MI LEVEREI IL CAPPELLO...


Giugno 1966

Salvo errori giudiziari, vanno in galera coloro che hanno commesso un reato.
Io non ho letto il trattato del Beccaria «Dei delitti e delle pene» ma ritengo che un po’ di civile buon senso valga ad approvarne i suggerimenti anche senza averci studiato sopra. E sono tra i molti che pensano al carcere (per chi vi è dentro) come a un mezzo di redenzione e di «pubblica utilità», intendendo quest’ultima funzione come esecuzione di lavoro (il più adatto possibile per ogni soggetto) che vada a beneficio della società la quale ne ha d’altronde il diritto per il turbamento che ebbe a subire dall’azione delittuosa del colpevole.
Senza voler giungere al concetto di lavoro forzato, un’attività lavorativa in carcere dovrebbe essere di adeguata durata e di conveniente risultato economico, tale da poter compensare il vitto consumato (e che sia sano ed abbondante), l’investimento di capitale pubblico (carceri ed attrezzature), la spesa per il personale (direzione, vigilanza, ecc.), un margine a beneficio della società ed altro ancora da giustificare una discreta paga ad ogni detenuto.
Per giungere a questo un recluso dovrebbe lavorare un bel po’, e non troverebbe motivo di noia.
Che cosa fanno gli obiettori di coscienza attualmente in carcere?
Ho cercato di saperne qualcosa, naturalmente in modo incompleto, ma sono sufficienti due esempi.
Il primo obiettore, condannato a un anno di reclusione, venne assegnato al reparto legatoria col pacifissimo incarico di piegare i fogli: non volle nemmeno accettare questo «passatempo» che - evidentemente - la sua coscienza gli obiettava di eseguire.
Son passati per me i tempi in cui giocavo a ping pong, ma un laureato recentemente condannato a un anno e otto mesi - per rifiuto di vestire la divisa - trova il tempo di giocare a ping pong.
E mentre le mie ossa (non solo le mie, non solo le mie) scricchiolano sotto il torchio inesorabile del fisco, continuo a lavorare anche per pagare le palline da ping pong per gli obiettori di coscienza. Le imposte che pago equivalgono almeno a due ore di lavoro al giorno: le uniche che potrei (o almeno una) dedicare alla famiglia e per respirare un po’ d’aria che persino ai carcerati è concessa; ma lavorerò, come molti altri cittadini, per poter permettere anche agli obiettori di coscienza di godere ben riposati le loro ore di svago all’aperto.
Mi sono persino illuso che - terminata la detenzione - gli obiettori di coscienza facessero esplodere il loro sconfinato amore per l’Umanità dedicandosi ad onere di bene: e quante ve ne sono nel mondo che attendono la generosa dedizione dei migliori!
Mi dispiace disilludere anche i lettori, ma mi risulta che nessun obiettore di coscienza italiano sia andato a lenire le sofferenze fisiche e morali dei popoli più bisognosi. Loro stessi hanno però ritenuto di ricordare i risultati del rapporto FAO del 1964: un miliardo e mezzo dl affamati (60% della popolazione mondiale), settecento milioni di analfabeti (46% della popolazione di più di quindici anni), trenta milioni di morti di fame ogni anno, e, nelle zone sottosviluppate, due bambini su tre che non raggiungono l’età adulta; infine, quattro miliardi e settecento milioni di dollari l’anno per aiuti ai popoli sottosviluppati, contro duecento miliardi di dollari per spese militari.
Mi leverei il cappello - persino il cappello alpino mi leverei - di fronte a un giovane che rifiutasse la divisa militare per offrire tutta la propria vita - e non solo le chiacchiere - per fare qualcosa di concreto affinché le citate spaventose statistiche potessero calare di entità.
Un ufficiale alpino mio amico, che s’è fatta la guerra ed aveva poi raggiunto una invidiabile posizione professionale, è partito per il Congo quando quasi tutti scappavano di fronte alla spietata ma ignorante malvagità degli indigeni.
Mi affiorano alla memoria numerosissimi esempi di cittadini-soldati e di sacerdoti-soldati (di più nazioni) che dopo ogni guerra han dedicato tutte le loro forze e le loro sostanze per andare verso i sofferenti, in Italia o altrove non conta perchè il dolore non può e non deve conoscere frontiera alcuna.
Gli Stati Uniti hanno riconosciuto l’obiezione di coscienza (ma - chissà perchè - i giovani che hanno bruciato in piazza la cartolina-precetto per non andare a fare la guerra nel Vietnam sono in carcere), però in sostituzione del servizio militare gli obiettori fanno da cavie sottoponendosi - per il progresso scientifico e quindi per il bene dell’umanità - a rischiosi esperimenti medici.
Mi leverei il cappello di fronte a un obiettore italiano di questo stampo; ma - da noi - gli obiettori non vogliono nemmeno piegare dei fogli e, se hanno una laurea, preferiscono il gioco del ping pong.

M. ALTARUI


Strafe - Expedition

Con una carica di cinquanta chili di esplosivo, i terroristi austriaci hanno forse voluto ricordare la «spedizione punitiva» che cinquant’anni addietro il generale Conrad lanciò contro il nostro esercito nella convinzione di travolgere definitivamente l’Italia.
Se non fosse per la vittima che ha perduto la sua giovane vita - la guardia di finanza Bruno Bolognesi - l’attentato dinamitardo al passo di Vizze (a trecento metri dal confine) potrebbe limitare il nostro commento ad una sonora pernacchia.
Ma un soldato è morto, ucciso vigliaccamente dal secolare nemico col quale un’intesa basata sulla comprensione e il reciproco rispetto mai sarà attuabile.
Noi alpini salutiamo commossi il nuovo Caduto che si aggiunge al circa trenta morti che l’odio austriaco ha provocato in Alto Adige e che dovrebbero ormai pesare definitivamente sulla bilancia della pazienza italiana.