MEDAGLIE D'ORO SUL PIAVE |
Ottobre 1967 |
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Mentre sul Montello infuriava la battaglia, anche dalla Priula a Caposile l’Armata dell’Isonzo
tentò fin dal 15 giugno del ‘18 di forzare il Piave in tutti i punti in cui il passaggio si presentava possibile, lungo
un arco dl circa trenta chilometri.
Le truppe austriache (sette o otto divisioni, contro quattro divisioni della nostra III Armata)
riuscirono a posare sul Piave circa sessanta ponti, duecento pontoni e un numero di imbarcazioni oscillante tra i 1200 e
i 1500; e riuscirono pure ad attraversare il fiume a Salettuol e Candelù, a Fagarè e a sud di Zenson e nella zona di S.
Donà di Piave.
Per tenerci entro i termini impostici per la presente rievocazione, ci limiteremo a ricordare gli
avvenimenti svoltisi in provincia di Treviso.
Favoriti da una spessa nuvolaglia. gli austriaci raggiunsero la sponda destra del fiume alle ore 9
antimeridiane — nel tratto fra Salettuol e Candelù — mirando alla conquista di S. Biagio di Callalta; incontrarono
subito la resistenza disperata dei fanti della 31° divisione della quale faceva parte la giovane brigata «Veneto» (255° e 256°
reggimento) comandata dal generale De Maria e che si batté con tanta decisione da ributtare il nemico oltre il Piave
facendo più di mille prigionieri (tra cui un colonnello e altri trenta ufficiali) e catturando numerose armi e
munizioni. Alle bandiere dei due eroici reggimenti venne conferita la medaglia d’argento per aver opposto all’avversario
«pronto e sanguinoso baluardo, il petto dei loro fieri soldati, potentemente contribuendo a contenere prima e ad
infrangere poi l’offensiva nemica».
Più critica si presentò la situazione nella zona di Fagarè difesa dalla 45° divisione, comandata
dal gen. Breganze, che pur si battè leoninamente contro un nemico poderosissimo il quale riuscì a costituire una salda
testa di ponte; più limitati successi l’avversario riuscì a conseguire nell’ansa di Zenson e alla Fossalta - contrastato
dalla nostra 254° divisione - ma assai grave risultò la penetrazione da Croce a Caposile ove le nostre prime linee
(specie intorno a Musile e a lntestadura) vennero presto travolte.
Eroe della prima giornata di lotta fu il ten. col. CARLO GUADAGNI, nato nel 1878 a Santeramo in
Colle (Bari), comandante di un battaglione del 243° Fanteria (brigata «Cosenza») e caduto il 15 giugno a S. Andrea di
Barbarana.
Decorato di medaglia di bronzo in Libia (Misurata, 1912), Guadagni ebbe la medaglia d’argento per
essersi distinto nel luglio 1915 a Castelnuovo del Carso; la medaglia d’oro alla memoria sintetizza come segue il suo
estremo eroismo in terra trevigiana: «Durante un poderoso attacco nemico, mentre alla testa del suo battaglione avanzava a sostegno di
altro reparto fortemente impegnato, scontratosi con forze preponderanti avversarie, che già avevano travolto le nostre
prime linee e minacciavano un completo sfondamento, incurante del numero, le contrattaccava arditamente, e, a prezzo
delle più gravi perdite, riusci va ad arrestarle ed a respingere i loro successivi attacchi. Dopo più ore di lotta
impari e disperata, ridotto ormai con pochi superstiti, anziché ripiegare, si asserragliava coi medesimi in un caposaldo
della posizione, deliberato a resistere a tutta oltranza e, fulgido esempio di valore e del più alto sentimento del
dovere, v’incontrava morte gloriosa».
La bandiera del 243° Fanteria cui apparteneva il ten. col. Guadagni, e quella del 224° reggimento
della stessa brigata «Cosenza», vennero entrambe decorate di medaglia d’argento «Per l’ardore e la tenacia mostrati in tre giorni di violentissima battaglia, sbarrando il passo al
soverchiante nemico e per l’impetuoso slancio onde, sul campo insanguinato della lotta, ancora una volta rifulse con
radiosa vittoria il rude valore dei forti fanti di Calabria».
