disposto a farsi
uccidere senza aver tentato di difendersi,
In una guerra giusta il soldato combatte nella convinzione che il sacrificio di uomini e di
sostanze che essa comporta possa essere inferiore al danno che subirebbe la propria nazione rifiutando di difenderla. E
ci sono esempi storici eloquenti di come viene trattato un popolo d’ignavi.
Anche gli angeli e i santi son spesso rappresentati con le armi in mano: e ciò ha il significato non tanto di mezzi atti
ad uccidere quanto quello del principio inderogabile che bisogna combattere con la parola, gli scritti e se occorre
anche con le armi per le giuste cause; quello di rifiutare le armi non è quindi un atto d’amore vero verso l’umanità
tutta, ma una vera dichiarazione di odio all’umanità immediata che ci circonda poiché, finché il mondo è abitato
dall’uomo, una concordia generale basata sull’amore e il rispetto reciproci è addirittura impensabile.
Felicitazioni al Presidente Nazionale
recentemente insignito dai Capo dello Stato dell’Onorificenza di Grande Ufficiale al merito della
Repubblica.
All’Avv. Ettore Erizzo, che per noi va bene alla presidenza nazionale per almeno altri sei anni, gli Alpini coneglianesi
rivolgono le più sincere congratulazioni per il meritato riconoscimento.
E’ FASULLO il capitano alpino del passaggio a livello
Nel numero scorso, sotto il titolo «tiriamoci le orecchie» vi ho in trattenuti sullo spiacevole episodio cui ebbi modo
di assistere recentemente quando un automobilista si qualificò come capitano degli alpini in congedo all’agente della
Polizia stradale che gli contestava un’infrazione alle norme della circolazione.
Fatte le debite ricerche, è risultato che l’incauto automobilista non è mai stato arruolato in formazioni alpine e non
ha nemmeno effettuato il servizio militare; appassionato della montagna ed ottimo escursionista egli è socio di sodalizi
alpinistici e, nell’ultimo periodo bellico, ha fatto parte della Resistenza.
Ma capitano, e alpino, mai!
Il definirsi «capitano degli alpini» non è quindi stato generoso nei nostri confronti, sopratutto nella circostanza in
cui ciò avvenne, mentre con sincera generosità evitiamo di pubblicare il nome del protagonista che, vogliamo crederlo,
non rinnoverà più episodi consimili.
M. A.
AL NOSTRO PRESIDENTE
giungano rinnovate condoglianze di tutti i suoi Alpini per la morte della sorella Cesira Curto ved. Camerotto, avvenuta
alla vigilia dell’Adunata Nazionale di Bergamo.