60 ANNI DI VITA ALPINA A CONEGLIANOUna pagina di storia dell’artiglieria da montagna italiana dalle origini ad oggi
	Nella narrazione delle vicende belliche 
	si è dovuto, per via dei limiti precedentemente imposti dall’indagine storica, mettere a fuoco in particolar modo la 
	storia delle unità dell’artiglieria da montagna e tra questa è stata compiuta un’ulteriore puntualizzazione su 
	determinate batterie. Questo non significa sminuire l’importanza ricoperta dalle altre Armi e Specialità, né tanto 
	meno dalle altre batterie, che hanno contribuito a scrivere unite la Storia che oggi giunge a noi. L’esigenza di 
	disporre di artiglierie atte ad operare in terreno montuoso fu avvertita, con particolare insistenza, fin dal XVII 
	secolo. In quel periodo diversi paesi studiavano con serietà la diffusione e la specializzazione delle attuali 
	artiglierie da campagna, in modo che risultassero maggiormente rispondenti alle nuove esigenze della fanteria, con 
	cui si trovano a collaborare fianco a fianco. 
	In Italia, dapprima nel Ducato di Savoia e successivamente nel Regno di Sardegna si delineò l’esigenza dì 
	artiglierie da montagna date le frequenti campagne in territori alpini. Occorreva innanzitutto individuare il 
	materiale adatto allo scopo, i primi studi e risultati furono conseguiti dal Ten. Gen. Giuseppe Ignazio Bertola 
	Revoda conte di Exilles che fu anche primo direttore, a partire dal 1739, della Regia Scuola teorico-pratica di 
	Artiglieria e Fortificazione. Egli ideò infatti un cannone da 4 libbre adatto al terreno alpino, con bocca datu000 
	scomponibile in due parti, trainabile da 4 uomini e montato su di un piccolo affusto. Subito si considerò che il 
	rendimento delle artiglierie di piccolo calibro impiegate in montagna era scarso, e ne derivò il fatto che l’impiego 
	di questi mezzi fu piuttosto limitato. Solo più tardi, in seno all’esercito sardo fu studiato più ampiamente il 
	problema; si venne così alla definizione di un organico di batteria da montagna. Questa struttura, sebbene non 
	costituita perennemente, veniva disposta di volta in volta secondo le esigenze del momento, con l’apporto di uomini 
	e materiali dai reggimenti di artiglieria da piazza; anche se precario era pur sempre un passo avanti. 
	Ulteriori sviluppi si ebbero nel 1828 quando furono adottati i primi materiali regolamentari per i reparti: il 
	cannone da 4 libbre, calibro 75 mm., l’obice da 16 libbre, calibro 121 mm. entrambi in bronzo, ad anima liscia e 
	someggiabili su due muli. L’ordinamento subì in seguito notevoli rimaneggiamenti; nel 1831 comprendeva batterie di 
	cannoni da 75 e 3 obici da 12 mm., nel 1848 batteria da 8 obici con affusto in legno mod. Cavalli; nel 1860 una o 
	due compagnie da montagna assegnate a ciascuno dei tre regg. di artiglieria da piazza; nel 1873 con una compagnia 
	per ognuno dei 4 reg. d’artiglieria da Fortezza. Tra il 1847 e il 1877 le compagnie perfezionano anche l’aspetto 
	formale, assumendo così una precisa configurazione con propri mezzi e materiali e personale specializzato. Durante 
	il Risorgimento l’impiego delle batterie da montagna fu molto limitato, in quanto si combatteva prevalentemente nella 
	pianura padana. In ogni modo, a seguito del dispaccio ministeriale del 14 settembre 1877, le 5 originarie batterie da 
	montagna si recano a Torino per costituire la Brigata di Artiglieria da Montagna che costituisce in pratica l’atto 
	di nascita della specialità, sebbene non ancora del tutto autonoma, in quanto le singole batterie continuano a far 
	parte dei reggimenti originari. 
