CENTOMILA GAVETTE DI GHIACCIO |
Maggio 1963 |
Non credevo che si potesse realizzare un libro di guerra così intensamente drammatico e stilisticamente ottimo.
I molti conflitti han fatto fiorire una vasta letteratura dovuta talvolta più all’impeto appassionato che
all’attitudine: prosa e poesia sfociate dall’animo dei combattenti reso maggiormente sensibile dagli eventi vissuti.
Gli scritti di guerra non sono mai troppi: ogni pagina di libro, ogni terzina di poesia, esprimono una esperienza che
merita sempre di essere confidata ai compagni di ventura e soprattutto fatta conoscere a chi la guerra eluse.
E come un combattente ritorna più buono ed umanizzato dall’esperienza bellica il più delle volte estremamente disumana,
così i suoi ricordi devono ripetere nei lettori gli stessi motivi di perfezionamento integrati dal sentimento della
riconoscenza.
Se i fini e la varietà delle espressioni scritte son quindi sempre giustificati e gradibili, tra le tante emerge
talvolta l’opera squisita sotto ogni aspetto: dall’intensità del tema alla formula interpretativa.
E’ questo il caso di CENTOMILA GAVETTE DI GHIACCIO, il volume edito da Ugo Mursia di Milano e scritto dal medico Dott.
Giulio Bedeschi.
Descrivere i pregi dell’opera non è facile, tanto essi son validi ed efficaci.
Quello di Bedeschi non è un libro che si legge tutto d’un fiato.
Molti volumi di guerra vengono solitamente trascorsi in un solo pomeriggio, scivolando sveltamente la lettura su una
prosa semplice e piatta, per giungere al più presto al nucleo del fatto d’armi o degli episodi che giustificano la
sussistenza del libro. A leggere Bedeschi ciò non avviene perchè chiunque è portato a sostare, e talvolta a ritornare,
con crescente doloroso interesse, con agghiacciante stupore, riga su riga.
La lettura di questo libro di ben giustificato successo, coinvolge il lettore facendolo partecipe, con i personaggi
stessi del duplice dramma di Grecia e di Russia, delle ansie, delle fatiche, degli eroismi, dei successi impensati e
delle delusioni immeritate di tanti figli d’Italia.
La missione di sottrarre alla morte e ai patimenti una collettività travolta dalla brama di uccidere e ferire, ha fatto
lievitare in Giulio Bedeschi quella preparazione letteraria che pur frequentemente si ritrova tra i medici.
Nomi di combattenti e denominazioni di reparti, sono stati dall’autore sostituiti riassumendo in unità e personaggi
simbolici, e perciò più rappresentativi, le imprese e le sofferenze di un più vasto insieme d’uomini; il libro non
contiene quindi l’esposizione dei fatti personalmente vissuti dall’autore e dai compagni immediatamente vicini, ma
raccoglie i sacrifici comuni, gli eroismi frequentissimi e la disperazione di molti, nell’intento di evitare pur
meritate glorificazioni personali e per dare al lettore la possibilità di sentire amplificato il racconto come un
abbraccio anche a tutti coloro che nessun libro potrebbe altrimenti ricordare.
Il libro, appassionato e sincero. giunge ai lettori a vent’anni dai fatti che l’ispirarono.
E’ un fiore triste ma bello anche se originato dalla maligna semente della guerra; nuova prova questa che dal male
procede il male solo se la spiritualità soccombe al-
la materia, solo se il bene non presiede ogni azione umana.
E’ il fiore più bello che Giulio Bedeschi potesse posare sulle tombe dei compagni contrassegnate da centomila gavette di
ghiaccio; la commozione e la riconoscenza dei lettori varranno a mantenere vivo per sempre questo fiore di pianto.
m.a.
Ci riserviamo di pubblicare, nei prossimi numeri, qualche brano di questo interessantissimo volume che raccomandiamo sin d’ora ai nostri Soci di leggere e diffondere.