CANTORE


Gennaio 1974

UN EX KAISERJAGER IN PUNTO DI MORTE

FUI IO A SPARARE AL GENERAL CANTORE

La confessione fatta da Attilio Berlanda, di Susà di Pergine, che fu tiratore scelto nell’esercito austro-ungarico – Il 20 luglio 1915 riuscì a colpire, da 2.000 metri di distanza, sulle Tofane, il leggendario condottiero degli alpini

Il pomeriggio del 20 luglio 1915 sulle Tofane splendeva il sole e c’era tanta pace: sembrava che non ci fosse la guerra. Poi, nel silenzio, un colpo secco: ta-pum: Antonio Cantore, il papà degli alpini si accasciò morto sulle rocce di Fontana Negra. Aveva 45 anni, era il più giovane generale italiano e di lui si raccontavano storie meravigliose che, a volte, avevano sapore di leggenda. Gli alpini veneti lo chiamavano Toni, quelli piemontesi Tognin. E per tutti il generale Cantore era quello che nessun comandante sarebbe stato mai.
«L’hanno mandato sulle Tofane - dicono i suoi alpini - perchè non sono pronte le scartoffie per liberare Trento».
Le Tofane sono in mano agli austriaci e il generale capisce che bisogna portargliele via a tutti i costi. Allora va a vedere il più vicino possibile. Il 20 luglio, ritto su alcuni sassi, scruta con un binocolo le posizioni nemiche, Poi il ta-pum secco, preciso, e un foro sulla fronte di Cantore: il generale si accascia morto tra le braccia delle sue «penne nere».
Chi sparò, chi riuscì a due mila metri di distanza - tanto erano lontane le linee austriache poste in alto, sulle Tofane - a individuare l’alto ufficiale e a colpirlo, fu un Kaiserjäger trentino, un tiratore scelto di Susà di Pergine, richiamato alle armi nell’esercito austro-ungarico: Attilio Berlanda, classe 1886.
Per quel suo colpo magistrale, il «cecchino» fu premiato con una medaglia di argento conferitagli dallo stesso Kaiser, ma per 55 anni, cioè dalla fine dalla guerra, egli ha sempre cercato di custodire gelosamente, di non rivelare a nessuno quella sua azione. Temeva - per questioni inconcepibili e assurde - di avere dei guai, di essere processato e condannato da qualche Tribunale italiano. Era stato inutile spiegargli che egli era stato un soldato austro-ungarico, come tanti altri trentini e triestini, e che quindi aveva fatto il suo dovere. Lui cercava sempre di negare, di non parlare mai delle Tofane. Sviava il discorso, parlava dei combattimenti in Galizia contro i russi, diceva di aver smarrito la famosa medaglia d’argento e la motivazione.
Nel febbraio del 1969, a conclusione di pazienti ricerche, riuscimmo ad individuare in Attilio Berlanda il famoso cecchino delle Tofane. Il colloquio avvenne all’ospedale di Levico Terme dove era ricoverato per una fastidiosa bronchite. Nel corso del colloquio negò di essere stato alle Tofane poi, alla fine, fu costretto ad ammetterlo. Alle Tofane disse di essere andato solo per fare delle strade ma finì col confessare che era stato anche in prima linea. Ma ecco un brano testuale dell’intervista di allora.
«Ci hanno detto che lei vide morire il gen. Cantore».
«Sì, ma io non sparai» replica subito.
«Ci racconti come è andata».
Narra che in un pomeriggio del luglio 1915 si trovava su una postazione delle Tofane e che, attraverso il binocolo, uno Zeiss perfetto, sopra la sua carabina, un mod. 95 cal. 8, aveva visto un uomo in panni grigio-verdi che, in piedi su un masso, scrutava con un binocolo verso le linee austriache.
«Capii che era un ufficiale italiano » racconta l’ex Kaiserjäger. «Mi sembrava di averlo a due passi ma era invece lontano duemila metri. Io sapevo calcolare le distanze: ho preso anche quattro premi per questa mia bravura e precisione di tiro. Era troppo lontano e decisi di non sparare».
«Chi premette il grilletto allora?».
«Fu un ufficiale, un giovane tenente che passava di lì».
«Chi era?».
«Un austriaco, ma non so il nome».
«Era del suo stesso reggimento?».
« No, passò in quel momento e poi non lo vidi più. Io ad ogni modo non volevo sparare. Fu lui che imbracciò il fucile, che prese la mira e sparò: la pallottola rimbalzò su un masso e colpì alla fronte il gen. Cantore che cadde riverso. Fu esploso un secondo colpo contro gli alpini usciti dai ripari a soccorrerlo
«Ma lei come fece a vedere tutte queste cose? ».
«Beh..., con un altro binocolo. Certo è che quel Cantore era davvero un temerario: esporsi così in piedi, sulla trincea e per di più con il chepì con la greca da generale in testa. - Io non sparai mai contro gli italiani. Sia ben chiaro».
Sono passati altri quattro anni da allora e Attilio Berlanda su quell’episodio non ha mai voluto parlare. Poi, quando ha cominciato a sentirsi male, a capire che ormai si avvicinava l’ultima ora, a qualche amico che è andato a trovano all’ospedale di Trento, dove era ricoverato, ha cominciato a confidare qualche cosa.
Un po’ alla volta, quasi per liberarsi di un peso, ha ammesso che a sparare su quell’ufficiale, sì, su quel Cantore, era stato lui, il tiratore scelto Attilio Berlanda, «ceccchino» sulle Tofane. Lo ha fatto però, sempre sottovoce, nel timore che altri sentissero, che andassero a fare la spia. Sul letto di morte temeva ancora di avere delle conseguenze.
Ai funerali c’era un sacco di gente perchè era un uomo buono, stimato, un onesto lavoratore, uno che si era sempre spaccato la schiena sui campi. C’erano corone di fiori, ex combattenti italiani ed en Kaiserjäger. Vi è stato anche un discorso e tante lodi che meritava. A casa, tra le sue cose, i familiari hanno trovato tutto, meno quella famosa medaglia d’argento del Kaiser e la motivazione. Quelle che per 55 anni ha ritenuto fossero le prove del suo «delitto» deve averle nascoste molto bene.

Tino Corradini
(da «Il Gazzettino» del 26-11-’73)