	Il primo comandante della brigata appena costituita fu il Magg. Pietro Lanfranco (medaglia d’argento al V.M.), che 
	si adoperò in maniera esemplare per l’organizzazione e l’armamento del suo reparto. Infatti nel 1880 fu adottato il 
	pezzo da 75, sempre in bronzo, ma a retrocarica con una gittata utile di 3.000 metri e someggiabile su tre muli. 
	Ulteriori sviluppi, questa volta in organico, furono effettuati nel 1882 quando vennero costituite due brigate da 
	montagna di 4 batterie ciascuna. Risultato finale ditale continuo incremento qualitativo e numerico, la 
	costituzione, tramite la legge di ordinamento del 23 giugno 1887 con decorrenza 1° novembre in località Torino, del 
	REGGIMENTO ARTIGLIERIA DA MONTAGNA comandato dal col. Lanfranco. Il reggimento è articolato su tre brigate ognuna 
	delle quali si suddivide in tre batterie numerate dalla V alla 9 Nel 1895 le batterie salgono da 9 a quindici e le 
	brigate salgono di conseguenza a cinque. Tra queste una in particolare ci riguarda da vicino ed esattamente la V° 
	che fu resa autonoma ed ebbe come sede Conegliano. 
	Questa Brigata verrà denominata, dal 21 Agosto 1885 “BRIGATA Dl ARTIGLIERIA DA MONTAGNA DEL VENETO” e viene 
	articolata su tre batterie numerate da 13 a 15, che altro non erano che le prime tre batterie 
	(1a, 2a, 3a) 
	che avevano costituito il Reggimento di Torino. 
	Compaiono quindi per la prima volta le tre batterie che, nel 1885 verranno a costituire l’attuale Gruppo Conegliano; 
	da allora molteplici sono stati i mutamenti e le vicissitudini che hanno interessato le tre batterie. Nel corso 
	delle varie campagne esse hanno operato, o riunite in gruppo oppure singolarmente inquadrate in altri gruppi, con 
	mirabile efficacia e costante cooperazione con gli Alpini ai quali, di volta in volta, prestavano il loro appoggio. 
	Sia tra gli artiglieri che tra gli Alpini nacque così spontaneo un forte spirito di corpo che costituiva la base per 
	l’autonomia e l’iniziativa dei reparti anche nelle condizioni più avverse. Lo Stato Maggiore dell’epoca s’avvide di 
questa convergenza naturale tra le due specialità e fece il possibile per favorire l’affinità tramite alcuni 
	provvedimenti di carattere organizzativo; ad esempio nel 1888 fu perfezionato il sistema di reclutamento regionale 
	di zona alpina in particolar modo per l’artiglieria da montagna. Altro passo fu quello compiuto nel 1901, quando 
	anche le brigate dell’artiglieria poterono assumere un nome di città al pari dei battaglioni alpini. Nel 1910 gli 
	artiglieri poterono anch’essi indossare il berretto di feltro grigio con la penna, tradizionale delle nostre truppe 
	alpine, unitamente al fregio con l’aquila ad ali spiegate adottato nel 1913. In ogni modo gli artiglieri seppero 
	guadagnarsi un ottimo posto nella storia del nostro esercito, e le nostre tre batterie bene s’inserirono nell’ambito 
	storico degli eventi bellici.
La bandiera di Guerra, a dimostrazione delle gesta di chi la ha seguita, si fregia 
	oggi di ben due medaglie al Valor Militare: 
	— 
	per la campagna Italo-Greca: medaglia d’oro con la 
	seguente motivazione: “Per il superbo comportamento dei Gruppi “Conegliano” ed “Udine” nella campagna Italo-Greca. 