Innumerevoli altre le prove individuali di valore, tra cui quella data dal capitano di fanteria
GIOVANNI EMILIO BOCCHIERI, comandante della 1394° compagnia mitragliatrici e che si era già meritata una medaglia
d’argento a Fagarè nel corso della prima resistenza del precedente novembre. Nato a Ragusa Inferiore (Siracusa) nel 1894
e diplomato ragioniere, Bocchieri aveva frequentato la Scuola militare di Modena dalla quale era uscito sottotenente pochi giorni
prima della dichiarazione di guerra; la medaglia d’oro conferitagli alla memoria (Breda di Piave, 15-18 giugno 1918), lo
ricorda «Comandante di una compagnia mitragliatrici, dopo una tenace resistenza fatta con la propria
compagnia, ricevuto l’ordine di spostarsi in una località ove il nemico aveva rotto la nostra linea, vi trascinava i
suoi mitraglieri, e, presa posizione colle armi, respingeva l’avversario. Attaccato novellamente da forze superiori ed
accerchiato perchè nostri reparti laterali avevano ceduto, per un giorno intero, fulgido esempio di tenacia, resisteva
strenuamente infiammando con atti di valore ed eroismo i suoi uomini. Serrato da presso, presa personalmente una
mitragliatrice e postala allo scoperto sull’argine, mitragliava a bruciapelo il nemico e lo ricacciava, finché, colpito
al petto, cadde gloriosamente sull’arma».
Visse tre giorni di lotta durissima anche a brigata «Caserta» (267° 268°) che contrastò l’occupazione nemica di Candelù unitamente ad alcuni reparti del 13° Bersaglieri; in particolare, detto paese era presidiato dall’accennato 267°
Fanteria comandato dal ten. col.ERNESTO PASELLI nato a Milano nel 1875 e che era in precedenza appartenuto, col grado di tenente, al 5° reggimento Alpini.
Verso sera del 18 giugno un grosso reparto di arditi austriaci riuscì a penetrare nell’abitato di Candelù venendo
affrontato decisamente dal ten. col. Paselli che alla testa di un gruppo di valorosi si lanciò al contrattacco
impegnando gli avversari in una disperata lotta corpo a corpo; una bomba a mano, lanciata a bruciapelo da un ufficiale
austriaco, dilaniò le carni dell’eroico comandante Paselli al quale venne conferita la medaglia d’oro con la bellissima
motivazione che segue: «Comandante di un reggimento, con la parola e con l’esempio mantenne in critici momenti vivo l’entusiasmo ed il vigore
delle proprie truppe, rendendo vani i ripetuti e furiosi attacchi sferrati dal nemico per più giorni sotto intenso
bombardamento. Rimasto il suo reggimento scoperto sul fianco, si portò alla testa di un piccolo nucleo a fronteggiare
forti infiltrazioni nemiche, incontrandovi morte gloriosa, sì che i suoi prodi, entusiasmati dall’eroismo e dal sublime
sacrificio del loro comandante, con una violenta reazione ne vendicarono la morte, respingendo l’avversario con gravi
perdite ed affermandosi saldamente sul terreno, fatto, per essi, più sacro dal sangue del loro comandante».
Gli austriaci vennero infatti asserragliati nel conteso paese e tentarono inutilmente, per tre volte, di aprirsi un
varco verso la salvezza.
Negli stessi giorni e poco più a sud, in località Molino Vecchio - tra Saletto di Piave e S. Bartolomeo - si
manifestava in tutta la sua pienezza l’eroismo del capitano COSTANTINO CROSA del 201° reggimento di Fanteria (brigata «Sesia»),
nato a Biella nel 1889 e che aveva già combattuto nel Trentino, sull’Isonzo, sull’altipiano di Asiago, sul
Carso e nella zona di Gorizia.
Unitamente al 202° reggimento, il 201° - col capitano Crosa - si trovò impegnato fin dal momento dell’attacco
dell’avversario che, guadagnato l’isolotto Vittoria, faticò assai a porre piede sulla destra del Piave; l’eroica,
resistenza della brigata «Sesia» - i cui due reggimenti meritarono la medaglia di bronzo - costò, in due giorni di
lotta, la morte in combattimento di 119 ufficiali e di 3331 uomini di truppa; tra i caduti, il capitano Crosa alla cui
memoria venne concessa la medaglia d’oro al valore militare così motivata: «Sotto il violento bombardamento nemico con
slancio mirabile, recavasi ad occupare un caposaldo dì eccezionale importanza, col compito di difenderlo fino
all’estremo. Ed il compito assolveva in modo impareggiabie, mantenendosi incrollabile per quattro giorni di accaniti
combattimenti, e respingendo sempre il nemico soverchiante. Rimasto con pochi uomini e attaccato da ogni parte, trovava
ancora tanta energia da ingaggiare un’impari lotta con bombe a mano coll’avversano irrompente e lo fiaccava
definitivamente, ma consacrava la vittoria col cosciente sacrificio della propria vita. Fulgido esempio di eroismo,
spirò dichiarandosi contento di avere, ancora una volta, reso fatto compiuto il motto: Di qui non si passa! Molino
Vecchio (Piave), 15-18 giugno 1918».
