I NOSTRI MALI |
Dicembre 1967 |
L’Adige nasce a nord del passo di Resia e, attraverso le valli Venosta e Lagarina, scende verso
Trento e Verona; puro alla sorgente, simbolo — come tutti i fiumi — di una tacita alleanza tra le città che attraversa,
l’Adige è da troppi anni l’insegna di una ferocia scatenata da pochi e subita da molti: il fiume è diventato una vena
inquinata di odio che scende alla pianura recando morte e distruzione.
Non fa molta differenza se la morte è arrivata col treno che scende scorrendo lungo il fiume, e se
è sostata a mietere altre vittime alla stazione ferroviaria di Trento. Il brigadiere di polizia Filippo Foti da Pellaro di
Reggio Calabria e l’agente Edoardo Martini da Vicenza hanno pagato con la vita
l’eroismo che ha salvato molti passeggeri dalla bomba dell’Alpen-Express; hanno pagato in modo orribile, dilaniati dallo
scoppio dell’ordigno austriaco. Li hanno raccolti a pezzi. riempiendone una cassa da morto e una cassetta più piccola:
carne e sangue di due eroi, mescolati insieme, di un calabrese e di un veneto quasi a significare che sarebbe finalmente
l’ora che gli italiani intendessero — fraternamente uniti
— di avere una Patria unica e comune e che va difesa anche col sangue.
Invece, gli agenti non cadono solo per mano nemica: Giovanni Maria lamponi (23 m ci) è stato
assassinato da un bandito sardo e quindi italiano.
D’accordo, non mettiamo tutto un popolo sotto processo per questo: ma quanto succede in Alto Adige dovrebbe sollecitarci
a fare un salutare esame ci coscienza e a migliorarci come cittadini e come comunità nazionale.
Con l’efferato assassinio del brigadiere Foti e dell'agente Martini la stampa e la gente appaiono
maggiormente sensibilizzate: i giornali han cominciato, a gridare «basta sangue» (quel che la stampa dell'ANA va dicendo
da anni) e i
giovani han cominciato a portare fiori sulla terra bagnata dal sangue di Coloro che sono a difenderci lassù al confine;
un confine che sta però venendo giù quasi di giorno in giorno come se stesse ripetendosi la calata dei barbari
dei secoli e
dei millenni passati.
Dobbiamo quindi fare in modo che questa calata di barbari, che queste bombe e questo odio ci
trovino tutti uniti: spiritualmente anche se variegati politicamente, civili anche se democraticamente assai
immaturi; dobbiamo badare ai fatti nostri prima che alle faccende altrui, non per voler ignorare le attese e le mete
degli altri popoli (anzi!) ma per non farci alienare la
stima delle nazioni amiche e il rispetto di quelle — e non sono poche — che continuano ad
avversarci.
Se ci guardiamo attorno sono troppo frequenti i segni di decadimento che vengono a farci giudicare
negativamente: basta leggere le scritte sui muri per far pensare che la morte di «Che» Guevara abbia toccato la
sensibilità degli italiani più dei nostri morti a Cima Vallona e alla stazione di Trento. «Grecia liberaa, «USA
boia», «Via la Nato», « abbasso » questo e
quest’altro: ecco la libertà di parola e di stampa in Italia.
Direte che non bisogna badare a
queste fesserie che insozzano i muri, come pure alle manifestazioni cretine che i peggiori italiani
trascinano per le strade.
Ma gli altri vi badano.
Una nostra bandiera è stata bruciata a La Paz, capitale della Bolivia, durante una manifestazione
anti-italiana organizzata per rispondere alla gazzarra indetta a Milano, nei pressi del consolato di Bolivia, a favore
della guerriglia nei paesi dell’America latina e per la liberazione di Regis Debray.
Il discorso potrebbe continuare a lungo, ma se vogliamo soffermarci sulla tranquilla nostra
provincia di Treviso basterà dire che è stato danneggiato l’impianto elettrico della grande croce eretta quindici anni
or sono sul monte Altare, sovrastante Vittorio Veneto, e che con la sua luce ricordava il sacrificio dei Caduti di
tutte le guerre. Infine, a Mogliano Veneto, è stato divelto il cippo eretto dalla locale sezione dei granatieri in
congedo; è stata rotta la catena di cinta e asportato l’elmetto usato nella grande guerra e che era stato deposto su un
lato del recinto e fissato con del cemento.
Pur odiose nel loro significato, queste indegne azioni sono lontane dal poter ferire la gloria dei
nostri Caduti, ma quanto più confortante è il gesto della bambina Dina Tiralongo — figlia del carabiniere che fu
proditoriamente ucciso il 4 settembre 1964, a Selva dei Molini, dalla fucilata di un terrorista altoatesino — e che ha
generosamente donato i suoi risparmi a Roberto, Luisa e Mirella, orfani di Edoardo Martini ucciso a Trento dall'eplosione
della valigia al tritolo. Non sarà una cifra notevole quella donata dall’orfana del carabiniere ma quanto sublime
è il suo gesto di solidarietà umana e patriottica decisamente contrastante con i giovinastri che scrivono sui muri delle
città e che inscenano gazzarre incivili per le nostre strade.
Si vuol cacciare l’Italia dall’Alto Adige, e viene da pensare che la Jugoslavia non ci lascerà
nemmeno una parte dei territori italiani che ha in amministrazione nella Venezia Giulia, ma è di conforto sapere che
verrà presto leggermente ritoccato il confine con la Francia nella zona di Clavierès: un piccolo gruppo di case e un
pugno di montanari torneranno all’Italia dopo vent’anni. Impegnati a descrivere tanti avvenimenti scandalistici, i
nostri giornali — e anche pochi per la verità — hanno riportato l’informazione con l’ampiezza che viene riservata alla
notizia della vecchietta che cade dalle scale; noi invece gioiamo per questo ritorno di poche crode all’Italia, di poche
case che erano e ritornano italiane, di poche famiglie che riacquistano la nostra cittadinanza.
Due sole buone notizie quindi: due gocce stemperate nel gran mare dell’insensibilità nazionale; ma, senza di esse, quanto più
amaro sarebbe questo unico «mare nostrum» che ci è rimasto.
M. ALTARUI