IL COMBATTENTE |
Maggio 1962 |
Ti vedo, Soldato d’Italia, nell’attimo estremo del tuo balzo verso il nemico.
Isolato o con molti, sei sempre ugualmente solo di fronte al nemico, e il tuo assillante problema di vita e di morte è
unico, distinto, quasi isolato dallo stesso, identico, problema di vita e di morte dei tuoi compagni di battaglia.
E’ appunto dalla fusione d’intenti e di sacrifici, tuoi e degli altri soldati, che più si rileva la gravità ed
assolutezza della tua angoscia. Per conquistare la vittoria alla Patria o per meritare una onorevole sconfitta, è
identico il sacrificio personale tuo od altrui.
Le statistiche parleranno solo con somme, un linguaggio fatto di aride cifre di bilancio, con le sue attività e le sue
passività: morti e dispersi dell’una e l’altra parte, i feriti, i prigionieri dell’una e dell’altra bandiera.
Ma non si potrà accertare quali esattamente saranno state le attività e quali le passività; simile indagine rivelerebbe
che si tratta di tutta passività, costituente un pauroso e da millenni crescente deficit dell’uomo verso l’Umanità.
Anche a te, Soldato che ti prepari all’assalto, queste considerazioni appaiono valide e sai bene che, come un bilancio
non rivela mai tutto e spesso evita l’essenziale, anche il consuntivo della battaglia nasconderà il perduto valore della
tua interiore spiritualità pur ricordando la tua unità corporea che non ha valore senza la prima.
Per i capi e gli storici sarai solo un numero tra molti, meno di una moneta spicciola tra tanti milioni sprecati al
gioco.
Tu pensi esattamente invece, quasi in un’oasi di lucidità
interiore nel terrificante rivolgimento che ti circonda e ti avvolge sempre più: ben comprendi i valori che stai per
perdere e che sempre porti quasi tutti sintetizzati in una fotografia portata tra le pieghe dell’ultimo foglio di
licenza, nella medaglietta votiva che ti si è incollata al petto per il continuo sudare, nel piccolo crocifisso che
tragico balia coi proiettili nelle giberne avvizzite.
Il tuo equipaggiamento ed armamento sono simili se non uguali a quelli degli altri: il tuo elmetto, il tuo cappello
d’alpino, è uguale a tanti altri; hai lo stesso quantitativo di proiettili, distribuito con la tradizionale parsimonia
dei poveri, Sei nella stessa trincea di tanti altri o sulla medesima nave o su di un aereo in drammatica comunità.
Guardi avanti verso la conquista da fare o sei proteso ad arginare quella degli altri che da te si distinguono per la
diversa bandiera che sventola nelle loro file, per l’uniforme differente che indossano, per le loro armi quasi sempre
più forti ed abbondanti delle tue, e costretto sei a supplire con un disperato eroismo. Non dissimile è il cuore del tuo
nemico, greve come il tuo di alterni sentimenti di amore e di odio: un amore particolare dell’’uomo per l’uomo, un odio
generico per l’opera dell’uomo.
Nella nuvolaglia dell’orizzonte, nella selva di fucili che ne esce, nella massa di uomini che
avanzano in quella cui sei diretto, tu cerchi di individuare quell’uomo che tiene ne tascapane la bomba del tuo destino,
che porta in canna la pallottola che ti si incapsulerà nel cuore a spegnere, più che la brama di vivere, la tua
programmata volontà di agire, il desiderio di fare, di costruire, che deriva dalla tua giovinezza.
E mentre sguazzi nel sangue fumante che intorno schizza
irrorando la terra, rivedi l’album della breve tua vita che forse volge all’ultima pagina: nitida di volti, di fatti, di
pene, di gioie e conquiste passate. Ripensi a che lasci, non a ciò che altri ti davano e darebbero, ma quanto hai dato e
non potrai, forse, più dare.
Ma, col mio dire, più non ti rivedo, Soldato d’Italia; t’ho perso ai miei occhi nell’orrida scena di guerra sulla quale
la sera ormai cala le sue ombre qual tela vermiglia.
