MAGNANI VIVO |
Giugno 1965 |
La stampa alpina ha ricordato con affettuoso dolore il
Generale Franco Magnani recentemente scomparso. Era un po’ d’obbligo sottolineare l’eroismo che Egli ebbe ad esprimere
durante e dopo l’odissea di Russia e che gli valse il conferimento delle medaglia d’oro ai valore militare ma
indubbiamente, affinché la lezione terrena di tale Uomo venga — più che a destare stupore ed ammirazione — capita e
maggiormente seguita, è opportuna una indagine più profonda nel tempo e della quale trarre gli elementi più semplificati
e palesi che già anticipavano le posizioni eroiche che avrebbe assunto il combattente Magnani.
Questi elementi nuovi mi vengono recati dal dott. Tom Jnsom il quale presenta un Magnani non certo contrastante con
quello che abbiamo conosciuto ma indubbiamente più completo tanto da sentirlo ancora operante e quindi vivo.
Tom Jnsom, che ha fatto la guerra da valoroso e da scienziato, dirà anche a voi lettori come conobbe e va conosciuto
Magnani. Degli uomini egli — medico — conosce profondamente il corpo, ma come pochi sa valutarne lo spirito grazie al
suo non comune perfezionamento interiore maturato dagli studi (tra l’altro conosce almeno venti lingue e dialetti di
ogni continente) e dagli avvenimenti dai quali mai è retrocesso nella convinzione — provata — di bene operare per la
Patria e la società.
Non premetto questo per presentare l’amico Jnsom (ne avrei un rimprovero dalla sua esemplare modestia) ma perchè si
possa percepire l’importanza di quanto egli dice a me e ai lettori con la sua «documentazione» limpida, rigorosa e
genuina sul Generale Magnani.
Carissimo Altarui,
scrivo a te, in confidenza, perchè sono convinto che soltanto
un autentico alpino può capire un altro autentico alpino.
Voglio parlarti di Franco Magnani.
Tutti o quasi tutti conoscono di Lui le manifestazioni più gloriose ed eroiche ed il parlarne, per quanto con
spontaneità di sentimenti, assume per effetto di chi legge od ascolta, un carattere retorico.
Molti giovani, leggendo, credono che l’uomo nasca eroe, ed Eroe diventi fatalmente, sicché sentendosi normali, comuni,
banali nell’ordinario vivere, non sentono né emulazione né incitamento ad emulare come puledri in strupo, senza
genealogia, che accanto ad altri puledri di razza, si sentono brocchi prima di esserlo e trascurano perfino di
paragonarsi, magari da lontano con quelli che saranno, e dovranno essere cavalli da corsa.
Ciò premesso ritengo che sarà giusto e legittimo per la burocrazia militare che si scriva e si parli del Generale di
Brigata Francesco Magnani; ma io sono certo, come di stare in questo momento, scrivendo a te, che lassù, Franco Magnani
ha fatto un ruggito, perché
il Generale di Brigata Francesco Magnani non può essere Lui; Lui è il Generale di Brigata Franco Magnani.
E ti dirò perché ne sono sicuro. Ho conosciuto nel rigidissimo inverno del 1928-29 l’allievo ufficiale degli Alpini
Franco Magnani, o se vuoi Magnani Franco, perchè eravamo nella medesima 2° Compagnia, alla Caserma «Italia» in Milano.
Le due compagnie erano state formate seguendo criteri precisi
(non ho detto logici): messi gli allievi in ordine alfabetico, la prima compagnia avrebbe riunito quelli dall’A in poi e
la seconda avrebbe accolto quelli dalla Z in su. Il punto d’incontro sarebbe stato determinato dalla proporzione
numerica.
Le due compagnie risultavano così necessariamente equilibrate per numero.
Se nonché ho saputo, per radio-scarpa, che la cosa non era potuta finire con la dovuta precisione perchè la «I» che di
solito era poco rappresentata in quel tempo registrava due unità (per la cronaca Insom ed Introito) -
Avrebbero dovuto in ossequio alla proporzione numerica registrare il primo nella prima compagnia il secondo nella
seconda. Ma allora si sarebbe sacrificato il criterio alfabetico.
Insomma il comandante della 2° compagnia la spuntò ed i due «I» entrarono e rimasero nella 2°.
Tra la I e la M c’erano poche unità e quindi poche brande di distanza in camerata.
Nella prima camerata io ero il primo e Franco era l’ultimo.
Tutto questo spiega i rapporti di relazione.
Franco Magnani era il più alto di tutti gli Allievi Ufficiali
della Scuola, compresi i Bersaglieri che coabitavano. Poteva guardarsi negli occhi, in posizione normale, soltanto col
Colonnello Comandante, Cavaliere di S. M. Seissel d’Aix.
