ALPINI IN RUSSIA SUL DON |
Agosto 1964 |
di Manlio Barilli - Ed. Ciarrocca Milano 1954
Con dieci anni di ritardo ho letto «Alpini in Russia sul Don» di
Manlio Barilli: libro noto e spesso citato nella bibliografia alpina, che da gran tempo attendevo di leggere e che un
briciolo di vacanze mi ha consentito di levare dallo scaffale.
Ciò che sto scrivendo non rappresenta quindi una «segnalazione» del volume che certo molti han già letto e valutato da
molto tempo, e le mie modeste parole non costituiscono un apporto apprezzabile a meglio porre in luce l’opera.
«Alpini in Russia sul Don» non ha bisogno di lucidature ché superato o dimenticato non fu mai, ma sento doveroso
intrattenermi per quel debito di riconoscenza che, come ogni alpino, sento di dover rivolgere all’Autore.
Manlio Barilli, vecchia penna bianca, combattente e scrittore alpino, ci ha dato oltre al bel libro cui particolarmente
vengono dedicate queste parole — anche tre preziose opere che raccolgono la storia del 4°, del 7° e dell’8° Alpini.
Come per le predette valide fatiche Barilli è — anche in «Alpini in Russia sul Don» — conciso, documentato, esauriente
ed infine innamorato; innamorato degli Alpini ai quali ha dedicato prima le armi e poi la penna con l’unico scopo di
testimoniarne la gloria indiscussa.
Molti dei bei nomi che formavano il nostro Corpo d’armata in Russia erano conosciuti da Barilli il quale ebbe così modo
di ricordarli nella forma più completa e convincente.
Dedicato agli Alpini caduti e dispersi (classificazione purtroppo ormai unificata), il libro riporta l’elenco delle m.o.
individuali e le motivazioni delle decorazioni alle varie unità alpine che combatterono in Russia; l’Autore presenta
infine l’opera con un saluto biografico al Generale Gabriele Nasci deceduto nell’aprile del 1947.
Numerosi sono pure i «medaglioni» dedicati a numerosi eroi caduti o spentisi successivamente alla guerra e legati
all’autore da particolari ricordi personali: G. Martinat, N. Calbo, G. Slataper, P. Poli, G. Fasano, L. Ansaldi.
Oltre a rispecchiare con fedeltà amarezze ed eroismi delle varie divisioni alpine impegnate sul fronte orientale, il
libro di Barilli ha pure il grande pregio di contenere uno schema conciso e chiaro dei movimenti tattici del Corpo
d’Armata Alpino, con esauriente corredo di schizzi topografici e cartine illustrative assai utili ad un approfondito
esame della determinazione più esatta possibile dei vari schieramenti.
A ciò si aggiunga il prezioso elenco degli ufficiali appartenuti alle singole divisioni, ricostruito con la massima
fedeltà possibile grazie ad un comprensibile e paziente lavoro di ricerca.
Ottima per la scelta e per quantità la documentazione fotografica che accompagna il libro e che ha dato motivo
all’autore di una presentazione appassionata, talvolta apparentemente eccessiva nei toni di fatti e persone che
rappresenta. Dico apparentemente perché ciò può sembrare a chi non sa che quella teoria d’eroici volti è un po’ l’album
di famiglia dell’autore il quale ha preso occasione proprio dalle fotografie fuori testo per dare più libera espressione
ai propri sentimenti; non si riscontra comunque un eccesso di generosità nelle didascalie — solenni e quasi invocate —
che Barilli ha scritto col cuore, ma ci piace osservare che esse costituiscono quasi un libro a sé pur compenetrandosi
intimamente con tutta l’opera.
Il contenuto di «Alpini in Russia sul Don» rivela con evidenza la natura alpina della fonte, ma è il risultato di
un’osservazione imparziale degli avvenimenti descritti, senza lievitazioni né compressioni degli uni od altri fatti.
Il bel libro di Barilli è invecchiato, se così è concesso esprimermi, solo per eventi intervenuti dopo la sua stesura:
nuove medaglie d’oro conferite, qualche ritorno di eroici ufficiali allora prigionieri, e purtroppo, come dissi
all’inizio, la perduta speranza che i dispersi possano tornare.
Ritengo che «Alpini in Russia sul Don» rappresenti la migliore opera di Barilli pur confessando che poco ancora conosco
della sua lunga e proficua attività di scrittore e giornalista alpino. E se sbaglio è colpa mia perchè, anche delle
storie reggimentali descritte da Barilli conosco solo quella del 7° (dalla quale vengono tratti appunti che vado
presentando su «Fiamme Verdi») mentre non posso valutare la storia del 4° Alpini e (grave per me che fui nel
«Tolmezzo»e) nemmeno la sua recente Storia dell’8 Reggimento.
Il descritto libro di Manlio Barilli costituisce in ogni caso un’ottima opera che va letta da chi ancora non la conosce,
e riletta (come io stesso farò) da quanti hanno già avuto la fortuna di dedicarle l’attenzione.
Il nostro giornale non mancherà inoltre di pubblicare alcune tra le pagine migliori di questo libro che Manlio Barilli
ha scritto con amore non disgiunto dalla verità, con riconosciuta perizia, con equilibrato giudizio privo di retorica e
di falsi scopi.
M. ALTARUI