Costantino Crosa — la cui salma venne seppellita nel mistico cimitero di Oropa sotto un monumentino erettogli dagli
amici e dai cittadini, e alla cui memoria la città natale intitolò una via — era stato proposto per la promozione a
maggiore per merito di guerra ma la pratica venne interrotta dalla sua eroica morte sul campo dell’onore.
Tra il 17 e il 18 giugno — a Casa Pasqualin, a settentrione della ferrata Ponte di Piave-Treviso — il maggiore CESARE
POGGI del 272° Fanteria si meritò la medaglia d’oro riuscendo a sopravvivere alle molteplici ferite ricevute.
Nato a Torno — in provincia di Como, nel 1883 — Poggi era un ammirato veterano che seppe meritare la promozione a
capitano per merito di guerra nel maggio del 1916 ottenendo anche due medaglie d’argento al valor militare (Altipiano
della Bainsizza, agosto 1917 e sul Monte Carnizza — Natisone — nell’ottobre dello stesso anno); era stato proposto per
la promozione a maggiore per merito di guerra, ma l’ebbe invece «per meriti eccezionali» col trasferimento al 272°
reggimento Fanteria del cui 2° battaglione aveva assunto il comando.
Per la situazione che si era creata alla Battaglia del Solstizio, il reparto del magg. Poggi (con tutto il suo 272° e il
271° facenti parte della brigata «Potenza») venne inviato a sostegno della «Cosenza» e della «Sesia» della cui
attività e dedizione abbiamo più sopra accennato; la lotta iniziò furibonda a Casa Pasqualin ridotta a un mucchio di
rovine adattate a fortilizio, e la medaglia d’oro, concessa al magg. Poggi con motu proprio del re, ricorda quel
glorioso avvenimento svoltosi in terra trevigiana: «Comandante di un battaglione da lui mirabilmente preparato,
occupava e teneva per tre giorni un caposaldo, resistendo, sebbene isolato quasi completamente, ad attacchi in forze del nemico, e contrattaccando a sua volta. Ferito in due parti del corpo manteneva il comando e dopo fierissima
resistenza, esaurite le munizioni, ripiegava in ordine su posizioni poco arretrate. Quivi, ferito nuovamente due
volte, era ancora l’anima della resistenza. Esausto per la perdita di sangue si decideva a lasciare il comando solo per
la insistenza dei suoi e per la fiducia che poteva avere nel suo successore».
Rimarginate le ferite e conclusasi la guerra, il magg. Poggi si congedò e
— decorato pure della croix de guerre francese — si dedicò agli emigranti quale ispettore del commissariato di
emigrazione di Genova.
Quel 18 giugno, nel pomeriggio, gli austriaci sferrarono un nuovo irruento attacco che si estese con crescente violenza
in tutto il settore di Fagaré; ad integrare la resistenza dei fanti era giunto il 4° reggimento bersaglieri del quale
faceva parte l’aiutante di battaglia GIUSEPPE PAGGI che, nato a Sala Vercellese — secondo altri biografi, a Cascine Strà
— (Novara) nel 1890, si era già meritato una medaglia di bronzo a Monfalcone nell’agosto 1916 (riportando una grave
ferita), una medaglia d’argento nel settembre 1917 a Nova Vas, ed altra medaglia di bronzo a Flondar nel maggio 1917;
nel novembre di quest’ultimo anno aveva pure conseguito la promozione ad aiutante di battaglia per meriti di guerra per
altra eroica azione nella zona di Paludea.
Il 18 giugno ricorreva l’anniversario della costituzione del Corpo dei bersaglieri (fondato da La Marmora nel 1836) e
l’eroico fante piumato Giuseppe Paggi cadde proprio in quel giorno «Ardito fra gli arditi, temprato dal pericolo più
volte impavidamente affrontato, volontario nelle imprese più rischiose, trasfondeva coll’eroico suo contegno forza e
vigore nei dipendenti. Con pochi uomini valorosamente affrontava il nemico asserragliato in una casa e faceva ben
quaranta prigionieri. Ferito, rinunciava ad ogni cura, animato dal solo pensiero di rimanere coi suoi bersaglieri. Visto
che l’avversario aggirava una nostra mitragliatrice, lo contrattaccava col proprio plotone, e dopo un furioso corpo a
corpo salvava l’arma. Mentre poi la postava per aprire di nuovo il fuoco, cadde colpito a morte da una pallottola
nemica: fulgido esempio di elette virtù militari. Ca’ dal Bosco (Piave), 18 giugno 1918».
L’eroica Medaglia d’oro di Ca’ del Bosco (località a breve distanza da San Bartolomeo, a nord di Fagarè) era pure
decorato della medaglia d’oro serba.
