OCCORRE DIFENDERCI


Agosto 1964

Qualcuno m’ha chiesto perché nel precedente numero non è apparsa una dettagliata cronaca della 37’ Adunata nazionale; solo una fotografia con una sbrigativa didascalia di presentazione è effettivamente poco.
A parte il fatto che la desiderata ampia cronaca ogni alpino se la può leggere nel giornale nazionale per cui, salvo particolari episodi d’interesse sezionale, è inutile ripetere la descrizione negli altri giornali alpini, dirò che, pur essendo io il redattore del periodico, non ho partecipato al massimo nostro convegno.
Mi mordevo le dita per trovarmi a Madrid invece che a Verona proprio nei giorni dell’Adunata nazionale e mi ripromettevo anzi di tener nascosto il fatto agli amici alpini per non sentirmi accusare di eretica diserzione.
Il «rimorso» è cessato quando tanti echi dolorosi mi son giunti a rivoltare il fegato attraverso i timpani; e fatemi pur buttar fuori dall’A.N.A. se non vi va di sentirmi dire ch’è stato meglio trovarmi nella Valle dei Caduti spagnoli d’ogni idea piuttosto che tra gli alpini vivi a Verona.
Mia moglie non mi segue da tempo nelle mie frequenti peregrinazioni alpine: anzitutto perché in tali occasioni ho sempre da fare coi miei «veci», e infine perché voglio che mia moglie rimanga con «adeguata» fiducia verso me e verso gli alpini per i quali fin troppo spesso la lascio in casa. Ammesso e non concesso quindi che mi fossi trovato a Verona con la moglie o la sorella (ch’è più alpina di me!) e fossero state usate loro le malegrazie (chiamiamole così) che molte donne han dovuto subire in quell’occasione, vi garantisco che i giornali avrebbero avuto articoli del genere: «alpino nervoso rompe la testa a mascalzone con cappello alpino»; e chi mi conosce sa che le teste mascalzone rotte si potevano moltiplicare più volte.
Uguale risultato si sarebbe verificato se avessero mal ridotto la mia auto fracassando bottiglie sul cofano magari con l’insulto «ch’è giunta l’ora di finirla con gente che va in macchina». Il «carro agricolo» — come chiamo la mia auto — me lo sono comprato per esigenze di lavoro e pagato coi miei soldi e tale considerazione era valevole anche per la maggior parte degli automobilisti molestati a Verona.
Se avessi dovuto redigere la cronaca dell’Adunata non avrei potuto dimenticare tutto questo anche
se la cosa richiedeva dei conseguenti interrogativi.
Anzitutto è notorio che nelle nostre adunate s’intruffolano molti delinquenti travestiti da alpini (abbiamo scritto nel numero scorso che il nostro cappello viene usato persino dai rapinatori) per cui è opportuno distinguere i soci dell’A.N.A. dagli altri.
Considerando che, in caso di occupazione militare, gli alpini sono stati magari necessariamente duri ma non così ingiustificatamente villani come a Verona, fa maggiormente credere che gli autori delle mascalzonate siano stati tutt’altro che alpini.
Risulta che la stampa non alpina ci ha risparmiato critiche per i fatti di Verona, e ciò è confortante per noi essendo la dimostrazione che anche gli osservatori esterni sanno di non incolpare l’A.N.A. né i suoi dirigenti né la più parte dei soci. Sarebbe però per noi colpevole non provvedere con decisione e serietà perchè i raduni, piccoli o grandi che siano, non diventino motivo di critica da parte di milioni d’italiani (e di non pochi stranieri!) che guardano a noi come ad un termometro di serietà nazionale.
Radunare centomila persone è sempre un grave problema e qualche guaio nascerebbe anche se si trattasse di un convegno di chierichetti, ma ciò non esime dal fare il possibile perchè quell’enorme concentrato di forza che rappresentano centomila alpini non costituisca motivo di timore da parte di coloro che vengano ad applaudire, ma dia invece sollievo e tranquillizzazione e soprattutto fiducia.
Sarebbe lungo spiegare tutti i motivi per i quali gli alpini sentono il bisogno di radunarsi. Son molti gli scopi di carattere associativo ma ritengo ormai preminente la finalità sociale.
