ORTIGARA |
Agosto 1966 |
La furiosa offensiva del maggio 1916 aveva portato gli austriaci lungo un arco che comprendeva l’Ortigara; gli altipiani
divennero una imprendibile immensa fortezza che da Valsugana passava per monti Campigoletti, monte Chiesa, monte Forno,
monte Zingarella, monte Moschiacche e, passando lungo il ciglio sinistro di Val d’Assa, comprendeva la zona sud-est in
direzione di monte Cimon d’Arsiero.
La naturale fortezza consentì agli austriaci di piazzare nelle caverne le loro infernali mitragliatrici e di apprestarsi
a difesa in posizioni vantaggiosissime; molto precarie erano invece le nostre posizioni sulle quali il nostro esercito
si era dovuto aggrappare.
Già nel luglio dei 1916 gli alpini inutilmente avevano tentato di raggiungere 1’Ortigara per poi scendere in Valsugana.
Il primo tentativo fu quello del Gruppo alpino del col. Sapienza composto dai battaglioni «Clapier», «Mercantour»,
«Cividale», «Mataiur» e «Natisone», seguito da quello del Gruppo del col. Stringa coi battaglioni «Maccarello»,
«Argentera», «Val Maira», «Monviso», «Val Cenischia», «Morbegno», «Sette Comuni» e « Bassano»; un terzo vano attacco era
stato effettuato dai battaglioni «Arroscia», «Ellero», «Arvenis» e «Tagliamento» del Gruppo Barco.
Quando - nel giugno 1917 - le nostre truppe si apprestarono a ripetere più vigorosamente l’attacco, l’avversario aveva
potenziato ulteriormente le proprio difese, scavando gallerie invulnerabili, profondi camminamenti e trincee protette da
siepi metalliche di filo uncinato. Le probabilità di successo erano troppo esigue, ma Cadorna volle ugualmente tentare
lanciando nel rogo di una battaglia disperata i generosi soldati della VI Armata mediante l’impiego, diretto o
indiretto, di quattro Corpi d’ Armata: il XX di Montuori, il XXII comandato da Negri di Lamporo, il XXVI di Fabbri, e il
XVIII agli ordini di Etna.
Il XX Corpo era costituito dalla 52° divisione alpina (dislocata davanti all’Ortigara, dall’Agnella al Campigoletti) e
dalla 29° divisione (nella zona fino a monte Forno),
comprendeva due raggruppamenti: il primo - agli ordini del gen. Cornaro - era formato dal 1° Gruppo del col. A. Porta
con i battaglioni Tirano, Vestone, Schio, Valtellina, e il 2° Gruppo del col. A. Gazagno con i battaglioni Ceva,
Mondovì, Bicocca, Val Tanaro e Val Stura; il secondo raggruppamento - al comando del gen. Antonino Di Giorgio - era
formato dall’8° Gruppo del col. Ragni con i battaglioni Monte Ciapier, Ellero, Arroscia, Monte Mercantour, e dal 9°
Gruppo del col. Stringa con i battaglioni Bassano, Verona, Monte Baldo, Sette Comuni. Partecipavano inoltre un Gruppo
(con il col. Martino) composto dei battaglioni Saccarello e Val Dora, la brigata «Piemonte» (3° a 4° fanteria), il 9°
bersaglieri, quattro compagnie del genio zappatori e una compagnia di minatori.
L’artiglieria era dotata di 82 pezzi di piccolo calibro (66 da montagna e 16 someggiate) e di un raggruppamento
bombardieri.
Questi reparti del XX Corpo (dei quali abbiamo voluto ricordare dettagliatamente le denominazioni poiché meritano di non
essere dimenticati) comprendevano circa 20.000 uomini; non si dimentichi nemmeno questo dato sul quale avremo poi modo
di ritornare con il nostro articolo.
Oltre al XX Corpo che doveva attaccare l’Ortigara (52° divisione) e monte Forno (29° divisione), c’erano come prima
accennato il XXII Corpo che avrebbe dovuto forzare la linea sulla sinistra fra lo Zebio (13° divisione) e il Moschiacche
(25° divisione) e gli altri due Corpi destinati a un’azione dimostrativa sui fianchi: il XXVI alla estrema sinistra e il
XVIII verso la Valsugana.