Frattanto, la brigata Perugia (129° e 130°) che aveva sostituito la brigata «Cosenza» duramente provata, continuava a
resistere malgrado le forti perdite; ugualmente la brigata «Pavia» che nella notte del 17 aveva sostituito la brigata
«Sesia» e che attaccò subitamente, divisa in tre colonne, a nord della rotabile Treviso-Ponte di Piave raggiungendo la
linea dei caposaldi Casa Pasqualin-Torrente Zensonato-Case Martini.
Accanita continuava la lotta anche nelle anse di Zenson ove si trovarono impegnate le brigate «Ferrara» (47° e 48°) e la
«Jonio» (con i reggimenti 221° e 222°); il 48° reggimento seppe meritarsi la medaglia d’argento per l’eroismo dei suoi
fanti che furono « esempio inarrivabile di valore e di spirito di sacrificio», e di medaglia di bronzo vennero decorate
le bandiere dei reggimenti della «Jonio».
La medaglia d’argento «per la ferrea tenacia con cui difendeva le posizioni tenute» si meritò a Villa Premuda — poco
dietro Zenson — il XXVIII reparto d’assalto.
Oltremodo eroico fu il XXV reparto d’assalto, impegnato tra S. Pietro Novello e Fosso Palumbo, in comune di Monastier
di Treviso; si distinse in particolar modo il sottotenente GIUSEPPE ALBERTINI che tra il 17 e il 19 giugno —
nell’accennata località — meritò la medaglia d’oro con la seguente motivazione: «Magnifica figura di ufficiale, in
campagna fin dal suo inizio, provato in numerosi combattimenti in cui brillarono costantemente il suo fulgido eroismo e
il suo altissimo spirito di sacrificio, comandante di una sezione di mitragliatrici d’assalto, con irresistibile
slancio, alla testa dei suoi uomini, muoveva all’attacco di una ben munita posizione nemica, e vi arrivava per primo,
distruggendone il presidio. Concentratosi sulla linea conquistata il fuoco di quattro mitragliatrici avversarie che
cagionavano forti perdite, postava le proprie armi in sito sprovvisto di riparo e, manovrandone una personalmente, le
controbatteva efficacemente, riducendole al silenzio. Contrattaccato da forti masse nemiche, unico ufficiale in linea e
con la sezione ridotta a pochi uomini, resisteva con disperata tenacia per oltre due ore, infliggendo forti perdite
all’avversario dando agio ai rincalzi di sopraggiungere. Il giorno dopo, costretta la linea a ripiegare per uno
sfondamento laterale, di propria iniziativa, proteggeva il movimento di ritirata colle proprie armi, infliggendo al
nemico nuove fortissime perdite e contrastandone per lungo tempo l’avanzata. Esaurite le munizioni ed accerchiato,
all’avversario che gli intimava la resa, rispondeva fieramente: «No! son fiamma nera!» ed a colpi di bombe si apriva
la strada, ponendosi in salvo con le armi. Incontrati i rincalzi, tornava con essi al contrattacco, giungendo ancora
tra i primi sulla posizione, contribuendo validamente a conquistarla e respingendo poi i contrattacchi. Ferito, non abbandonava il suo posto di combattimento, ed in un’azione di pattuglia distruggeva
a colpi di bombe una mitragliatrice nemica, mettendone fuori combattimento i serventi. Fulgido esempio di tenacia e dì
valore».
Questo eroe leggendario, nato a Milano nel 1892, aveva meritato la promozione a caporale per merito di guerra (altopiano
di Asiago, giugno 1916), una medaglia dì bronzo sul Monte Zebio (6 luglio 1916); nominato sottotenente, ebbe altra
medaglia di bronzo a Gallio (altipiano di Asiago) il 10 novembre 1917, fu ferito una prima volta il 5 dicembre a Monte
Meletta, e meritò poi la medaglia d’argento a Monte Valbella.
Guarito dalle ferite di Fosso Palumbo, ritornò prontamente ai reparti d’assalto coi quali combatté sul monte Pertica
(Grappa) nell’ottobre 1918 e infine a Longarone nei conclusivi giorni di guerra.
L’eroismo di Albertini segnò il massimo sforzo del nostro esercito per contenere l’offensiva avversaria; la lotta
sarebbe ormai proseguita su uno schema imposto dalla nostra controffensiva, e le nuove Medaglie d’oro — che verranno
prossimamente rievocate — furono conquistate al di là del Piave, sulla strada che definitivamente portava a Vittorio
Veneto.
(Fine della terza parte, a cura di M. Altarui; le puntate precedenti sono state pubblicate nei nn. 1 e 2 del corrente
anno).