ITALIANI BRAVA GENTE |
Dicembre 1964 |
Nella mia città — decorate di medaglia, d’oro al valore militare — era in programma (in un cinema di proprietà del
Comune e a gestione privata) il film ITALIANI BRAVA GENTE; era proprio il 4 Novembre (nei giorni precedenti era apparsa
Sui giornali la preghiera che la pellicola non venisse proiettata almeno per quel giorno) e, in vena di peccato pure io,
vi andai. Sono state le mie quattrocento lire peggio spese dell’anno.
Ho detto all’inizio che come film sovietico il lavoro di De Santis può andare, ma è doveroso precisare che ciò è
ammissibile per quanto concerne la finalità e il contenuto poiché sarebbe un’offesa pensare che i russi producano film
di un livello artistico così scadente; ma, anche per quanto concerne l’essenza del film è da porre dubbi che i russi
sarebbero da soli caduti in una retorica tanto bolsa e puerile.
Ad ogni modo la pellicola ha avuto la sua presentazione con la serie dei nomi dei... realizzatori (stavo per dire
«responsabili») quasi tutti evidenziati in coppia come innamorati: uno italiano e uno russo, uno russo e l’altro
italiano e così via.
I fatti descritti — che il produttore Giuseppe De Santis afferma come «incontestabili» anche per quanto concerne i
luoghi descritti — sono stati contestati proprio dal Gen. Chiaramontj che al tempo degli avvenimenti era colonnello e
che, comandando il reparto operante nella precisata zona del Bug, si è sentito identificato nella figura del comandante
peraltro interpretata in modo encomiabile da Andrea Checchi. Ritenendo che il produttore non sia esattamente informato,
io propendo a credere più al Generale Chiaramonti che a Giuseppe De Santis.
Il film meriterebbe un’ampia descrizione ma devo tralasciare molti dettagli anche perchè non afferravo spesso il dialogo
quasi sempre dialettale dei soldati italiani mentre risultava che i russi capivano benissimo il romanesco, il bergamasco
e il napoletano.
Il film si basa sulla seguente classificazione ormai giunta alla noia:
— i russi tutti eroici e generosi; la popolazione russa paziente, sprezzante e perseguitata;
— i tedeschi tutti carogne con l’attenuante dei disertori; e ci hanno messo anche qui i cani perchè, essendoci una razza
di «pastori tedeschi» sembra necessario dimostrare che anche i cani erano sanguinose SS che abbaiavano «Heil Hitler»;
— i fascisti altrettante carogne: ladri, stupratori, sbruffoni, vili, ecc;
— gli italiani (cioè i soldati dell’esercito), di volta in volta ingenui, scadenti nelle azioni, disertori, con gli
ufficiali rassegnati e il sergente fetente e vile: in sostanza, dei bravi imbecilli anziché della brava gente.
Parte degli spettatori rideva alle battute di Raffaele che impersonava il soldato Libero Gabrielli; una delle più belle
(e commoventi) era appunto quella del soldato Gabrielli che riferì quanto li padre gli disse alla partenza: «Vieni a
caso se no t’ammazzo!» E la gente rideva, come quando i soldati dicevano che i morti fertilizzavano la terra meglio del
concime ed infine quando Gabrielli disse: «Non potevano lasciarmi a casa? Soldato più, soldato meno; qui (ridendo) siamo
tutti dei militi ignoti; eh! (con evidente riferimento) io il monumento ce l’ho già! ».
Un soldato riceve una lettera da casa dopo un anno (ed è una balla) con la notizia che gli è morto il nonno; e allora il
soggettista gli fa dire, quasi che fosse una cosa spiritosa: «Ma come faccio a piangere la morte del nonno dopo un
anno?!». A questa scenata gli spettatori ridono.