	Frammisti agli Alpini nel valore e nel sacrificio, costituirono con le loro batterie sul Mali, allo Scindeli, al 
	Goico, come già sul Pindo, i nuclei dai quali partiva l’offesa e sui quali s’imperniò la resistenza e prese Io 
	slancio per il contrattacco. Col tiro dei pezzi, con la baionetta e la bomba a mano,furono valorosi tra i valorosi, 
	Alpini tra gli Alpini”. Fronte greco: Pindo-Mali-Scindelli-Golico, 28ottobre1940 
	- 
	23aprile 1941 (Bollettino Ufficiale 1945 Disp. 9- 
	Pag. 488); 
	— 
	per la campagna di Russia: medaglia d’oro con la 
	seguente motivazione: “Magnifica compagine d’armi e di spiriti, ancor più rinsaldata dai fasti gloriosi della 
	campagna d’Albania, coi gruppi “Conegliano”, “Udine”, “Val Piave”, 77a batteria controcarro, 45a e 47a batteria 
	contraerea, accorreva attraverso tempeste di neve e di gelo a fermare il nemico che, potentissimo per uomini e 
	mezzi, avanzava in altro settore del fronte. Per trenta giorni le batterie del Reggimento nella piena crudezza 
	dell’inverno russo, senza ripari ne ricoveri nella steppa innevata, manovravano impavide, benché duramente colpite, 
	e ricacciavano ovunque l’avversario nel corso di disperati furibondi combattimenti, infliggendogli perdite 
	sanguinose. Soltanto quando il nemico era da più giorni alle spalle, il Reggimento, per ordine ricevuto, iniziava il 
	ripiegamento. Benché stremati gli artiglieri Alpini del 3° con sovrumana forza di volontà frammischiati agli Alpini, 
	riuscivano ad aprirsi un varco attraverso l’accerchiamento nemico, coi sacrificio di molti e col valore di tutti. 
	Confermavano così le più dure tradizioni di valore, di abnegazione e di sacrificio dell’Artiglieria Alpina Italiana”. 
	Fronte russo: 15 settembre 1942- 1 febbraio 1943 (B.U. 1948 Disp. 5° pag. 533). Infine diede l’avvio alla tradizione 
	stessa dell’artiglieria da montagna, ai ricordi delle sue battaglie, che meglio vedremo nel prossimo capitolo, a 
	quei valori che hanno sempre spinto l’artigliere anche nei momenti più critici.
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CAMPAGNE Dl GUERRA - GRUPPO CONEGLIANO
	13a Batteria: Prima guerra mondiale 1915-18 (gr. “Conegliano” - 2° Rgt); Campagna d’Etiopia 1935-36 (gr. 
“Conegliano” - 5° Rgt); Campagna di Grecia 1940-41 (gr “Conegliano” - 3°Rgt.).
14a Batteria: Battaglia di Adua 1896; Prima guerra mondiale (gr. “Conegliano” - 3° Rgt); Campagna di Grecia (gr. 
“Conegliano” - 3° Rgt); Campagna di Russia (gr “Conegliano” - 3° Rgt.).
15a 
	Batteria: Campagna di Libia 1911-12 (gr “Conegliano” - 2° Rgt); Prima guerra mondiale (gr. “Conegliano” - 2° Rgt); 
Campagna di Grecia (gr. “Conegliano” - 3° Rgt; Campagna di Russia (gr. “Conegliano” - 3° Rgt.).
59a Batteria: Prima guerra mondiale (gr. di Milizia Mobile).
Il battesimo di fuoco per la 14a Batteria in Eritrea è nel 1896, per la 15a batteria, nella campagna di Libia nel 
1911. Fu nei primi mesi del 1887 che le batterie da montagna calcarono per la prima volta il suolo africano. Un corpo di 
spedizione fu infatti inviato, dopo il massacro di Dogali, al comando dei generale Saletta; tale corpo comprendeva anche 
due sezioni di artiglieria da montagna tratte dalla 1a e 2a batteria della 1a Brigata artiglieria da montagna. Le 
artiglierie da montagna rappresentarono l’ossatura dello schieramento difensivo-controffensivo che assunsero le forze 
italiane, esigue a confronto della massa di oltre 80.000 guerrieri che il Negus Giovanni aveva concentrato nel marzo 
dell’88 a Sabarguna. Sennonché, rinunciando l’esercito Abissino ad attaccare le forze italiane, anche il corpo di 
spedizione iniziò il rimpatrio, dopo aver lasciato a titolo di occupazione una batteria nazionale.
