24 MAGGIO


Giugno 1965


L'alpino Riccardo Di Giusto
primo Caduto
della Grande Guerra

Riti e manifestazioni innumerevoli hanno caratterizzato il cinquantesimo anniversario dell’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale; si sono svolti in quasi tutti i paesi, anche in uno dove l’amministrazione comunale provvide finalmente a restaurare il monumento ai Caduti danneggiato dall’ultima guerra e che della spesa si rivalse sui morti eliminandone i nomi ed incidendo sul marmo la frase «beati i popoli che non hanno bisogno di eroi».
La stampa ha ricordato l’avvenimento con meritata ampiezza ed anche la televisione non è mancata al doveroso appuntamento, indice del tanto atteso — almeno parziale — diverso indirizzo nei confronti dei Morti più rispettabili d’Italia.
La scadenza cinquantenaria ha risentito degli effetti congiunturali; la giornata del 24 Maggio non è stata dichiarata festiva poiché l’astensione dal lavoro avrebbe sottratto 83 miliardi di reddito al tisico bilancio economico italiano. Ed è meglio così, altrimenti gli Italiani ne avrebbero spesi altri 83 non certo per ricordare i Caduti ma per meglio dimenticarli con un prolungamento delle vacanze di fine settimana il più delle volte nocive sotto ogni aspetto sia economico che morale oltre che sociale.
Anzi, poiché abbiamo ancora molte toppe economiche da ricucire dalla Grande Guerra, io avrei invitato il popolo italiano a rendere lavorativa anche un’altra solennità civile: il corrispettivo avrebbe potuto venire utilizzato per dare la promessa modesta pensione ai circa duecentomila reduci in disagiate condizioni economiche che rimangono da quella guerra; temo però che una proposta simile avrebbe aggiunto, ai Seicentomila, altri duecentomila morti perchè gl’italiani (quelli con la  i» molto minuscola) avrebbero piuttosto ammazzato quei vecchietti non permettendo loro nemmeno di arrivare vivi al 24 maggio.
La limitazione dello spazio non permette (a differenza di quanto consente il cuore) di ricordare con opportuna larghezza i motivi dell’intervento italiano, né di commemorare convenientemente il nuovo immenso sacrificio che iniziò cinquant’anni addietro per i nostri soldati: un olocausto nazionale che trova sintesi e glorificazione nel Milite Ignoto.
Vogliamo però accennare al primo Milite Noto che cadde nella guerra dei nostri padri, e il cui sacrificio venne anonimamente ricordato dal bollettino di guerra del 24 maggio il quale, accennando alle prime operazioni militari, così terminava: «le nostre truppe sono avanzate ovunque in territorio nemico incontrando debole resistenza. Vennero occupati Caporetto, le alture tra Judrio e Isonzo; Cormons, Verza, Cervignano e Terzo. Il nemico si ritira distruggendo ponti e incendiando casolari. Perdite nostre: un morto e «pochi feriti».
Questo primo morto fu un Alpino del battaglione «Cividale» dell’8° reggimento e si chiamava Riccardo Di Giusto, nato a S. Gottardo di Udine il 25 novembre 1895, orfano di padre, di professione ferroviere, chiamato alle armi nel dicembre del 1914.
Il 16 aprile l’Alpino Di Giusto ottenne un breve permesso e corse casa per quello che sentiva essere l’ultimo saluto alla famiglia; ai suoi disse infatti, un po’ scherzano come si conviene ad un alpino: «Addio, parto per non tornare più».
In vista degli avvenimenti il battaglione «Cividale», unitamente all’«Ivrea», al «Val Toce», al «Val Natisone», si spostò a Drenchia, Clodig, Crai; qui l’Alpino Di Giusto ebbe l’ultimo accorato salute della madre giunta a piedi da Udine con l’eguale presentimento di morte palesato dal figlio.
Alla mezzanotte del 23 maggio l’ala sinistra del 4° Corpo d’armata marciò verso il confine; in testa al battaglione «Cividale» — diretto verso Cappella Sleme, una selletta vigilata da un presidio di doganieri austriaci — era la sedicesima compagnia comandata da Della Bianca e a questa apparteneva Di Giusto chiamato poi a far parte della pattuglia di cinque uomini che iniziò la perlustrazione quando il reparto giunse al confine.
Alle ore 2,40 del 24 maggio il grido d’allarme della sentinella nemica venne seguito da un colpo di fucile: quattro alpini risposero al fuoco, balzarono all’assalto e catturarono i diciotto austriaci del presidio. Al quinto alpino — Riccardo Di Giusto — il destino aveva riservato quella prima pallottola che, colpita la zappa posta di traverso dello zaino, era rimbalzata conficcandosi nel cervello.
Fu il primo Caduto d’Italia nell’ultima guerra del Risorgimento, la prima Penna Mozza della Grande Guerra; e vennero le prime interminabili lacrime della prima Madre straziata che — contro ogni tentativo di contraria assicurazione - intuì la fine del Figlio recandosi a Cividale per ritirare le poche cose terrene che egli lasciava.
Da quella pallottola mortale è anche nata la prima vittoriosa impresa dei nostri Soldati — contro forze palesemente superiori — per rendere valido e ricompensato quel primo sangue versato.

M. ALTARUI