Penosa era la scena della retata di popolazione russa che canta impavida l’Internazionale malgrado le botte dei
tedeschi. Vero ma avvenuto in Grecia l’episodio del soldato Sanna (sardo e non pugliese di Cerignola) che rompe la
faccia a testate a un tedesco che gl’impediva di dare un pezzo di pane a colui che aveva iniziato a cantare; il fatto
riguarda invece l’offerta del pane a un bambino greco affamato, e se a qualcuno interessa descriverò la circostanza in
altra occasione.
Quella dei soldati che rubano gli orologi è una pagliacciata anche perchè si vedevano (nel film) contadinelle prive
persino di sottoveste e di scarpe ma con un orologio al polso di fabbricazione almeno svizzera, di foggia modernissima
ed elegante cinturino, che si sentiva lontano un miglio ch’era appena uscito di negozio.
La popolazione dava dei fascista a tutti i nostri soldati con un coraggioso disprezzo degno di miglior causa.
I fascisti hanno nel film una intensa citazione. Razziatori e saccheggiatori, inseguitori di ragazze con tentativo di
violenza in cinque o sei per una (evidente ingenerosa copiatura, anche nei particolari fotografici, dell’analoga
sequenza del film «La ciociara» il cui fondamento storico è chiaramente provato grazie alla «civiltà» del Comando
Alleato in Italia!) e provvidenziale intervento del soldato Gabrielli che fa però dedurre che non in tutti i casi può
esserci stato un nostro soldato ad intervenire con bombe a mano. Tant’è vero che, per punizione provocata dal comandante
delle camicie nere, il reparto del nostro esercito viene rinviato in prima linea.
Sul maggiore (mi sembra che si dicesse «seniore») delle camicie nere c’è tutta una storia e quando arriva a bordo di
un’autoblinda (in uno stadio con l’enorme scritta «vincere» e quadri di Mussolini, scritte fasciste, ecc.) si prende una
palla di neve in testa mentre esce dal portello. Questo ipotetico comandante dei «superarditi» fascisti si dimostra
violento (schiaffeggia un cuciniere), accusa di disfattismo gli altri (e tira fuori il «tutti eroi o tutti accoppati»),
insubordinato nei confronti del colonnello, vile fingendo di essere mutilato di una mano che poi risulta essere ben sana
per guidare un camion nella ritirata e per sparare a due nostri militari finendo poi male (linciato forse come parrebbe
significare quel guanto nero abbandonato sulla neve) per la reazione dei soldati.
Tanto per non mettere dubbi che anche tra i soldati dell’esercito c’erano dei sanguinari fascisti, l’estensore del film
inventa un sergente feroce (gli americani creano per i loro film i sergenti che da soli vincono la guerra: e fa
altrettanto schifo) che dà dei traditori ai propri subordinati e che ammazza vilmente un soldato russo che allegramente
si contende, con un nostro soldato, il possesso di una candida lepre uccisa tra le due opposte trincee. Anche per questa
scena il regista ha usato i due prototipi di soldati: il russo gigantesco, dall’infantile espressione di vigorosa bontà
e che muore con una smorfia d’incredulità e di rassegnato disprezzo; il nostro soldato esile e con un’espressione quasi
ebete che, colpito, cade col viso contratto in una grinta rabbiosa e maledicente.
Altra figura ridicola il film riserva al tenente medico: napoletano, lavativo, raccomandato, con addosso un
impermeabilino borghese bianco che usano i signorini di oggi e non di vent’anni fa.
Avviene che il capo partigiano (quello che in precedenza aveva solennemente iniziato a cantare l’Internazionale) si reca
a chiedere l’aiuto del medico italiano per curare un ferito russo ed offrendo se stesso quale ostaggio. Finalmente, dopo
un dialogo in cui la titubanza dei nostri è contrapposta alla fermezza del partigiano, il tenente medico parte con i
russi e durante il viaggio parla in napoletano e i russi lo capiscono ed ascoltano con facciotte bonarie; perché non si
sporchi i lucidi stivali lo portano persino in braccio, e lui — pazzerello — che parla un po’ di tutto chiedendo tra
l’altro: «Ma se siete atei come fate a bestemmiare?!». Intanto se la prende comoda, non si lascia bendare che da una
sfolgorante partigiana e cura il ferito (la dottoressa russa è ferita ad una mano!) e viene alla fine anche festeggiato.
