«Il peso dello zaino» |
Giugno 1966 |
Giulio Bedeschi è venuto a Treviso sabato 28 maggio accogliendo l’invito a presentare il suo più recente libro «il peso
dello zaino» edito da Garzanti.
Presentato dal Cav. Manfren, l’Autore ha illustrato con tutta efficacia e spontaneità il contenuto del suo nuovo libro;
anzi - più esattamente - ha rivelato il contenuto dello zaino che il soldato italiano s’è trascinato dietro da un fronte
all’altro dell’ultimo immane conflitto.
Se avessi avuto l’intelligente idea di portarmi un registratore potrei trascrivere fedelmente l’ottima esposizione che
Bedeschi ha fatto dei motivi che son legati alla nascita del suo libro e delle finalità che la pubblicazione, esente da
ogni giudizio politico e storico, si propone di conseguire; la sua non è stata una sintesi degli episodi descritti ma
una sincera e sollecitante iniezione di amor patrio solidamente ancorato a valori umani d’indiscutibile ed
insostituibile validità.
Era presente Adamo Missiato da Maserada sul Piave, l’artigliere alpino della famosa «Ventisei»che ispirò a Bedeschi
l’onesta figura del mensiere Sorgato; e Bedeschi ha concluso la sua applaudita conferenza leggendo un brano col quale
descrive il modo con cui - dopo l’8 settembre - questa brava penna nera diede il proprio contributo di fraternità e di
consiglio «tenendo vivo il fuoco», a rancio concluso, a significare la necessità di tenere acceso lo spirito anche se il
cuore - umano ceppo da cui scaturisce - sembrava ormai consunto ed incenerito.
Ma non si può tradurre Bedeschi in poche povere righe! Bisogna leggerli i suoi libri per capirne l’umanità profonda che
li ha dettati e il messaggio intimamente umano che vi parte
Mi son letto «il peso dello zaino» tutto d’un fiato, con la breve parentesi di due pasti; troppo in fretta per farne una
seria recensione, pur ammessa la fallace pretesa che io possa farla adeguatamente anche dopo un’attenta lettura.
I due libri di Bedeschi si integrano perchè il secondo illustra le vicende vissute dalla batteria alpina dopo il ritorno
dal fronte russo e fino allo scioglimento conseguente, più che all’armistizio, all’inqualificabile diserzione dei più
alti capi militari e politici.
Viene spontanea in tutti la domanda se sia migliore l’uno o l’altro dei due libri, anche perchè ai più appare
impossibile che lo stesso autore abbia potuto trasfondere in una seconda opera tutta la drammatica commozione e la
struggente ammirazione che sa destare «Centomila gavette di ghiaccio».
Molti pensavano addirittura che, con il primo libro (pubblicato da poco più di tre anni, premiato col «Bancarella» nel
1964, giunto alla 35’ edizione di cui una in lingua francese), Bedeschi avesse veramente vuotato del tutto lo zaino e
che l’opera rimanesse un esempio di eccezionale ma occasionale creazione letteraria.
Bedeschi ha invece ripetuto il prodigio, tanto più significativo in quanto con «Il peso dello zaino» l’Autore ha
condotto i suoi personaggi ancor più appresso al lettore.
Reitani, Scudrera, Pilon, i tanti altri rimasti o tornati, erano diventati persone di famiglia già con «Centomila
gavette di ghiaccio» e le vicende narrate da Bedeschi vennero vissute con intensa commozione da ogni lettore; ma erano
soldati che, necessariamente e proprio per l’eccezionalità dell’impresa, sentivamo superiori ad ogni possibilità umana,
ammirabili ma inimitabili, più da compiangere che da capire, quasi mitologici nella loro grandezza.
«Centomila gavette di ghiaccio» può infatti apparire (difetto di lettore, non di autore) quasi distaccato e d’interesse
documentaristico, e qualcuno potrebbe sintetizzarlo con poche parole: eh! sì, la Russia, gran brutto affare, ma è
lontana, fortunati noi; bravi però quegli alpini, hai sentito che leoni; anche i russi l’han detto; beh! grazie al cielo
a noi non è toccata, tutto è ormai finito ».
Giudizio sbrigativo, che contrasta persino con la dedica apposta dall’autore in apertura di «Centomila gavette », ma che
il lettore medio e frettoloso sarà stato tentato di fare dopo aver chiuso il libro; ed anche se questo l’ha fatto
piangere su più di una pagina.
Ma ecco che Bedeschi completa l’applicazione della grande lezione di vita che la guerra deve significare per tutti.
Il primo libro vedeva opposti gli alpini ad un nemico esterno, fatto di avversari irriducibili e d’intemperie atroci,
lontano dalla patria; nella parte raccontata con «Il peso dello zaino» il nemico è in casa, cambia poi subitamente senza
la possibilità di una sicura ed omogenea identificazione.
Il nemico si è in tal modo annidato nel cuore di ogni combattente al quale ogni scelta appare nel contempo giusta e
sbagliata; e i personaggi di Bedeschi affrontano, dopo l’immensità della steppa, l’ancor più grande e drammatico
problema di concludere da uomini veri.
Sembra- ancora impossibile che sia stata riservata, a soldati di sì grande altezza, una sorte tanto avversa ed ingiusta;
e sembra incredibile che soldati usi solo ad obbedire abbiano compreso ciò che dovevano fare - e non fecero - dei
piccoli uomini usi solo a comandare. Per averlo seguito e vissuto anche noi questo dramma, i Soldati di Bedeschi ci
appaiono ancor più fratelli e maestri di vita; persino la vita e il destino della mula Gigia insegna molte cose.
I personaggi di Bedeschi, compendio di sofferenze e di eroismo, che si sono anche moralmente salvati «per salvare», ci
trasferiscono il peso dello zaino, per lungo tempo portato anche per noi e che non sarà stato portato del tutto invano
se - come il libro insegna - sapremo ravvisare nei patimenti che contiene altrettanto buon seme che valga a far nascere
ed accrescere in noi un amore per la Patria convinto e costruttivo.
M. ALTARUI