	
	Poco per volta si affiancò alla nostra batteria anche una formata di indigeni, che seppe farsi onore nello 
svolgimento delle operazioni in Eritrea e nel Tigrai dal 1889 al 1895. Numerosi furono gli scontri con il nemico che 
culminarono con il sacrificio della batteria del capitano Angherà nell’Amba Alagi (7 dicembre 1895). 
	Nell’inverno seguente, a seguito della marcia verso nord dell’esercito abissino di Menelich furono inviati 
frettolosamente rinforzi dall’Italia tra cui numerose batterie da montagna. 
	Tra queste ci interessano in particolar modo le 4 batterie del Reggimento Artiglieria da Montagna, delle quali una, 
comandata dal capitano Giuseppe Mottino, era appunto la nostra 14a.
	Il battesimo di fuoco per la 15a batteria avvenne invece nel corso della campagna di Libia contro le forze turche ed 
arabe. Inquadrata nel 1° scaglione della 1a divisione speciale, unitamente alle batterie 10a e 7a del 1° Rgt. Art. 
Mont., prese parte alle operazioni di consolidamento dell’occupazione di Tripoli.
Durante tutta la campagna di Libia le batterie da montagna operarono in stretto contatto con le truppe, seguendole passo 
per passo e frazionandosi così in sezioni o addirittura in singoli pezzi. Diventa così arduo seguire con precisione 
l’impiego delle batterie nei vari combattimenti; del resto vedremo che anche durante il primo conflitto mondiale le 
batterie, pur di seguire i fanti erano costrette a scindersi, fondersi con sezioni di altre batterie e comunque ad 
operare molto più autonomamente. Gli stessi documenti dell’epoca tendono ad uniformare le operazioni dell’artiglieria da 
montagna senza distinguere la numerazione delle batterie, ma piuttosto raggruppandole, sotto reparti con un numero variabile di due o tre 
	batterie. In ogni modo attraverso vari confronti si può risalire alle azioni principali in cui fu inclusa la 15a 
	batteria, prima tra e quali la conquista di Tripoli.
LE BATTERIE DEL GRUPPO CONEGLIANO DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE 
	L’aggravarsi della situazione politica generale e l’inizio del conflitto portarono a provvedimenti militari estesi 
	anche al campo della specialità di artiglieria da montagna. In particolare tra la fine del 1914 l’inizio del ‘15 fu 
	costituito il 3° reggimento artiglieria da montagna con sede a Bergamo e data una più appropriata formazione alle 
	preesistenti batterie di Milizia Mobile. In seguito alla ridistribuzione dei gruppi e delle batterie in seno ai 
	reggimenti il “Conegliano” si trovò schierato con il 2° reggimento che era così costituito: — 2 
	° 
	Regg. Art Mont: gruppo III Conegliano, batterie 13a, 
	14a, 15a; gruppo VI Udine, batterie 16a. 17a. 18a; gruppo VII Vicenza, batterie 19a, 20a, 21a; gruppo VIII Belluno, batterie 22a, 23a, 24a; gruppo 
	milizia mobile, batterie 55a, 57a 58a. 
	Alla data del 24 maggio erano mobilitati in totale: 14 gruppi di artiglieria da montagna formati da 42 batterie; 8 
	batterie autonome, 1 gruppo speciale su quattro batterie da 75/13 Skoda, in Albania. Dato il particolare impiego 
	dell’artiglieria da montagna durante la prima guerra mondiale, per descrivere dettagliatamente tutte le operazioni 
	belliche compiute dalla batterie occorrerebbe un libro a se stante, per cui ci si limiterà a riportare 
	sinteticamente le azioni di maggior rilievo per le nostre tre batterie, Il Gruppo Conegliano si trova tra il ‘15 e 
	il ‘16 nella zona della Carnia dove lotterà duramente su Pal Grande, Pal Piccolo, Freilkofel e Zellenkofel. 