Tra persone di struttura atletica era il più vistoso e dotato, vuoi per l’armonico sviluppo del torso e degli arti, vuoi
per la necessariamente dilatata espansione toracica e delle spalle.
Non l’ho mai visto adirato (e penso che ciò dipendesse dal suo naturale buon carattere di persona sana e di robusta
costituzione, e dalla prudenza, nei suoi confronti, dettata al prossimo dal buon senso) mentre si arrabbiava facilmente.
Allora muoveva lentamente le braccia a mani aperte a mo’ di pale (che chiudeva ed apriva come tenaglie), si metteva a
gambe divaricate, bene piantate in terra, gonfiava il vasto torace e, minacciando cogli occhi, apriva le mascelle e
lanciava un ruggito.
Dalla prima volta che manifestò così il suo stato d’animo, Franco Magnani fu detto e rimase il Leone della Lomellina; e
quando fu?
Dapprincipio non ci conoscevamo per nome bensì soltanto per caratteristiche somatiche. Io ero «il barba», Lora Lamia ora
«l’occhialuto» e si distingueva da me, occhialuto pure, perchè non aveva la barba, De Laurentis era «panza» anche se in
effetti non fosse per nulla un panciuto, ma in una comunità di gente senza pancia, tutti veltri, lui poteva sembrare
panciuto, lui ce l’aveva, Zaretti era il «pertichino» perchè tra la norma il più alto ed affilato, c’era un trentino di
cui in questo momento mi sfugge il nome, che incominciava con Z, che era il «sofo» per il suo aspetto meditativo, e
c’era l’«alto» che era Magnani perchè usciva dalla «norma» di media; lui ed io uscivamo di norma per motivi diversi, lui
perchè avrebbe dovuto essere in Artiglieria da Montagna, quindi «panzalonga» io perchè avrei dovuto essere in Sanità.
Per prendere dimestichezza coi nomi di ciascuno, si ripetevano gli appelli e contrappelli e le adunate e non c’è dubbio
che i primi ad applicare a ciascuno il suo vero nome furono i Graduati, i Sottoufficiali e gli Ufficiali.
Durante un’adunata accadde che si conobbero i nomi anche tra
noi e qualcuno chiamò Magnani Francesco: e quella fu la prima occasione nella quale l’«alto» manifestò d’essere
arrabbiato nel modo che ho detto più su.
Incominciava col lento drizzarsi della testa sul collo e facendo lo sguardo torvo e guatatorio, poi allungava e stendeva
le braccia, quindi apriva e chiudeva le mani, ecc. fino a terminare nel ruggito più o meno rimbombante,
— Sia ben chiaro a tutti che io mi chiamo Franco ed intendo che nessuno si provi a chiamarmi Francesco, ché se mio padre
e mia madre l’avessero voluto avrebbe potuto essere anche il mio nome, come Eusebio o Prospero ed io l’avrei gradito lo
stesso. Ma loro mi hanno chiamato Franco. Non vorrei diventare un Cecco, un Ciccio o cosa so io.
Press’a poco questo è stato il suo discorso: e tutti ne hanno tenuto conto debitamente.
Ma un giorno accadde che venne all’adunata un Ufficiale, il Tenente Canale, all’aspetto un damerino e di femminino aveva
la timidezza, l’arrossire ed impallidire dal volto facile e ci chiamò per cognome e nome per vederci in faccia.
Ad un certo punto scandì:
— Magnani Francesco...
Nessuno rispose.
Ripeté controllando lo scritto e parlando più forte:
— Magnani Francesco...
Tutti immobili sull’attenti senza fiatare.
Io avevo già capito.
Il Tenente Canale arrossì e gridò:
— Magnani Francesco...
Allora, rischiando di infrangere il regolamento, gli Alpini incominciarono a sbirciar e poi a muovere la testa come per
cercare chi fosse l’appellato e se ci fosse. Infatti c’era ed anche lui, più alto del solito, sbirciava sopra le teste
degli altri quasi cercasse qualcuno.
— Insomma — gridò il Tenente Canale — non c’è nessun Magnani Francesco tra voi?
Fu allora che Magnani fece un passo avanti e disse:
— Magnani sono io; ma il mio nome è Franco.
— Ma qui è scritto Francesco — ribatté il Tenente.
— Non l’ho scritto io — replicò il Leone della Lomellina.
Così deve risultare dai registri dello Stato Civile — fu la precisazione dell’Ufficiale.
