ANTONIO CANTORE |
Agosto 1965 |
Articolo tratto dalla «Storia popolare illustrata della grande guerra 1914-1918» dello scrittore e poeta trevigiano Roberto Mandel.
A sentir questo nome: venerato, caro, indimenticabile, il cuore di tutte le Fiamme Verdi trema di commozione profonda.
Era il padre degli Scarponi. Buon ligure, nato a Sampierdarena nei portentoso ‘60 come per un presagio di gloria, aveva
la parola breve, il gesto rude, l’anima grande. La sua persona massiccia sembrava intagliata nel macigno da un artefice
rozzo di creature primitive e potenti.
I Fanti del monte si riconoscevano nella sua semplicità maschia, burbera e brusca nell’aspetto per quant’era invece
generosa e buona.
Lo chiamavano el Vecio. Con lui andavano dovunque: nel simun e nella tormenta, fra le dune e per le
lavine, nel deserto di sabbia e nell’inferno di neve. Seguendolo, sapevano di vincere. S’era creata, Intorno a lui, la
leggenda della fortuna sfacciata. Si diceva che qualunque audacia gli sarebbe riuscita. Quando le truppe nutrono,
riguardo al loro condottiero, questo convincimento, possono davvero osare con lui l’inosabile.
Il fascino del generale Cantore non era l’aspetto decorativo, la parola eloquente, la tradizIone nobiliare. Era
l’esempio. In Libia, andava all’inseguimento dei beduini col frustino. Nell’impeto contro il nemico, precedeva tutti. In
trincea, sembrava alle manovre. Sarebbe stato capace di morir di sete per versare l’ultima goccia della sua borraccia
tra le labbra arse d’un ferito.
Ad un sottotenente affacciato al parapetto diceva: — Si tiri indietro e lasci guardare a me, chè sono vecchio.
Alla testa d’altri soldati, forse, non sarebbe stato al suo posto. Per gli Alpini: gente quadra che sa valutare
d’istinto le virtù sostanziali, era il condottiero ideale.
Eroe tipico della gente del monte, Antonio Cantore era in tutto: nell’ardimento tenace, nell’anima granitica, nella dura
volontà appassionata, il simbolo vivo delle Fiamme Verdi d’Italia.
***
Colonnello in Libia, comandante di quell’8° reggimento Alpini cui le gesta compiute andavano intessendo un’aureola di
leggenda, Antonio Cantore incominciò la grande guerra — il 24 maggio del 1915 — al comando della Brigata Mantova.
Alla testa dei Fanti del 113° e del 114° aveva passato, in un impeto d’entusiasmo e di canzoni, il confine iniquo,
entrando liberatore in Ala redenta. Nel giugno aveva condotto splendidamente le sue truppe a Serravalle, all’Altissimo,
a Coni Zugna.
Le magnifiche virtù di condottiero dimostrate nell’espugnare formidabili posizioni nemiche, gli valsero — dopo qualche
settimana appena — la promozione per meriti eccezionali a comandante della 2° Divisione, impegnata nella zona di Cortina
d’Ampezzo.
Ben arduo compito attendeva il generale e le sue truppe.
La 2° Divisione — appartenente al I Corpo d’Armata — era in prima linea lungo il versante occidentale delle Tofane,
aggrappata quasi alle rocce impervie dominate dai vertici aguzzi sui quali s’annidavano i nemici.
Favoriti dalle postazioni, gli scelti tiratori austriaci: i famosi Cecchini armati di carabine infallibili,
s’esercitavano tranquillamente al bersaglio sui nostri Fanti, costretti ad una penosa vigilia minacciata di continuo
dall’agguato insidioso.
Poichè il massiccio proteggeva la VaI Badia, dove avremo potuto svolgere importanti operazioni offensive, bisognava
conquistario per intero.
Fra la Tofana I e la II, giganteschi denti di rocca levigata, si apre un canalone angusto: la forcella di Fontana Negra.
La 2° Divisione s’insinuò per quella spaccatura, avanzando fino a premer da vicino le difeso austriache.
Un altro impeto avrebbe potuto condurci alla conquista del valico.
i Fanti erano certi che li avrebbe guidati ancora, al nuovo assalto, il generale Cantore.
Invece...
Fu il giorno dopo: il 20 luglio del 1915.
***
Al suo passare tutti scattavano in piedi, salutando con rispetto.
EI Vecio, il papà delle Fiamme Verdi percorreva la trincea, fermandosi tratto tratto a conversare con i
suoi soldati. Quel condottiero rude e taciturno sapeva trovare senza cercarle le parole che vanno al cuore. I Fanti
sentivano posarsi su di loro lo sguardo virile del generale. Era uno sguardo fermo, leale, paterno, e penetrava nelle
anime.
Qualche fucilata scoppiettava, scandendo il silenzio solenne della montagna. Qualche pallottola, venuta di chissà dove,
si schiacciava contro i ciottoli ammonticchiati in lungo muricciolo verso il nemico.
Badi generale! — avvertì premurosamente qualcuno — Ci sono i cecchini e... tirano!
— Ammazzano.. il tempo — borbottò Cantore con noncuranza.
Del tutto indifferente, el Vecio seguitò ad andare col suo passo caratteristico d’uomo della vetta, consueto alla
marcia faticosa e accorta su per le mulattiere asperrime. Voleva recarsi nella postazione più avanzata per scrutare il
terreno e rendersi conto delle difficoltà da vincere alle prove future.
Gli ufficiali che lo seguivano, tentarono più e più volte di dissuaderlo.
Invano.
Cantore non pensava punto a sé. Badava solo ai doveri del suo grado e del suo compito. Non si preoccupava che di
conoscere la via della vittoria.
L’ultimo spalto venne raggiunto. Ora le schioppettate dei tiratori in agguato s’eran fatte più frequenti. Gli occhi
degli ufficiali si fissavano con un segreto timore sul generale, ma questi rimaneva impassibile come se il nemico fosse
stato chissà mai quanto lontano.
Sempre indifferente e sereno, Cantore s’affacciò dal muricciolo di sasso. Girò intorno lo sguardo scrutatore a
discernere le trincee austriache, i transiti possibili, le strade della futura vittoria.
Uno sciame di pallottole tempestò sul muricciolo. Qualcuno del seguito impallidì.
Il generale seguitava a scrutar tutt’intorno.
D’un tratto s’accasciò, senza un grido, senza un gemito.
Era stato fulminato in fronte dal piombo austriaco.
***
Irrigiditi sull’attenti, gli occhi gonfi di lagrime, i Fanti della 2° Divisione lo videro passare per l’ultima volta in
mezzo a loro.
Antonio Cantore non volgeva più lo sguardo paterno, pieno di energia e di bontà, sopra i suoi figlioli che l’adoravano.
Spenti dalla morte, i suoi occhi guardavano ormai oltre la vita, nella luce della gloria.
Sorretto dalle braccia dei suoi ufficiali, l’eroe caduto lasciava per sempre i suoi soldati senza dir loro l’ultimo
addio. La bocca ammutolita non incitava più le schiere dei valorosi alla lotta e alla conquista.
Ma, abbandonando l’Alpe insanguinata per ascendere all’immortalità, Antonio Cantore lasciava ai suoi Fanti, a tutti i
Fanti del monte, un incitamento solenne, un esempio sublime, un segno di vittoria: la sua medaglia d’oro.