MIA MADRE |
Febbraio 196 |
Il leccio che ora espande
oltre la siepe i rami
lo crescean le sue mani
prima che uscisse dalla porta grande.
Quando? Chissà! diremo un giorno boia,
un giorno come un altro
ieri d’ilari giochi oggi di noia.
Noi si giocava a lippa
sciolti caracollando
nell’aria e nella luce
quando mio padre (mi sembrava truce)
ci fece risalire
sino alla buia stanza.
Ricordo quell’odore acre,
il silenzio che incupiva il metallico tic tac
della sveglia, il singhiozzo d’organetto
che saliva dal fondo della via.
Che caos di rimembranza!
Ella giaceva pallida sul letto
come una cosa piatta
ed al nostro apparire
raccogliendo le forze fece un cenno:
alzò la mano quasi a benedire.
Allora la nidiata,
quattro pulcini stretti e pigolanti.
Cristo! capì chi si moriva: mia
madre. La chioccia; e pianse pianse pianse.
Adesso l’alberello,
Che visto dalla strada
sì e no arrivava ai vetri del tinello,
troneggia strafottente e il solatio
scherma ai rari passanti,
ma da quel tempo nell’inconscio io
si confondon le immagini
d’alberi neri e preti salmodianti.
NINO DALLA ZENTIL