— Perchè Franco non c’è sul calendario rispose calmo ed imperturbabile Magnani.
— Ne riparleremo dopo — concluse il Tenente — ritorni al suo posto
Chi si aspettava che Franco Magnani difendesse l’inalterabilità del suo nome solo di fronte alle persone sulle quali
poteva esercitare la sua preponderante prestanza fisica evidentemente fu deluso.
E fu un’altra lezione inequivocabile sull’Uomo.
Non ho parlato o detto a vanvera, né per mera presunzione, che il Generale di Brigata, Medaglia d’Oro, Eroe, ecc, non è
Francesco Magnani, bensì Franco Magnani e non può essere che lassù, vicino a Cantore Lui non abbia fatto un ruggito.
Ne sei convinto caro Altarui?
E Franco Magnani non usò mai, ne sono certo come se parlassi
di me stesso, in nessuna occasione dovunque e comunque, della sua preponderante prestanza fisica, abusando per sé
medesimo, bensì sempre ne usò per soccorrere, aiutare, giovare ad altri, per correggere ingiustizie, per -salvare ed
affermare l’onore e la dignità della Divisa, del Soldato, dell’Italiano più che la sua propria vita ed esistenza.
Ciò Io distinse, senza dubbio da molti altri, ne sono sicuro fin da bambino anche se non sono cresciuto con Lui.
Sinceramente umile, ma consapevole, Egli approva le mie parole ed i miei pensieri, perchè sono veri, non puzzano di
adulazione, altrimenti... ed Egli intendeva migliora sempre se stesso anche per educare ed istruire con l’esempio.
Tutti così, o meglio di Lui, avrebbe voluto gli Uomini intorno a sé: non pretendeva lo fossero; ma voleva che ci si
provassero. Ecco: e non tollerava il complesso del brocco. A chi non ce la faceva, provando, era sempre pronto e
disposto a porgere una di quelle sue possenti mani, o se opportuno e conveniente, allungare uno dei suoi non meno
possenti piedi...
Questo, Franco Magnani, vuole che si dica, non tanto per lui bensì per gli altri, per non essere morto, per non essere
un Cimelio tra i Cimeli, ma per essere «vivo» imperituro, presente ad ogni Uomo degno di tal nome e meglio se Italiano.
Non può bastare a Lui la continuità fisica e morale, che, sono certo, è nei suoi Figli, Egli vuole continuare a
parteciparvi come è nel suo diritto naturale e sancito da un codice che non ammette errori, revisioni od
interpretazioni: quello dell’Onore e dell’Eroismo.
Ed ora ridiscendiamo alla rispettabile anche se imperiosa materialità, alla banalità.
Nei frequenti successivi contrasti di opinioni tra Alpini e Bersaglieri il Leone della Lomellina interveniva sempre, per
lo più da lontano, facendo udire il suo ruggito e... bastava a temperare ogni contrasto, che, se per avventura sembrava
essere troppo acceso per normalizzarsi, allora, dopo aver ruggito, il Leone si faceva vedere, e se ancora non bastava,
lentamente si avvicinava minacciando gli uni e gli altri con assoluta imparzialità, ottenendo efficacissimi effetti.
Era un paciere che non teneva conto del numero né della qualità dei contendenti, ed aveva ottime ragioni per farlo.
La barba a pizzo dei sottoscritto fu tollerata tenendo conto del fatto che ero per età il più anziano e che
ufficiosamente tutti sapevano quel che ufficialmente era assolutamente ignorato, cioè ero medico, laureato in Medicina e
Chirurgia.
Allora tentò ed ebbe fortuna l’allievo Rho, bergamasco, il quale poté farsi crescere una barba da capra: frattanto anche
Magnani si fece crescere una bella barbetta alla Sandokan.
Così nel giro di pochi mesi, proprio nella 2° compagnia, ci furono tre pizzi. E ciò contribuì a formare, tacitamente, un
complesso da Tre Moschettieri, ciascuno a ruolo indipendente tra loro, ma come une persona sola nei rapporti con gli
altri.
Ho detto tacitamente perchè nessuno dei tre avrebbe tollerato o permesso una distinzione non prevista né sancita dal
Regolamento Militare e qualcuno che vi aveva accennato, con buone intenzioni e piacevolezza, si persuase che era cosa
del tutto inopportuna perché reagirono tutti e tre (e sarebbe bastato uno soltanto).
Durante il campo, con base a Morbegno, la nostra Compagnia ebbe il compito di fare una «passeggiata» sul Pizzo dei Tre
Signori.
