COLPE NOSTRE ED ALTRUI |
Dicembre 1972 |
Assai poco cortesemente cominciamo a parlare anzitutto delle colpe degli altri.
Il motivo è dovuto al fatto che a tutti non è garbato che gli Alpini siano vissuti cento anni e che dimostrino
l’intenzione di servire la Patria per altri secoli ancora.
Il nostro anno centenario è stato denso di iniziative, vissute interiormente ma pure - ed era un dovere - con
manifestazioni esteriori onestamente intese a richiamare gli Italiani ad una costruttiva fraternità.
A taluni può non piacere che la fameja alpina - tanto difforme nella sua composizione di poveri e di ricchi, di alti
dirigenti aziendali e di umili lavoratori, di intellettuali e di analfabeti, di preti e di bestemmiatori - possa
rimanere unita sebbene sia ormai l’odio, e non la comprensione, ad aspramente caratterizzare la sconfortante vita
nazionale.
Gli Alpini hanno ricevuto, nella ricorrenza centenaria, convinti elogi anche da parte di chi era solitamente contrario o
indifferente ai sani propositi che informano il Corpo e l’Associazione degli Alpini.
Ma gli Alpini sono pure ingenuamente creduloni; la loro sostanziale onestà, la convinzione che il dovere duramente
assolto li possa rendere esenti da attacchi di gente solo anagraficamente battezzata italiana, li tiene lontani dal
supporre che qualche bocca cerchi di diffamarli, che qualche imprudente azione - imprevedibile considerandone la natura
- possa tentare di sminuirli.
Bocca ed azione son termini che più avanti preciseremo. Quel che occorre chiarire è che l’Alpino fa presto a
disincantarsi dalla sua costituzionale fiducia, in modo tale da diventare a sua volta temibile sia per bocca che per
azione.
Prendiamo il caso del giornalista Giorgio Bocca che nel settimanale Tempo ha ritenuto che, per contestare gli Alpini,
fosse sufficiente dire che quand’era arruolato nelle truppe alpine gli fecero fare l’ordine chiuso in piazza S. Marco a
Venezia, addirittura in un mese di luglio degli anni di guerra. Il suo delicato animo è tuttora segnato dalle stimmate
dolorose di quella traumatizzante marcetta in piazza San Marco, mentre sarebbe stata una passeggiata quella di centinaia
di chilometri che i veri Alpini han percorso sulle nevi di Russia, tanto da aver consunti dal gelo i piedi e spesso le
gambe o la vita intera. Cosa facessero «certi» alpini a Venezia in tempo di guerra è giustificabile solo con la concreta
realtà che chi è votato ad imboscarsi ci riesce anche se l’unico bosco è rappresentato dai giardini tra la stazione dei
vaporetti e la confortevole ombra delle Procuratie.
C’è chi, tra gli alpini, si arrabbiò: e io do torto a questi perchè le accuse di Bocca fanno più ridere che arrabbiare.
Come intermezzo di carattere generale va ricordato che - in una sua lettera al Direttore di «Gente»
(n. 36 del 9-9) - il dott. Giacomo Tropea si dichiara pentito di aver fatto il proprio dovere di soldato. Giustamente il
direttore del settimanale commenta che «compiere un dovere è più importante che valutarne i significati politici e
storici» e che «senza il senso del dovere, lo spirito del “servizio”, non esistono né Stato né Nazione». Noi aggiungiamo
che - a differenza del povero contadino o artigiano che non ne ha ricavato alcun beneficio (nemmeno quello di andare in
pensione sette anni prima, dovendo probabilmente lavorare sette anni in più) al dott. Tropea gli anni di naja sono stati
utili anche per la carriera - è infatti ispettore generale del Ministero della Pubblica Istruzione - e proprio la naja
gli consentirà di andarsene a riposo anche subito e con una ulteriore promozione.
Tornando a fatti a noi più vicini, un cenno è dovuto alle «osservazioni» che il settimanale «L’Azione» di Vittorio
Veneto ha dedicato a taluni aspetti del raduno alpino svoltosi a Conegliano il 2 e 3 settembre. Fin troppo spazio viene
qui dedicato alla faccenda che io mi sarei limitato a commentare, per accertare se anche ciò non garbava all’anonimo
estensore dello sconclusionato articolino, trascrivendo su Fiamme Verdi - il che equivale a recitarla - la Preghiera
dell’Alpino. Ma il ripetuto tono trionfalistico ha comprensibilmente scatenato il vecio Piasenti, altri alpini avranno
più sbrigativamente tirato «quattro ostie» (e l’autore della cattiva Azione sa bene quanto ne è corresponsabile di
fronte al buon Dio) e in altri avrà determinato sgomento o commiserazione.
Una riparazione ci vuole. Se l’autore dell’articolo sugli «ex» è un prete ci permettiamo di chiedergli la celebrazione
di una S. Messa per i nostri Caduti. Se «Parigi val bene una messa», a maggior ragione «una Messa val bene un insulto».
D’accordo?
Da quanto detto sinora appaiono esistenti anche taluni difetti di noi Alpini.
Un difetto lo considero quello che ha spinto qualche socio a scrivermi protestando perchè - in occasione del raduno di
Conegliano - sono apparsi dei manifesti di saluto di un partito politico rappresentato in Parlamento.
A me non è mai piaciuto parlare di politica e di partiti, particolarmente nell’ambito associativo.
Ma imporsi delle cautele non vuole dire aver paura.
E perchè dovremmo avere paura se un partito - qualunque esso sia - ritiene di salutarci affiggendo dei manifesti per le
strade delle città dove ci riuniamo? Ogni partito con la qualifica di «italiano» dovrebbe darci il benvenuto per i
nostri raduni che sono, fondamentalmente, incontri di Italiani.
Forse che un’amministrazione comunale - che è un’espressione politica - intende offenderci se dirama un messaggio di
saluto agli Alpini? E sul nostro giornale nazionale non sono stati sollecitati i rappresentanti delle Regioni a non
trascurare di intervenire ai raduni degli Alpini? E se un parlamentare viene a salutarci non dobbiamo dimenticare, anche
se fosse personalmente indegno, che egli è il rappresentante della Nazione.
Forse disprezziamo gli Alpini, dei vari partiti, che sono senatori o deputati, e più frequentemente sindaci dei nostri
paesi? No; e ci deve far piacere che alcuni Alpini - senza valersi di questa troppo qualificante posizione si dedichino
alla politica. E’ provato che senatori e deputati alpini, di ogni colore, si comprendono meglio perchè il verde alpino
non li può rendere nemici: e ciò è fondamentale ed esemplare. L’opera nostra è comune a quella di altre Associazioni
patriottiche:
migliorare anzitutto noi stessi - esulando dall’inutile retorica, senza la pretesa di essere i più bravi e i più buoni,
facendo il proprio dovere come lavoratori e come cittadini - e cercare di far capire che solo con la concordia e il
rispetto reciproco possiamo costituire un popolo che meriti stima ed apprezzamento.
M. Altarui