I VALORI DELL'ADAMELLO |
Dicembre 1970 |
Che valore hanno i monti? Conforme: tutto dipende dalla fisionomia della borsa. Quando la borsa è gonfia il valore dei
monti è poco, quando la borsa è sgonfia il valore è quasi niente. Dunque: o poco o quasi niente. Vale a dire che tutto
dipende dalla domanda come sulla piazza del mercato perchè nessuno offre i monti in vendita. Infatti non si sono mai
visti monti all'incanto.
Però se uno volesse vendere il suo monte e lo mettesse all’asta allora, se il monte è alto, bello e
rovinabile, è facile trovare una società a responsabilità limitata o senza responsabilità che offra per ogni pertica di
quel monte pochi centesimini della nostra povera liretta. Sarebbe il caso della borsa gonfia col risultato di un affare
magrolino per il padrone del monte che avendo voluto l’asta se la tenga. Come del resto si ottiene applicando la Regola
del Benga.
Fatta questa operazione e chiusa la borsa il monte compravenduto che aveva poco valore è ora sulla
via della valorizzazione.
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Adesso vediamo che cosa vuol dire valorizzare un monte che prima aveva poco valore; e vediamolo
attraverso un esempio pratico.
I piazzisti e i loro mezzani sanno che l’Adamello, come monte, vale poco perchè è fatto di roccia e
ghiaccio, sassi e neve. E chi lo compra? Anche nella guerra europea il suo valore è stato scarso dato che un’invasione
austriaca della Lombardia mai più poteva avvenire attraverso i suoi ghiacciai troppo alti e troppo scomodi.
Se poi lo confrontiamo col Monte Grappa che è stato un vero palco di supplizio vediamo che
l’Adamello non valeva quasi niente, in guerra. Sull’Adamello si sono svolte perfide battaglie tra pochi uomini presi più
di mira dalle valanghe che dai fuochi delle armi. Sul Grappa è stata un’altra solfa e giustamente gli abbiamo detto
«Monte Grappa tu sei la mia patria» con una musica commovente da marcia funebre. Oggi la patria è scappata dal Grappa;
non è nemmeno un monte — la patria — ma un Passo e nemmeno tutto nostro ma mezo par omo con gli altri. Insomma è così, come
diciamo noi che certa storia casalinga l’abbiamo imparata a bruciapelo cinquant’anni fa.
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Tornando da capo vediamo cosa vuol dire valorizzare un monte. Per capire bene questa cosa e
rimanere a bocca aperta una persona onesta e intelligente deve far finta di non capire niente come se non avesse mai
visto un monte nemmeno in miniatura. Allora è chiaro che il metodo usato per valorizzare un monte comporta sacrifici
sorretti da speranze clamorose.
Dopo aver speso poco per comperare l’Adamello la società che ne è diventata proprietaria col pronto
soccorso dello Stato e le moine della Leonessa ci spende dentro una borsa di miliardi per costruire funivie, seggiovie,
sciovie, finti rifugi, finti belvederi, false scuole di sci allo scopo di fare risaltare in mezzo a tutti i monti
soltanto l’Adamello che avendo cambiato i connotati può ora farsi chiamare «A me dàllo» o «Dàllo a me» che è la stessa
cosa e che diventa lo stemma di famiglia della società sfruttatora. Questo si chiama valorizzare un monte
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Quando l’Adamello sarà valorizzato di sana pianta, vale a dire quando avrà raggiunto il massimo
valore che a trattativa privata possono dargli i piazzisti e i loro mezzani, se si volesse rivenderlo si realizzerebbe
un guadagno favoloso da poter comperare mezza Lombardia. Ma chi fa questo? Chi vende ciò che gli rende la favola?
Ecco, per essere sinceri, noi siamo di quelli che non sapremmo cosa farne di un Adamello saturo di
peccati mortali contro la natura commessi dalla valorizzazione infertagli dall’uomo — questo somaro — che prende un
monte campione dell’arte alpina e onusto di glorie militari e lo costringe a sopportare i tralicci delle funivie, i
portali delle seggiovie, i cavalletti delle sciovie sciupandogli corpo e anima.
In piena borsa possiamo in coscienza urlare che non si potrà mai dare un prezzo all’Adamello perchè
un monte di quella sorta, rovinato in quella maniera, non vale niente.
Eugenio Sebastiani