QUEI LADRI DI ALPINI |
Settembre 1971 |
Piano con certi titoli. Prima di tutto gli Alpini propriamente detti, ossia gli Alpini d’alta quota, non erano ladri ma
dei bisognosi; e per bisogno, per pura necessità facevano il gesto sinonimo di rubare.
«Che belle tolle!» - e così prendevano le tolle degli altri per dotare di qualche comodità i baracchini diseredati.
«Che bèle pòie!» - e, del pari, i bergamaschi del 5° (non ammazzare) miglioravano la pagnotta con galline ammazzate:
poiché com’era d’uso il rancio governativo d’alta quota faceva addirittura paura fra liquidazioni e sgonfiature di
grido.
Se non che le galline ammazzate nella Valcamonica quando arrivavano ai piccoli posti erano sgonfiate per le abitudini di
liquidare che avevano gli sconci delle corvé.
Nota bene. Ho usato le parole liquidare e liquidazione nei due sensi comuni che hanno secondo i casi di trasformare in
liquame ogni cosa dura mangiata oppure di far sparire qualunque cosa liquida molle o dura.
Riprendendo il discorso era come un giro d’affari a base di liquidazioni. La merce all’ingrosso passava per troppe mani
e ogni mano liquidava per conto suo: così, grosso modo, tanto per intenderci.
Come il conto che si poteva fare sul cosiddetto vino. Partiva in burrasca a 9 gradi (vino forza 9) ma allorquando stava
per arrivare in porto si calmava (vino forza zero) col salasso dell’ultimo liquidatore della corvé. Figurarsi a tavola!
A tavola (per modo di dire) era una rovina:
faceva acqua da tutte le parti. Allora gli Alpini d’alta quota si dedicavano alle bellezze panoramiche.
«Che magnifica Bottiglia!»- ma era di roccia pura, quella Bottiglia, e sempre in mano ai Tirolesi sulla cresta di
confine della Val Cedeh.
«Che stupenda Salsiccia!» - esclamavano a bocca aperta i veneti del 7° (non rubare) guardandola dalla parte della fame.
Ma era una Salsiccia di roccia dura e non si poteva rubare.
*
Dimostrato come e perchè gli Alpini d’alta quota nella guerra 15-18 non erano ladri diremo che erano senza fallo
bisognosi. Avevano bisogno di tutto; e siccome la Sussistenza consisteva per loro nel non sussistere, loro, gli Alpini
d’alta quota, impararono ad arrangiarsi a spese degli altri; e in questo furono non diciamo scolari ma maestri dal
ticchio rapido.
Quando per stare al mondo sacrificavano la roba degli altri lo facevano con rara maestria per i loro bisogni con spirito
di somma urgenza; mai con spirito di furto. Anzitutto la mano sulla coscienza, poi la mano miracolosa sulla roba degli
altri, di primissima necessità per loro: tolle e vivande per stare al mondo.
Avvolti nello spazio vivevano in ristrettezze spaventose. Stringi stringi restava spesso il giuoco della morra per
vincere uno spillo da balia o un bottone. A scelta. Ma ladri mai nel senso grossolano di furto.
*
Bisognosi di carità, erano. Ma poiché pochi avevano pietà di loro la carità se la facevano di motuproprio vale a dire di
proprio pugno o sgrinfia senza pentimenti. Anzi! Tanto sapevano bene che dopo veniva la penitenza nell’inferno della
guerra.
Diciamo la verità: quando si capiva chiaro e tondo di essere considerati carne da macello (Ortigara: per non
dimenticare) che peccato era se dopo la considerazione si macellava qualche gallina sgrinfiata nelle bandite della
Sussistenza?
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Vita di sacrifici grandiosi dall’alba al tramonto. Quando il sole Ungeva di rosa le pallide Dolomiti stringevano la
cinghia sulle pallide pance. Poi l’assalto notturno disperato. Qualcuno perdeva perfino le braghe perchè la cinghia
funzionava male.
Sul cappello c’era la penna di faraona dell’ultimo banchetto. Dell’ultima licenza.
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Ladri con fallo erano invece quelli che dirigevano il concerto dei dattilografi. Nelle verande da Padova in giù avevano
rubato il diritto d’imboscarsi perchè, i più, risultavano abili alle fatiche di guerra.
Poi al tramonto quando il sole calante tingeva le cupole del Santo leggevano il Bollettino firmato Cadorna e
partecipavano ad un minuto di raccoglimento - alla raccolta di un minuto - a favore degli Alpini bisognosi che facevano
la guerra senza taconi nei busi.
EUGENIO SEBASTIANI