Tra tante manifestazioni di piazza che nascono dall’incomprensione sociale e si moltiplicano all’insegna della disperazione e della violenza, le adunate alpine devono emergere e nettamente distaccarsi per la santità delle sue cause e devono trasmettere a questo sfiduciato popolo italiano la convinzione che tutti uniti si può costituire una forza economica e nazionale possente, purché vi sia quel senso di uguaglianza umana che gli alpini confermano, quel senso di sacrificio comunitario ch’è l’unico ad edificare le fortune sociali tanto sperate.
Ecco quindi che le adunate nazionali devono suscitare fiducia e senso del dovere, devono far rinascere quella coscienza nazionale (ch’è patriottismo ma questa espressione a molti fa paura!) che nessuno s’è curato di coltivare ma al quale i reggitori della cosa pubblica ora s’appellano per superare i guai, non solo economici. che opprimono l’Italia,
Questo e tante altre cose devono dire i nostri raduni e proprio per questa esigenza nazionale non possiamo permettere che i quattro matti di turno li rendano invisi ed inefficaci.
Siamo tentati di suggerire la riduzione del costo della tessera-adunata (con meno benefici connessi) per favorire il suo acquisto da parte della totalità degli alpini partecipanti, e che essa contenga un contrassegno (con indicazione della sezione di appartenenza) da portare al risvolto della giacca; non è assolutamente piacevole (addirittura obbrobrioso che un Alpino con relativo cappello debba venire «accertato» in base a un ciondolo di cartone!) ma potrebbe servire a qualcosa se ciò venisse precisato nel manifesto ufficiale delle adunate nazionali e con qualsiasi altro mezzo di diffusione consentito.
Escludendo l’opportunità dell’intervento incontrollato di alpini veri nei confronti di disturbatori alpini o meno (il che darebbe modo agli «interessati» di far credere inesistente la nostra fraternità) non sarebbe inutile «aggregare» alpini volonterosi (naturalmente muniti di evidente fascia o contrassegno di servizio) alle normali forze dell’ordine.
Dobbiamo essere grati a polizia e carabinieri per aver fin troppo tollerato molti fatti che accadono nelle nostre adunate, ma è tempo ormai che l’intervento divenga deciso; la presenza di nostri soci a fianco dei tutori dell’ordine avalla ogni azione repressiva e salva la faccia all’Associazione.
Si pensi poi alla denuncia ai non alpini camuffati col cappello e si butti fuori dall’A.N.A. quei soci che vengono a tradirla con un comportamento scorretto; durante la naja i lazzaroni si prendevano a pedatoni nel sedere ed ora si prendano a colpi di codice e di statuto in zucca. Un’epurazione dell’uno per cento frutterà l’incremento del dieci per cento nel numero dei soci.
L’Associazione Alpini deve avere anche una funzione formativa ed io non credo che un alpino sia completo se oltre ad aver marciato dietro la bandiera del reggimento non segue ora il vessillo della sezione. Specie i giovani abbisognano dell’integrativa naja dell’A.N.A. ch’è allegra ma estremamente seria nello stesso tempo.
Per salvare le nostre Adunate e la stessa Associazione deve essere impegno di presidenti sezionali e specie di capigruppo di parlare chiaramente ai propri soci anche per finirla con le innocenti ma stupide carnevalate che si ripetono alle adunate malgrado ogni raccomandazione della vigilia. Basta coi cartelli che fanno diventare l’A.N.A. l’associazione nazionale alcoolizzati, basta col vestire i bambini da pre-alpini ch’è finita l’epoca dei balilla, basta con le donne in corteo perchè a loro compete applaudire e non farsi applaudire, basta coi gruppi che avanzano cantando il Nabucco, l’Aida o «vecchio scarpone»; venga possibilmente alleggerito di pomposità il commento (pur appassionato, commovente e da tanti gradito) del bravo e buono «speaker» dell’adunata nazionale.
E non sarebbe male che l’entità degli alpini che sfilano venisse preventivamente fissata (magari un decimo degli iscritti d’ogni sezione) per assicurare uno snellimento ed una abbreviazione pur sotto certi altri aspetti spiacevole.