Nelle prime ore del mattino del 10 giugno 1917 le nostre artiglierie aprirono il fuoco per devastare il più possibile le
recinzioni di reticolati davanti alle difese avversarie; ma si levò presto una fitta nebbia che, occultando i bersagli,
rese pressoché nullo il risultato. Poco fruttuoso fu anche il bombardamento effettuato da 14 nostri aeroplani malgrado
la pioggia scrosciante e la grandine: i ricoveri avversari erano troppo riparati per subire danni di rilievo.
Dopo un altro breve cannoneggiamento, gli alpini si slanciarono all’assalto.
I battaglioni «Bassano» e «Arroscia» s’impadronirono del passo dell’Agnella (q. 2003 e 2001) facendo prigionieri i 260
superstiti del presidio austriaco, i battaglioni «Monte Baldo», «Valle Ellero» e «Monte Clapier» raggiunsero quota 2101
dell’Ortigara, a levante di Cima Undici: impossibile fu la conquista di monte Castelnuovo malgrado una lotta durata
parecchie ore.
Ma dalla vetta dell’Ortigara (q. 2105) il fuoco degli austriaci impediva ulteriori avanzamenti oltre il passo dell’
Agnella, per cui attaccarono prontamente battaglioni «Sette Comuni» e «Verona» i quali trovarono sbarrato il cammino dai
reticolati ancora intatti; inutili furono i rincalzi di altri battaglioni.
Gli alpini si avvinsero al terreno, ritentarono il giorno dopo, ma ancora invano.
Mentre il nemico riceveva concreti rinforzi, un forte bombardamento - durato due giorni - si abbatté sulle linee
italiane; la notte sul 13 giugno gli austriaci passarono al contrassalto ma le nostre posizioni vennero mantenute.
Alle 2,30 antimeridiane del 15 giugno, dopo minori attacchi contro lo Zebio, i nemici si rovesciarono a ondate sulle
posizioni italiane dell’Ortigara; le perdite furono gravissime per ambedue le parti, e sicuramente più sensibili per i
nostri alpini i quali riuscirono ugualmente a tenere la linea.
Seguì altra reazione italiana: bombardamento di artiglierie, e azioni dei nostri aerei portate sulle retrovie avversarie
malgrado la reazione dei caccia nemici.
Il 19 giugno la nostra 52° divisione si scagliò verso la vetta del1’Ortigara e quota 2105 venne finalmente raggiunta
combattendo rabbiosamente per 45 minuti; vennero catturati 936 prigionieri (tra cui 74 ufficiali), cinque cannoni,
quattordici mitragliatrici e un migliaio di fucili. L’azione d’insieme - iniziata alle ore 6 del mattino - venne
condotta a nord dagli alpini dello «Stura» e del «Val Dora», a est da un battaglione del 9° bersaglieri e due
battaglioni del 4° fanteria, frontalmente dalla colonna Stringa composta dei battaglioni alpini «Monte Baldo»,
«Bassano», «Verona», «Sette Comuni», e a sud-est col raggruppamento Cornaro (battaglioni «Valtellina», «Stelvio»,
«Saccarello» e «Tanaro»).
Sull’Ortigara e tutt’intorno la lotta continuò però ad infuriare ferocemente.
Notevoli perdite subirono il «Val Dora» nell’azione contro monte Castelnuovo.
Il «Valtellina» e lo «Stelvio» si spinsero fino alla vetta di Pomati facendo un migliaio di prigionieri, ma anche questa
posizione si rivelò intenibile; all’alba del 20 giugno lo «Stelvio» troncò in pochi istanti un contrattacco. Ma ormai si
sparava da tutte le parti, mentre anche la pioggia imperversava.
In particolare, sulla vetta dell’ Ortigara, gli alpini rimasero senza comunicazioni sicure alle spalle, aggrappati alle
balze conquistate, praticamente abbandonati a se stessi e sotto il continuo fuoco del nemico.
Durante l’anno che aveva preceduto l’attacco gli austriaci si erano assicurata una rete stradale efficientissima sul
rovescio delle proprie posizioni, e l’afflusso di truppe fresche e di armamento avveniva con prontezza e quantità per
noi impensabili.
I nostri soldati durarono giorni interi sotto i colpi delle granate mentre nel campo nemico si preparava la riscossa
scatenatasi infatti, con potenza inaudita, nelle prime ore del 25 giugno.