Al ritorno una pattuglia tedesca ammazza medico ed accompagnatori (questi, tanto per cambiare, avevano reagito con
immediatezza) e gli italiani, non vedendo tornare il proprio medico, impiccano il partigiano.
Questa circostanza (e la data 12-4-1942) è stata confrontata dal Generale Chiaromonti prima citato, come pure la
fucilazione di alcuni borghesi russi come vendetta per aver fatto saltare una fabbrica che poi in realtà non è mai
esistita.
Naturalmente, in tutti i combattimenti, si vede che pochi russi fanno fuori centinaia di nostri soldati (scene la film
western americani!); persino un carrista, avuto il mezzo immobilizzato (per un guasto, eh!) esce decisamente dal
portello col mitra e fa fuori almeno un plotone italiano.
Quando poi i russi sfondano il fronte le sequenze del film diventane caotiche; alla fine il colonnello italiano è
costretto ad arrendersi e, mentre raccoglie lentamente le piastrine di riconoscimento dei morti ai quali rivolge il
saluto col rituale «Onore ai Caduti», i russi tutti attorno se ne stanno buoni e comprensivi ad osservare!
Beh! Adesso sono anche stufo di raccontarvele tutte, ma avrete capito ugualmente che, salvo qualche limitatissimo
pregio, il film fa veramente disgusto soprattutto pensando che esso è stato realizzato pestando anche materialmente quel
terreno e quella neve che ancora ricoprono i resti dei nostri soldati.
I realizzatori del film hanno reso un pessimo servizio proprio ai russi. Anzitutto perchè vogliono mettere in ridicolo
il nazionalismo (che non piace nemmeno a noi essendo una degenerazione del vero patriottismo) che è stata la più potente
leva con la quale il comando russo ha agito sui sentimenti del popolo e dell’esercito, e soprattutto perchè, con
«Italiani brava gente», hanno sminuito la vittoria dell’esercito sovietico sull’eroismo del quale noi non vagliamo porre
dubbi. Infatti, se due soli russi eliminavano mezzo reggimento italiano e pochi cosacchi sfasciavano con tanta facilità
le divisioni tedesche, si deduce che quella dei russi è una gloriuzza da Ragazzi della via Paal. Non è forse meglio
ammettere che, pur essendosi rivelato invincibile, l’esercito russo ebbe dei degni avversari? Italiani e tedeschi che,
pur nella diffusa poca convinzione di vittoria, hanno fatto costare ai russi milioni di morti alla memoria dei quali,
egregio Signor De Santis, io m’inchino con la stessa pietà che nutro per i nostri Caduti verso i quali sento, come
differenziazione, un fraterno sconfinato e dolente affetto.
Prima di chiudere voglie dire ai lettori come ho terminato la mia giornata del 4 Novembre.
Ho acceso il televisore al programma musicale «Napoli
contro tutti» che sul finire prevedeva un accordo tra «nordisti» e «sudisti» della canzone italiana; poiché
all’orizzonte della canzone appariva il quartetto inglese dei Beatles, giunse a cavallo Domenico Modugno (mi scuso: il
Commendatore al Merito della Repubblica Italiana Sig. Domenico Modugno) il quale proclamò dall’alto del suo destriero:
NON CANTI LO STRANIERO! E poiché mi sembrava che, su imitazione del bollettino della vittoria del 4 Novembre, egli
declamasse che i Beatles sarebbero stati rigettati oltre la Manica ecc., mi buttai sul televisore spegnendolo, e me
n’andai a letto.
M.ALTARUI