Ciò che fa più male è che durante tutte le altre occasioni della vita associativa non si verificano mai incidenti mentre questi accadono con sempre più strepitosa evidenza proprio in sede di svolgimento delle adunate nazionali le quali devono invece costituire la sintesi più efficace e palese di tutta la nostra vita alpina.
Non si rinunci quindi alle annuali adunate nazionali.
Il primo convegno scarpone ha avuto svolgimento nel 1920 all’Ortigara.
Torniamo se occorre alle origini, alle nostre montagne che, come l’Ortigara, ancora nascondono gelose i resti di tanti morti alpini seminati nella pietraia; lassù non giungeranno i mascalzoni che programmano per ogni nostra adunata una sollevazione da esaltati, non ci saranno venditori ambulanti che truffano gli alpini convincendoli che gli incassi sono pro-ANA; lassù pesteremo sterco di capre ma non ci sporcheremo lo spirito.
Saremo in diecimila anziché in centomila. Specie i vecchi che più amano quelle montagne dovranno rinunciarvi, ma saranno i primi ad approvare che i più giovani salgano commossi e riconoscenti quei dolorosi calvari di mezzo secolo fa.

m.a.


L’opportunità di continuare le nostre Adunate nazionali e di difenderne con ogni mezzo il buon andamento, ha costituito l’unico argomento trattato nella seduta straordinaria del consiglio direttivo sezionale svoltasi l’11 giugno e alla quale hanno partecipato anche i Capigruppo.
Il Presidente comm. Curto ha esordito riassumendo i fatti in questione, già affrontati con immediatezza e coraggio da L’ALPINO, dando lettura della lettera che il Presidente Nazionale Avv. Erizzo
— addolorato come mai per cose nostre, sincero e schietto come sempre ma pur fiducioso nella collaborazione che giustamente egli s’attende unanime e convinta — ha trasmesso in data 3 giugno a tutti i presidenti di sezioni e ai capigruppo.
Dopo aver ricordato che al raduno nazionale hanno partecipato circa settecento nostri soci giunti a Verona con vari mezzi ma sempre riuniti in gruppi organizzati, il Presidente Curto ha confermato —
su assicurazione anche di tutti i capigruppo interessati — che ogni socio s’è comportato correttamente rinnovando la nota disciplina che fa nella nostra Sezione un’unità modesta nel numero ma selezionata con cura estrema sia nei tesseramenti che nel controllo severo dell’andamento associativo in ogni circostanza.
Ogni capogruppo e socio sa infatti, e con convinzione, che il consiglio direttivo sezionate mai ha tollerato che il nome dell’Associazione venga leso dal comportamento non solo incivile ma pur solo scorretto dei propri aderenti.
Anche in occasione delle adunate nazionali funziona un efficiente servizio d’ordine sezionale ed è giusto rilevare che i soci si adeguano con serietà ad ogni disposizione grazie alla collaborazione dei capigruppo ai quali va riconosciuto il merito degli ottimi risultati sino ad oggi mantenuti.
Il Comm. Curto ha concluso con espressioni di solidarietà verso il Presidente Nazionale al quale va tutta la nostra riconoscenza per la sua appassionata dedizione volta a sempre più migliorare la struttura organizzativa dell’Associazione e a difendere, con ogni mezzo e in ogni circostanza, l’onore alpino che si richiama al sacrificio e alla lealtà d’intere generazioni di Penne Nere.
Alla seguita discussione ha partecipato anche il vice presidente Avv. Travaini il quale ha dato anzitutto atto al Presidente di «aver attentamente interpretato i sentimenti di tutti gli alpini della sezione, non solo, ma anche di tutti i veri alpini d’Italia».
Dopo aver esposto le insopprimibili esigenze di continuità che caratterizzano le nostre adunate nazionali, l’Avv. Travaini si è reso interprete del comune convincimento sull’indilazionabilità di adottare misure di vigilanza e repressione tali da salvaguardare il buon esito morale ed organizzativo dei nostri raduni.
Le considerazioni e i suggerimenti dei convenuti sono stati raccolti in un dettagliato verbale che sottolinea prevalentemente la necessità che ogni sezione ponga a disposizione del comitato organizzatore delle adunate un proprio gruppo di soci vigilatori da affiancare alle forze dell’ordine.