	Sul fronte carnico occidentale, partendo dal passo di Monte Croce di Comelico, le prime linee austriache si 
	trovavano sulla cresta principale mentre l’andamento della nostra prima linea era il seguente: Col Quaternà 
	- 
	Col Rosson (Val Digon) 
	- 
	Monte Palombinio 
	- 
	Monte Schiaron 
	- 
	Cima Canale (Val Visdende) 
	- 
	Monte Rinaldo. 
	Il Monte Peralba era occupato dalle truppe Austriache e così pure il Passo Sesis e la Vetta del Ciadenis; gli 
	italiani erano schierati dal Col Caneva alla Cresta dell’Avanza. Mentre la linea austriaca passava sulla cresta dei 
	Fleòns, spartiacque tra i bacini del Tagliamento e del Gail, la linea italiana passava sul Navagiust e, con uno 
sbarramento alla stretta della Val Degano, scendeva sotto il lago di Bordaglia e quindi in Val Bordaglia Le nostre 
	truppe si erano attestate sulla vetta del Monte Volaia, sulle creste del Sasso Nero, sul Monte Canale, sul Monte 
	Capolago ed al passo Volaia. Sul massiccio del Coglians, tutta la cresta era presidiata dalle nostre truppe; così 
	pure la Cresta di Collineta e la Cresta di Chianevate. 
	Il Gruppo Conegliano viene successivamente trasferito sulla Bainsizza, sotto il comando della 2a armata dove rimarrà 
	fino all’ottobre del 1917, periodo in cui verrà sorpreso dalla offensiva degli Austriaci. 
	Dopo la ritirata di Caporetto ritroveremo il Conegliano ricostruito nelle sue originarie batterie sul saliente del 
	Montello a contrastare l’offensiva austriaca di giugno ’18. Inquadrato nell’8a armata il Conegliano dapprima sulla 
	difensiva poi al contrattacco costrinse, unitamente agli altri reparti, gli Austriaci a ripassare il Piave. La 
	battaglia del Piave fu la riscossa vigorosa del risorto esercito Italiano che addivenne così alla vittoria di 
	Vittorio Veneto in breve tempo. 
DAL 1918 ALLO SCOPPIO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE  
	Tutte le specialità del vittorioso esercito italiano subirono quindi un notevole rimaneggiamento sia nel materiale 
	che nel personale. La smobilitazione dei reparti della specialità da montagna dell’artiglieria fu attuata 
	gradatamente negli anni 1919-20, in concomitanza del congedamento delle classi più anziane. I comandi di 
	raggruppamento di artiglieria da montagnafurono sciolti man mano che cessavano le necessità di impiego sulla linea di 
	armistizio e in Balcania; nel frattempo i Comandi Truppe al deposito dei reggimenti riassunsero denominazione e 
	funzione di comandi di reggimento di artiglieria da montagna e alle loro dipendenze passavano i gruppi che 
	rientravano nelle rispettive sedi di pace e in smobilitazione: furono sciolti 55 gruppi dei 64 esistenti alla fine 
	della guerra. Nei primi anni del dopoguerra l’Esercito attraversò ovviamente un periodo caratterizzato da molteplici 
	mutamenti di organico a causa dei successivi ordinamenti varati dal Governo in varie epoche. Molto spesso i vari 
	ordinamenti erano complementari ‘uno rispetto al precedente, ma talvolta le mutazioni erano rivoluzionarie. 