Fu l’inferno: gli assaltatori si lanciarono sui resti dei nostri reparti usando lanciafiamme, bombe incendiarie e lancia
mine; venne prima investita la collinetta fra q. 2101 e q. 2105, poi la vetta dei Pomari e - sfondando - i difensori
vennero aggirati completamente. Iniziò allora - disperata e sovrumana l’impari lotta corpo a corpo dove i lanciafiamme
austriaci rappresentarono un aspetto della terrificante preponderanza: i nostri soldati bruciavano come fuscelli,
venivano sventrati dalle bombe, falciati dalla mitraglia, e i superstiti ancora contrastavano l’irrompente marea
avversaria difendendosi accanitamente giù per le balze insanguinate dell’Ortigara.
L’attacco degli austriaci contro le nostre posizioni al passo dell’Agnella avvenne nella notte sul 27 giugno; due giorni
dopo anche questa linea risultò perduta anche se disperatamente contesa.
Il sacrificio di quei prodi valse almeno a rendere possibile l’organizzazione dei rincalzi per arginare l’avanzata.
La reazione italiana venne attuata agendo su tre colonne: a destra i battaglioni alpini «Spinga» e «Tirano» col terzo
battaglione del 9° fanteria; al centro i battaglioni «Cuneo» e «Marmolada» col primo e il secondo battaglione del 9°; a
sinistra i battaglioni «Ceva», «Tirano», «Stelvio» e il terzo battaglione del 10° fanteria. La lotta fu ancora durissima
ma il nemico venne fermato davanti alle originarie nostre linee.
La battaglia dell’Ortigara costò al nostro esercito 24 mila tra morti e feriti oltre a duemila prigionieri; dei 20.000
appartenenti al XX Corpo d’ Armata ne rimasero quattromila. Il comando austriaco ammise che anche i suoi reggimenti
(scelti tra i migliori), di ritorno dall’Ortigara erano ridotti a scorie; ma le loro perdite (307 ufficiali e 8.985
uomini di truppa) erano state notevolmente minori.
Gli atti di valore furono innumerevoli anche se relativamente poche furono le decorazioni assegnate, poiché - con tutti
quei Morti - spesso nessuno rimaneva per testimoniarne le prove.
Ai battaglioni «Monte Clapier», «Ceva », «Saccarello» e «Mondovì», e cumulativamente ai battaglioni «Verona», «Monte
Baldo», «Sette Comuni» e «Bassano» venne concessa la medaglia d’argento al valore militare.
Di medaglia d’oro alla memoria vennero decorati il colonnello comandante il 10° fanteria Ugo Pizzarello (che aveva fatto
parte degli alpini comandando eroicamente il battaglione «Tolmino»), il tenente Giovanni Cecchin del battaglione «Sette
Comuni», il tenente degli alpini Guido Poli irredento, il capitano del battaglione alpino «Val Stura» Enea Guarnieri di
appena 24 anni.
Quella dell’Ortigara è stata una battaglia infruttuosa, maledetta, ma non fu una disfatta. Anche negli ultimi attacchi i
nostri soldati recuperarono armi e fecero dei prigionieri; quando la sera del 29 giugno giunse l’ordine di ripiegare, i
superstiti rientrarono nelle linee di cima della Caldiera con l’armamento in dotazione e con quello preso al nemico. Una
squadra del battaglione «Cuneo», comandata da un caporale di diciannove anni e che non aveva ricevuto l’ordine di
rientro, rimase al suo posto per ancora ventiquattro ore.
I vivi tornarono, battuti da un irresistibile nemico, magari coperti di ferite ma con l’onore incontaminato. Quelli che
non sono tornati morirono con le armi in pugno, conquistatori di una gloria della quale dobbiamo essere grati a Loro e
fieri di fronte al mondo.
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Domenica 9 luglio - organizzato dalle sezioni di Asiago e di Verona, col patrocinio della sede nazionale dell’ANA - si è
svolto il pellegrinaggio dei superstiti dell’epica battaglia (son potuti arrivare quasi tutti: circa quattrocento) e di
altri diecimila partecipanti prevalentemente alpini.
Era presente il ministro della Difesa on. Tremelloni in rappresentanza del Governo (ha reso gli onori un picchetto di
alpini in armi, intervenuto con fanfara), il gen. Nani comandante della Regione militare, il gen. Scotti commissario per
le onoranze ai Caduti in guerra. il gen. Caruso comandante della brigata alpina «Cadore», il nostro presidente nazionale
dott. Merlin, numerosi parlamentari e autorità militari e civili.
