INSALATA DI STELLE ALPINE |
Dicembre 1969 |
Dal mucchietto di colpe, che (come tutti) ho sinora accumulato, ne manca una: quella di raccogliere stelle alpine.
Qualcuno sarà pronto a porre in dubbio che, in tanti anni, io sia giunto abbastanza in alto per poterlo fare; vi sono
invece arrivato con frequenza ma ho sempre considerato la stella alpina come una creatura posta lassù per confortare la
nostra fatica, un premio al solo ammirarla, una conquista troppo intima da escludere la necessità di parteciparne gli
altri mostrando la testimonianza del mazzetto di stelle strappate alla roccia.
Ancora ragazzetto ho scritto una poesia-colloquio con la stella alpina, avente per tema un giovane che muore portando
nel precipizio il fiore duramente conquistato. E’ una poesia che di tanto in tanto vedo ripubblicata ma che non mi piace
più, se il tempo delle poesie non fosse anche per me trascorso, ne vorrei scrivere una che parli di stelle alpine che
rimangono lassù e di giovani che vi ritornano felici solo di averne raggiunto il regno.
Una delle ultime volte che sono stato in roccia è stato a causa di uno studente (secondo anno di ingegneria, veneziano,
simpatico ma testardo) che era rimasto incrodato a poche spanne da un ciuffo di meravigliose stelle alpine. E’ stata
dura per ricondurlo giù poiché aveva le mani disperatamente artigliate alla croda e le gambe paralizzate dal panico. Ma
appena si ebbe ripreso balzò verso la parete con l’intento di rinnovare l’assalto alle stelle alpine.
A momenti lo prendevamo a cazzotti, soprattutto perchè giustificava la sua pericolosa ostinazione con la promessa -
fatta ai conoscenti di albergo - che sarebbe infallibilmente tornato con un mazzo di stelle alpine.
Il vanaglorioso ritorno serale con gli zaini costellati di stelle alpine prigioniere tra le cinghie o tristemente
traboccanti dai legacci del sacco è purtroppo frequente; e poi inizia la distribuzione tra i complimenti degli altri
voraci villeggianti che sembrano bisognevoli di saziarsi con una insalata di stelle alpine. E a queste, col capolino
spesso a penzoloni per la subìta rottura dello stelo, si aggiungono altri poveri fiori alpini rubati alla montagna:
dal rododendro all’umile miosotide, dallo splendido zafferano selvatico all’ormai rara « Pianella della Madonna » ed
altre varietà di orchidee montane (l’elleborina rosea, la nigritella cui suo intenso profumo di vaniglia, la pur
frequente concordia maculata), ed infine il colchico e il botton d’oro non sufficientemente velenosi da sottrarsi
all’irrazionale raccolta.
La spietata estirpazione di fiori e di piante rappresenta una vera bestemmia alla natura dei monti. Quando salgo alla
montagna e raggiungo il ranuncolo glaciale unica pianta fanerogama che vive a grandi altezze - o le due varietà di
sassifraghe che sbucano dai ghiaioni, e la soldanella alpina che appare tra la neve fondente, e infine la stella alpina
(o «bianco di roccia» come talvolta la chiamiamo), io scorgo in essi la volontà di vivere della montagna. Finché vediamo
fiori significa che la montagna vive, e di ciò troviamo tracce palesi anche nello sfasciume di roccia nel quale si può
incontrare il semprevivo dei monti, il papavero pirenaico, l’ormino ed altri fiori umili ma attestanti la vita.
Ogni montagna va considerata un grande vaso di fiori: un vaso mio, tuo, di tutti. E a un vaso di casa nostra non
strappiamo i fiori, anche se li vediamo declinare e poi morire.
Mi si obietterà proprio che i fiori sono destinati a morire; ma lasciamoli morire in pace, per la loro vecchiaia come
desideriamo avvenga per noi; e se la falce del montanaro li raggiunge insieme con l’erba da fieno, noi dobbiamo
ritrovare il profumo dei fiori nell’irripetibile sapore del latte che alla malga ci disseta nella sosta del nostro
cammino.
Ma veder morire un fiore su un tavolo d’albergo è triste, e a me ricorda quando - appena ragazzetto - mi illudevo di far
vivere qualche giovane passero rinvenuto in campagna: malgrado ogni fiduciosa premura, al primo mattino me lo trovavo
stecchito.
E’ per questo che ai passeri ora butto le briciole di pane anziché pretendere che essi vivano in casa mia.
Ognuno, anche i fiori e i passeri, ha diritto alla vita e alla morte che la natura gli assegna.
M. ALTARUI