Ove sei ?
Forse tra i morti cui la pietosa mano del prete-soldato va chiudendo gli occhi sbarrati in un’ultima disperata voluttà
di luce? O forse tra i feriti ai quali l’assillo di vivere o no permane e s’accresce col tempo che passa ed il sangue
che fugge ?
Nel fondo di destra e sinistra due gruppi lontani si
perdon via via verso i nuovi destini dei vivi. Ma tu, Soldato mio d’Italia, sei sotto il tricolore della Patria con le
tue armi in pugno, o sei all’altro lato mentre l’avversa insegna ti fa da pungolo verso la cattività ?
Non interessa sapere quale fu il vincitore se ben ce ne fu uno: io cerco te e non ti so trovare.
Sarai in un imponente ossario se il tuo sacrificio ha valso alla vittoria che te ne conquistò le spoglie; o in un
piccolo cimitero di guerra, spesso in una terra straniera che tu vivifichi di umore umano fino a che il tempo e il
rinnovato odio non cancelleranno ogni segno pietoso.
Forse t’avranno frettolosamente sotterrato, amici o nemici, perchè ormai più non servivi, specie se i piccoli ori della
madre o della sposa già furono oggetto di vile asporto. Le tue ossa riaffioreranno tra anni dai piedi di una quercia, da
un nevaio che si squaglia, da una duna che il vento impetuoso dissolve, oppure si sono congiunte a quelle degli uomini
caduti in mare, ai quali le portano le veloci acque dei fiumi che ti videro morire.
Resistono le tue ossa, al sole delle pietraie infuocate che le trasforma in pur fragili pietre, all’acqua dei laghi che
le avvolge di morbidi muschi, alle salate profondità del mare che te le raccoglie fra i coralli preziosi.
Ti diedero perduto, disperso nella bufera violenta ch’è l’unica cosa che l’uomo da solo sa creare, e chi ti donò al
mondo non sa ove sei, colei alla quale legasti il tuo corpo non sa più ove cercarti, coloro cui fosti fonte di vita non
possono bagnare di lacrime la loro estinta sorgente.
Tu vaghi solo per il mondo, le tue ossa confuse con quelle d’altri, come l’omaggio che i vivi renderanno al loro Caduto
ignoto.
Se prigioniero, tornasti? se ferito, guaristi ?
Nelle rare cerimonie patrie, ci sarai, se vivo passasti la
prova terribile che gli altri fiaccò.
Son passati da sessanta a venti anni da quel giorno; nei casi lontani avesti dei figli che han ripetuto la tua strada ma
che spesso non sono tornati dalla fatalità che tu evitasti.
Al garrìo delle bandiere, allo squillo delle trombe, nel silenzio di omaggio ai Morti, tu ritorni alla tua giovinezza e
ripensi all’opera svolta nel passato più o meno lontano; ed eccoti tra le file dei combattenti d’Italia che sentono solo
rinnegare una meritata vittoria o rimproverare una immeritata sconfitta.
Il labbro tuo si atteggia alla stessa smorfia di dolore di quando assaltavi il nemico e sentivi bruciare le ferite
prodotte dalle roventi scheggie delle esplosioni vicine.
T’assale un impeto di cosciente furore: verso te stesso per l’inutilità degli sforzi compiuti in tutta una vita di
dedizione alla società; verso la collettività per il progressivo ed apparentemente inarrestabile scivolamento verso
l’incoscienza nazionale e sociale.
Sei deluso, sfatto, reso ormai incapace dalle fatiche di guerra e di pace, dalla vecchiaia insorgente,
dall’irriconoscenza umana, dall’avvicinarsi della morte; e attraverso il velo
di lacrime che stacca l’essere tuo dalla realtà, rivedi la tormentata storia d’Italia e la lunga teoria di lotte
vissute; quelle sacre che gli altri dissacrarono, quelle insane che tu, Soldato d’Italia, consacrasti col tuo sano e
cosciente eroismo e sacrificio.
Ma di tanta Luce, troppo poca n’è rimasta ad illuminare la Via.
MARIO ALTARUI