Alle 10,30, alla chiesetta di Monte Lozze da cui si domina l’intero Calvario degli Alpini, ha celebrato la S. Messa il
cappellano capo della Regione militare nord-est mons. Venturini; altro rito di suffragio è stato contemporaneamente
celebrato sulla cima, ai piedi della colonna mozza che l’ANA collocò tanti anni or sono lassù «per non dimenticare» le
nostre Penne rimaste Mozze dall’implacabile falce della morte unitamente a molti reparti di fanti, di bersaglieri, di
artiglieri e di genieri; e ancora per non dimenticare, la Commissione pubblica istruzione del Senato ha approvato il 21
giugno in via definitiva la legge che estende all’Ortigara (e al Cengio) le norme di rispetto e il carattere di
monumentalità.
Dopo il rito religioso il gen. Faldella ha tenuto la commemorazione ufficiale, concludendo con l’auspicio che queste
montagne, così lealmente contese fra austriaci ed italiani durante la prima guerra mondiale, cessino adesso di essere
teatro di attentati rancorosi e prevaricatori, e tutti pensino a queste zone come a un santo altare su cui conviene
accendere una simbolica fiamma di pace, di comprensione, di rispetto reciproco, di civiltà
Il Ministro Tremelloni ha detto che siamo qui, a genufletterci su queste rocce, a ricordare, a rendere omaggio, a
prendere insegnamento. Dopo aver brevemente riassunto i fatti più salienti dalla dura battaglia, ha proseguito
affermando che le Forze armate ricordano orgogliosamente questa epica prova sostenuta, ma sopra tutto rendono omaggio a
questa eroica folla di Caduti, a questi pochi gloriosi superstiti, alle famiglie di quelli che hanno lasciato qui la
vita idealmente ricomposti tutti, oggi, nei diciotto battaglioni di alpini e nei dodici battaglioni di fanteria.
Il Ministro ha infine così concluso: Ogni roccia di questi monti deve essere una lapide non cancellabile che ci
ammonisca perennemente; che ammonisca i figli nostri e i figli dei figli sulla forza e la grandezza di questo eroismo
senza vanterie, di questo sacrificio senza chiasso, di questa fermezza senza jattanza che ebbero ed rianno tipicamente
le genti semplici della montagna. Ci ammonisca sul costo immane della nostra conseguita unità e libertà; ci ammonisca a
servire lo Stato, le patrie leggi, i nostri liberi ordinamenti con ugual coraggiosa fermezza; ci ammonisca sul dovere di
proteggere la pace e di assicurare lo sviluppo del Paese; ci ammonisca nell’impegno di garantire al Paese una convivenza
operosa e giusta, quale i Caduti dell’Ortigara certo sognarono nel fuoco della battaglia
Dopo il silenzio fuori ordinanza, suonato da un trombettiere in armi, il Ministro e tutti i partecipanti sono saliti
alla vetta del Monte, dove il coro «Monte Ortigara» ha eseguito alcuni canti alpini; anche il Ministro ha «pregato
cantando» unendosi sommessamente nell’esecuzione della canzone del capitano «che l’è ferito e sta per morir».
Effettuata infine la visita di omaggio al sacrario militare del Leiten, l’on. Tremelloni si e trasferito all’aeroporto
di Treviso per il ritorno alla capitale.
Anche gli altri partecipanti hanno lasciato poco a poco il monte, senza la consueta festosa conclusione che
contraddistingue i nostri raduni poiché, specie in questo caso, la commozione ha prevalso in tutti gli animi. L’Ortigara
lascia sempre così i visitatori.
Ricordo il raduno-pellegrinaggio di quasi vent’anni or sono; c’era don «Bepo» Gonzato (ferito e prigioniero
sull’Ortigara) che, celebrata la S. Messa al Lozze, parlò ai presenti con la schietta sensibilità che gli era propria.
C’era il generale Stringa - sfortunato conquistatore della vetta, vecchissimo ma ancora scattante ed appassionato - che
con commossi accenti affidò, specie a noi bocia presenti, il ricordo dell’Ortigara.
Salimmo anche allora a quota 2105, in lunghe colonne sui sentieri appena segnati nella pietraia, con gli occhi fruganti
tra le crode e nelle trincee sconvolte, per raccogliere le ancor numerose ossa dei Caduti rese bianche e simili a pietre
da oltre trent’anni di sole.
Giunsi alla cima con le mani colme di poveri resti che deposi alla base della colonna dalla quale sarebbero poi state
trasportate all’ossario del Lozze e infine a quello di Asiago. Alzai la testa e lessi: «per non dimenticare».
Ma com’è possibile dimenticare?
M. ALTARUI