GOLICO |
Ottobre 1966 |
Dite, Alpini del «Tolmezzo», dite, Alpini, che sul Golico attaccati ad una roccia - come Cristo alla Sua Croce - non faceste udire voce, non moveste alcun lamento, che viveste nel tormento di quei giorni disperati: dite, Alpini della Julia, siete uomini o dei santi? Dite, Alpini, dite quanti foste allora che partiste? Più di mille, e settecento son rimasti sulla roccia: Settecento son caduti. Uno ad uno là ha trovato il suo Golgota sul monte. Settecento palle in fronte, settecento croci pronte, settecento fosse chiuse. Ma non basta?... Cosa fate fermi ancora al vostro posto? Cosa fate?... Chi aspettate con piè fermo e viso duro? Non sappiamo. La consegna è una sola: «FARE IL MURO !» Settecento son restati qui, con noi, pietrificati: qui, più duri del granito; sono qui, con noi nel mito sono qui nella tormenta, sono qui, con noi, nel gelo; son fedeli alla consegna qui con noi. «NESSUNO PASSA !» Dite, Alpini, ma da quando siete fissi a questa roccia? Non vedete che già sboccia giù alla valle primavera? Non sentite, nella sera, le campane della Pasqua ?... Pasqua?... Sera?... Primavera ?... Tutto questo ancora esiste? Chi lo dice?... Chi le ha viste ?... Sono già cinquanta giorni, sono già cinquanta notti che siam roccia sulla roccia... Cosa dite? cosa sboccia ?... Sboccia già la primavera; e stasera finalmente scenderete giù dal monte. Troverete tende pronte, cibo caldo, un po’ di paglia... Cibo caldo?... Ma non basta, per mangiare, un po’ di pane mezza scatola di latta? Ma non basta, forse, a bere qualche bioccolo di neve? Ce n’è tanta, la vedete? Ce n’è tanta, e così bianca... Sì, la vedo: è tanto bianca; ma la vostra voce è stanca; ma la vostra mano trema. Non vorreste, dite, un poco riscaldarvi accanto al fuoco? |
Riscaldarci?... Ma qui s’arde; quassù brucia tutto il monte Fuoco?... Un poco?... Ma guardate qui la roccia è incandescente...; qui è un bruciar continuamente vite umane ed armi e cuori... Tutto è ardore, tutto è rogo, tutto è fuoco, tutto fiamma: uno spirito c’infiamma, ci trasforma, ci consuma... Ecco qui la nuova luna. Quante sono?... Cinquant’una. Ecco l’ordine, vedete? Questa sera scenderete giù alla valle. Non gioite? Si ritorna, mi capite? Si ritorna, si discende dal calvario incandescente... Muovon lente, nel chiarore, l’ombre dei sopravvissuti... ebbri, incerti.., e, i più, sparuti. Si ritorna?... Ma i caduti? Quei che più non torneranno? Qui nel gelo, qui nel buio, qui nel fango che faranno? I Caduti resteranno qui, a presidio della roccia. Sono morti, ma vivranno qui, sul GOLICO, in eterno! Resteranno eterni, soli: fiori, lacrime, né duoli non vi chiedono, compagni! Sono soli, ma son tanti; sono muti, ma nel cuore hanno ancora tanti canti, hanno ancora tanto sole; hanno ancora tanto amore Muovon lente, nel chiarore della luna, l’ombre vive: silenziose, curve, schive, si dispongono nel rango. Vanno avanti barcollando e carezzano, passando, i compagni morti in croce. Lente scendono dal monte, vanno lente nella notte. Alla svolta, ad una ad una, si sommergono nel buio. Sta la luna, chiara in alto. Tutto il monte ne risplende; sta la luna immota e accende settecento fiamme chiare. Giù nel fango, altri trecento or le vedono brillare... Nella gola fischia il vento: passa e dice: «Li vedete? ». Eran mille e son trecento: son trecento, ma chi sono? Sono uomini? Son larve ?... Fango, bende, lunghe barbe, occhi e volto trasognati, sono sani, son malati? Sono demoni, o son santi? Vanno muti, vanno avanti su quei piedi doloranti... La consegna è camminare; la consegna è andare, andare... |
Dimmi, alpino, ma cos’hai che procedi spasimando? Dimmi, alpino, come fai con quei piedi martoriati, senza soste, senza cure, senza un poco di calore, senza un poco di riposo... come fai a camminare? Fa vedere…: ma non sai che hai le dita congelate? Non le senti tu le piaghe? Non lo sai che è cosa grave ?... Come? è grave?... Non sapevo: è da tanto che l’avevo... Sì, fa male a camminare; sì; ma posso ancora andare, posso ancora ritornare là, sul monte, dai compagni. Settecento son restati lì, sul GOLICO, impietrati ! Settecento son caduti lì, con noi, sereni, muti. I miei piedi?... Fanno male; sì, ma posso ancora andare. Capitano, fa tornare i tuoi alpini sulla roccia Vedi? brilla. Vedi ?... sboccia come un fior l’alba lunare... Facci ancora ritornare lì sul monte, capitano. Siamo forti, vedi?... Andiamo dove vuoi, se ci conduci... Là ci sono tante luci; qui c’è fango, freddo, noia… Dacci ancora questa gioia: fa che ancora ritorniamo lì sul monte, a riposare muti, accanto ai nostri morti. Giungeremo: siamo forti E staremo, immoti, assorti, con le braccia aperte in croce, nella chiara eterna luce. Marcia il capitano e tace: la consegna è di marciare. Non si può più ritornare… Marcia in testa ai suoi trecento. Vanno muti, vanno a stento, mentre, in alto, fischia il vento mentre a terra, è tutto fango; mentre ognuno è tanto stanco... Ma non piegano, non stanno; non si reggono, ma vanno; e non chiedono, non sanno, e non fanno udire voce e non muovono lamento. Eran mille e son trecento; eran sani e son malati; eran uomini, e son larve; eran martiri e son santi. Vanno muti, vanno avanti... Sono alpini della Julia; sono alpini del Tolmezzo; sono alpini che sul Golico, attaccati ad una roccia come Cristo alla sua Croce, obbedirono a una voce; una sola «NON SI PASSA !». MARIO PADOVINI |