	Ricorderemo che nel 1920 fu adottato l’ordinamento Bonomi che prevedeva l’esistenza di tre divisioni alpine, ognuna 
	costituita da tre reggimenti alpini e 
	uno di artiglieria da montagna, corrispondenti alle tre frontiere: occidentale, settentrionale ed orientale. Si 
	ebbero dunque: REGGIMENTI: 1° Artiglieria da Montagna (Cuneo), Torino-Susa 1°, Torino-Pinerolo 2°, Mondovì 3°; 
	3°Artiglieria da Montagna (Bergamo, Oneglia 1°, Bergamo 2°, XXIX 3°; 2° Artiglieria da Montagna (Belluno), 
	Belluno 1°, XXII 2°, XXVI 3°.
Nel 1923 l'ordinamento Diaz inserì in ogni reggimento un quarto gruppo armato con obici da 100/17 carrellabili. La 
	scarsa compatibilità di tali pezzi con il terreno montuoso e l’aggravio organizzativo e burocratico di un IV gruppo in 
	seno ai reggimenti della specialità, resero difficile la vita ai nuovi gruppi e pertanto solo un paio d’anni dopo 
	questi furono soppressi. Ma è nel 1926, con l’ordinamento Mussolini, che rimase stabile per circa un decennio, che 
	mutò notevolmente l’assetto delle truppe alpine. 
	Nel 1921 i gruppi e le batterie avevano perso rispettivamente il nominativo e la numerazione originaria. Già però nel 
	1923, i Gruppi riassumono la denominazione tradizionale. Nel ‘26 i Reggimenti 2° e 3° si scambiano la numerazione 
	pur rimanendo nelle rispettive sedi stanziali. In tal modo il 3° viene ad essere costituito dal Gruppo Aosta 
	proveniente dal 1° reggimento di stanza a Torino. L’ordinamento del 1926 era così congegnato:
| BRIGATE ALPINE | REGGIMENTI E SEDI | GRUPPI | 
| 1° brigata Alpini (regg. alp. 1° 2° 3° 4°) | 1° artiglieria da montagna [Torino) | Susa, Aosta, Pinerolo, Mondovì | 
| 2° brigata Alpini (regg. alp. 5° 6° 7°) | 2° artiglieria da montagna (Bergamo) | Vicenza, Belluno, Bergamo | 
| 3° brigata Alpini (regg. alp. 8° 9°) | 3° artiglieria da montagna (Belluno) | Conegliano, Udine | 
 Fu nel 1929 che, in relazione al passaggio del 4° Alpini alla brigata 2a e del 7° Alpini alla 3a, il gruppo Aosta “slittò” al 2° artiglieria e il 
	Gruppo Belluno al 3° reggimento. E' particolarmente interessante per noi la data del 1926, dato che il Conegliano 
	entra a far parte del 3° reggimento nel quale resterà fino allo scioglimento del reggimento del secondo dopoguerra. Il 
	gruppo lascia così il 2° reggimento con il quale aveva combattuto per tutto il primo conflitto mondiale con le ben 
	note vicende. Ma nuovi mutamenti avvennero nel 1934. In quell’anno intatti i Comandi di Bngata furono portati a 
	quattro: il 1° reggimento cedette i gruppi Pinerolo e Mondovì al 4° reggimento di nuova costituzione ricevendo 
	nuovamente il gruppo Aosta. Con l’ordinamento Baistrocchi del ‘34 i comandi di brigata assunsero la denominazione di 
	“Comandi superiori alpini” e un nominativo, mentre i reggimenti di artiglieria assumevano la denominazione di 
	“Artiglieria Alpina”. 
