SANDRO PRADA


Giugno 1971

LA RAGAZZA CHE VOLEVA RIPOPOLARE LA MONTAGNA

Sandro Prada trova sempre il modo di raccontare delle belle cose, un po’ usando la sua fantasia, un po’ ricordando la sua gioventù di amante riamato della natura: monti e mare, mare e monti, con preferenza ai monti che li aveva lì a poca distanza dalla sua Milano; ed ai suoi bei tempi girando pei Bastioni di Porta Venezia toccava con lo sguardo slanciato le rugose cime delle Grigne oggi nascoste dalla grande muraglia.
Le cose belle che ora ci racconta sono riunite in un libro dal lungo titolo promettente: LA RAGAZZA CHE VOLEVA RIPOPOLARE LA MONTAGNA. Lunghezza a saldo della promessa. Non si tratta però di un romanzo o romanzetto sul fiato di romanza ma di una storiella mezza vera perchè forse è mezza inventata - ma così bella che sembra vera; che sembra inventata apposta per farla apparire vera. Solo lui lo sa e non sta bene curiosare.
E’ vero, per noi, solo ciò che dalle pagine della storiella comprime di sentimenti la nostra attenzione; e sono sentimenti che convincono, a scelta, che la storiella sarà vera, che sarà inventata, che sarà tutte e due le cose. Io dico che è inventata ma così bene che sembra vera. E mi basta per stare in equilibrio con la mente.
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Dunque questa «ragazza» di Sandro Preda dai fianchi robusti ed armoniosi ha dato il titolo al nuovo libro di venti racconti, staccati l’un dall’altro, senza nessun rapporto con la ragazza, ma solo riuniti per donarci una pacifica lettura dopo aver visto, per 70 lire, che sui giornali c’è gente ammazzata bruciata annegata schiacciata o destinata a finire schiacciata annegata bruciata ammazzata.
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Affinché non si creda che io recensisca i libri senza leggerli o leggendo tre righe ogni risma di pagine - come fanno di solito e su per giù molti, moltissimi, recensori di mestiere che non hanno il tempo di leggere i libri occupati come sono a doverli recensire - dirò che ho pescato lentamente due piccoli errori di stampa quasi invisibili:
a pagina 12, riga 7, è scritto cal invece di col; a pagina 130, riga 16, è scritto che invece di chi. Roba da poco ma è la prova che ho letto il libro e che ci ho fatto su anche l’analisi grammaticale.
Però è vero che prima di adombrarmi (in principio sono sempre scettico) nella lettura di questa bella «ragazza» io l’ho prima sfogliata, poi un po’ spogliata fino ad accorgermi che bisognava spogliarla tutta per fare la scoperta che avevo davanti a me un altro bel libro di Sandro Prada.
E quando, a pagina 32, Prada dice: Gian la accarezzò e il cane gli passò rapidamente la lingua sulle dita in seguo di amicizia io dico che questo «segno» è grande come il «bacio» del Cyrano de Bergerac. Senza tirarla tanto alle lunghe.
Per quanto riguarda gli altri 18 racconti - la scenetta del «segno di amicizia» è idilliaca della vita del pittore Gianfranco Campestrini descritta nel racconto UN CANE AL DOSSO DEGLI ULIVI – l’ho già detto: monti e mare, mare e monti e perfino l’oltremare con l’Africa Orientale.
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Adesso dirò che io le recensioni non le so fare come le fanno gli specialisti del mestiere che dicono sempre bene-bravo-bis tanto per sollevare industria e commercio abbassando poi i lettori al rango di contribuenti. Le mie recensioni, che poi non sono nemmeno recensioni, le faccio a modo mio, solo per il gusto che ci provo senza pensare all’effettaccio che faranno. Sono, le mie, recensioni-articolassi dove io mi esprimo secondo norme mie interne con schegge di pensieri raggruppate a caso dal destino, con idee a brusca e striglia, come quando nella Campagna 15-18 mi davo intorno al mio indimenticabile mulo Nino, morto poi di fame, e lo facevo bello come un cavallo a dondolo.

Eugenio Sebastiani