CAPPELLO ALPINO |
Settembre 1970 |
Dove è finito non ve lo diciamo subito, in quanto è opportuno godere - con il significativo finale - anche l’episodio
che l’ha preceduto.
Un anno fa - proveniente dall’Etiopia per un breve periodo di licenza a casa - il coneglianese Mario Barro si presentò
al nostro vice presidente avv. Travaini chiedendo di poter avere un cappello alpino; poiché la Sezione non ne disponeva,
venne interessato il ten. col. Italo Beltramba - nostro socio e comandante della Sezione Staccata di Artiglieria di
Conegliano.
Il cappello si, ma di che numero?
Barro disse che il cappello serviva al geom. Sergio Schnaider, alpino ma rimasto laggiù in Africa: come misurargli la
testa per fornire il cappello giusto?
Il buon Barro non dimostrava di condividere le preoccupazioni di Beltramba e di Travaini; gli bastava il cappello, un
qualsiasi ma vero cappello alpino. La testa, egli disse, non c’entrava.
Ma. mica siamo in fase di reclutamento, quando ti sbattono in testa il primo cappello che capita tra le mani del
magazziniere e che forma poi oggetto di reciproco scambio tra le reclute o fatto diventare di misura giusta con le
manipolazioni suggerite dai veci; qui si trattava di mandare un cappello a un alpino che in Africa non ha certo la
possibilità di queste operazioni non facili nemmeno nell’ambito di un battaglione.
- Il geometra ce l’ha il suo cappello, soggiunse Barro; ciò ha rallegrato il nostro vice presidente e il comandante
Beltramba, confermando il fatto che gli alpini si portano il cappello anche in capo al mondo. Ma per chi è dunque il
cappello richiesto?
- Per la diga.
- Cosa? Per la diga?!
Mario Barro cominciò dall’inizio, ricordando che nel dicembre del 1967 - su commissione del Comune di Addis Abeba -
vennero iniziati i lavori per la costruzione di una diga sul fiume Sandafà, nella zona di Legadadi, a circa trenta
chilometri a est della capitale etiopica.
Progettista dell’opera - con un invaso della capacità di cinquanta milioni dì metri cubi, e destinata al rifornimento
idrico di Addis Abeba - è stato l’ing. Pietrangeli di Roma, ed appaltatrice dei lavori l’impresa «Salini Costruttori»
pure di Roma.
Beh, si sa, le imprese italiane ne hanno costruite parecchie di dighe; ma che c’entra con la storia del cappello?
Barro precisò che le maestranze erano costituite da una sessantina di tecnici italiani - prevalentemente veneti e
friulani, quasi tutti alpini - e da un migliaio di operai etiopici; responsabile dei lavori era il geom. Sergio
Schnaider (quello che chiedeva il cappello!), e Mario Barro il capo officina del cantiere, oltre a Giuseppe Dorigo che
- coneglianese e alpino - aveva la funzione di capo-impianti; tirando a concludere - come prima detto, il colloquio
avvenne un anno fa - disse che la costruzione della diga sarebbe presto terminata e - appunto per questo - occorreva il
cappello alpino
La conclusione non aveva chiarito un bel niente in merito alla logicità del rapporto tra diga e cappello, ma Barro
spiegò allora - come se fosse la cosa più naturale e comprensibile - che gli alpini della diga avevano deciso di murare
il cappello nella diga in occasione della conclusiva colata di cemento.
Chi ha ascoltato non ha saputo esprimere il proprio stupore che con una commozione che intensamente traspariva dagli
occhi il pensiero andava agli italiani della diga, a quegli ottimi alpini che con fatiche condotte per anni hanno eretto
la ciclopica barriera sul fiume Sandafà e che nella fase terminale decisero - su suggerimento dell’ammirevole geom.
Schnaider - di incorporare in quella diga il simbolo della loro immutabile volontà alpina.
Inutile dire che il cappello è stato prontamente messo a disposizione.
L’opera è ora terminata e Mario Barro è recentemente tornato in licenza alla sua casa di Scomigo di Conegliano. Come
promesso, ha raccontato la cerimonia svoltasi a lla presenza dei tecnici italiani e degli operai etiopici; l’alpino
coneglianese Giuseppe Dorigo è stato calato - in piedi sulla benna e col cappello alpino - sulla sommità della diga: ha
posato il cappello che l’ultima colata di cemento ha poi coperto immedesimandolo per sempre in questa opera destinata a
sfidare i secoli.
Il cappello alpino è in tal modo diventato il cuore della grandiosa diga africana.
M. Altarui