Ai tre, di cui sopra, giunti sul colle, ammantato di neve, seguiti da qualche altro del bergamasco (che gambe e che
fiato quei cammelloidi!) venne la voglia di salire in vetta, anche perchè la sosta della «mezzorina » era passata da un
pezzo e cambiare l’acqua al... radiatore era una misura quanto mai opportuna.
Sicché i tre barbuti, lasciato il colle, si inerpicarono in vetta, dove appena giunti l’uno calcando le orme dell’altro,
si ritrovarono accanto e ritti in piedi.
Senza un segnale convenuto né accordi preventivi, ciascuno per conto suo e riservatamente, provvide alla bisogna.
Arrancando, in quel momento, sopraggiungeva un quarto, uno dei bergamaschi, il quale considerato lo spettacolo, scattò
qualche foto e poi ridiscese.
I tre barbuti si riunirono poco dopo alla compagnia in procinto di ritornare alla base.
Quando dopo qualche giorno furono stampate le fotografie dei tre barbuti, tutti intenti, eccetera, ben stagliati tra la
neve candida ed il cielo azzurro cupo, riconoscibilissimi, il fotografo passò momenti di ansia.
Come l’avrebbero presa i tre interessati?
Prima la fecero vedere a Rho, perchè era bergamasco come il fotografo; Rho senza commenti la fece vedere a me che sapeva
più portato o scherzare che a prendere le cose sul serio, ed io, incerto, ma per l’occasione sorridente, la portai a
Franco.
Come la vide parve andare tutto per il meglio; ma quando l’ebbe osservata più attentamente e notò i particolari, il mio
sorriso si attenuò.
Certamente egli stava combattendo seco stesso... poi chiuse ed aprì lentamente la pala sinistra (con la destra reggeva
la fotografia) ma dalla sua bocca non uscì il temuto ruggito, bensì una risata più rumorosa che mai.
Approfittai del momento favorevole, gli presi di mano il documento e sotto con mano ferma scrissi: «I tre signori del
pisso che pissa sul Pisso dei Tre Signori».
La restituii a Franco che allora stentava a leggere il veneto, ed io gliela lessi come si conviene.
Un’altra risata omerica mi passò sopra la testa, malgrado il mio metro e settanta.
Diventò serio,quasi bruscamente, e con gesti lenti e solenni, tirò fuori la sua penna e vi aggiunse qualcosa che
evidentemente mancava: la data.
Potrei ricordare molti altri aneddoti assai più comuni e banali di questo; ma per dimostrare soprattutto ai giovani, a
quelli che hanno il complesso del brocco, che a parte le proporzioni fisiche e le caratteristiche somatiche che ognuno
ha e riceve diverse dai genitori, c’entrino o non c’entrino i cromosomi, questo e non diverso era Franco Magnani, eroe e
Generale di Brigate nella sua semplicità conforme l’ambiente e la situazione.
Diceva un giorno Franco agli arrabbiati con le matite della Fureria in dotazione alla Scuola:
- Non scegliere la matita con gli occhi: provala.
E qui c’è tutta o quasi tutta la Sua Scuola.
Questo è il cittadino borghese Franco Magnani entrato con me nella Caserma di Milano nel rigidissimo inverno del
1928-29; questo è l’Allievo Ufficiale degli Alpini Franco Magnani vissuto con me durante il periodo di istruzione ad
addestramento a Milano e Morbegno dal Pizzo dei Tre Signori al Pizzo Badile, al Monte Disgrazia; questo è il Capitano
degli Alpini Franco Magnani come l’ho incontrato in una fredda e grigia giornata d’inverno ad Udine al suo glorioso
ritorno dalla Russia; questo è il Colonnello Franco Magnani come l’ho trovato nella intimità familiare a Mede Lamelima
dove ho osato, e Lui ha permesso, entrare, e che poi più volte ho rivisto a Treviso, a Montebelluna ed altrove.
Non ho conosciuto il Generale di Brigata Franco Magnani; ma sono sicuro che non poteva essere diverso da quello che era
stato, è e rimane.
Non è Lui che intendo onorare, né la Sua memoria: è ciò ch’Egli ha inteso che fosse Onorato, Amato, e Ricordato come
Egli onorò, amò e ricordò in ogni momento della Sua normale ed eroica vita, col sorriso, colla bonaria minaccia, anche
negli atti più banali e meno impegnativi del vivere.
Giovani che nel dubbio titubate, nell’incertezza non credete-, nella ignoranza non sapete a chi e cosa credere,
specchiatevi, e non sarete delusi né illusi; questo mi sussurra quella voce che sapeva ruggire, tuonare e carezzare e
che io sento il dovere di registrare, per voi, per noi, per tutti anche per Lui.
TOM JNSOM