	Pertanto il nuovo ordinamento era così congegnato:
| COMANDI SUPERIORI ALPINI (EX BRIGATE) | REGGIMENTI | GRUPPI O BATTERIE | 
| 1° Taurinese (regg. Alpini 3° 4°) | 1° artiglieria alpina | Aosta (4a, 5a, 6a) | 
| 2° Tridentina (regg. Alpini 5°, 6°) | 2° artiglieria alpina | Vicenza (19a, 20a, 21a) Bergamo (31a, 32a, 33a)  | 
	
| 3° Julia (regg. alp. 7°, 8°, 9°) | 3° artiglieria alpina | Conegliano (13a, 14a, 15a) Udine (16a, 17a, 18a) Belluno (22a, 23a, 24a)  | 
	
| 4° Cuneense (regg. Alpini 1°, 2°) | 4° artiglieria alpina Pinerolo | Pinerolo (7a, 8a, 9a)   Mondovì (10a, 11a, 12a)  | 
	
Nel settembre del 1935 i Comandi Superiori Alpini divennero nuovamente Divisioni: nacque così la 3a Divisione alpina “Julia” che risultò costituita dall’8° reggimento Alpini (battaglioni “Gemona”, “Tolmezzo” e “Cividale”), dal 9° reggimento Alpini (battaglioni “Vicenza”, “Bassano” e “L'Aquila”), dal 3° reggimento artiglieria alpina e dalla 3a compagnia mista del Genio. Altri rimaneggiamenti subì la Divisione negli anni successivi, perdendo il “Bassano” trasferito all’ 11° reggimento ed il “Belluno” passato al 5° reggimento di artiglieria alpina, e inglobando, nel ‘37, durante la campagna italo-etiopica, il 1° reggimento alpini che sostituiva il 7°, inviato in Etiopia assieme alla 10a colonna salmerie (3 reparti ciascuno su 4 sezioni). In previsione della campagna in Africa orientale intatti, tu mobilitato ed inviato in Eritrea nel giugno del ‘35, il gruppo Susa (2°, 3°, 40°) del 1° reggimento e costituito Un gruppo Susa 2° con batterie bis in sede provvisoria.
Aumentate ancora le esigenze delle truppe alpine per l‘Africa orientale, fu ordinata nel dicembre del 1935 la costituzione della 5° Divisione Alpina Pusteria con i reggimenti alpini 7° e 11° di nuova costituzione e 15° artiglieria alpina Quest’ultimo, anch’esso di nuova costituzione, inquadra il gruppo “Belluno” e il gruppo “Lanzo”, pure nuovo costituito, così formati:
| GRUPPO | BATTERIE | 
| Belluno comando gruppo (già del 3° regg.) | 1a (Susa) 11a (Mondovì) 24a (Belluno)  | 
	
| Lanzo comando gruppo (mobil. dal 1° regg.) | 5a (Aosta) 13a (Conegliano) 21a (Vicenza)  | 
	
Con il ritorno delle truppe dall’Africa orientale nelle primavera del 1937 fu attuato un certo rivoluzionamento nelle truppe alpine ed in particolare per l'Artiglieria si ebbe:
| DIVISIONI ALPINE | REGGIMENTI E SEDI | GRUPPI E BATTERIE | 
| 1° Taurinense (Torino) regg. alpini 3°, 4° | 1° art. alpina (Torino) | Susa (1a, 2a, 3a, 40a)  Aosta (4a, 5a, 6a, 53a)  | 
	
| 28 Tridentina (Merano) regg. alpini 5°, 6° | 2° art. alpina (Merano) | Bergamo (31a, 32a, 33a)  Vicenza (19a, 20a)  | 
	
| 3° Julia (Udine) regg. alpini 8°, 9° 8°, 9° | 3° art. alpina (Udine) | Conegliano (13a, 14a, 15a)  Udine (17a, 18a)  | 
	
| 4° Cuneense (Cuneo) regg. alpini 1°, 2°1°, 2° | 4° art. alpina (Cuneo) | Pinerolo (7a, 8a, 9a) Mondovì (10a, 11a, 12a))  | 
	
| 5° Pusteria (Brunico) regg. alpini 7°, 11°regg. alpini | 5° art. alpina (Belluno) | Lanzo (16a, 21a, 44a)  Belluno (22a, 23a, 24a)  | 
	
 Si può dunque osservare come la Julia al pari delle altre divisioni, terminata la campagna di Etiopia, ritornò su 
	due 
	reggimenti alpini ed un reggimento artiglieria alpina. Nel 1939, alla vigilia della 2a guerra mondiale, la sua 
	costituzione era la seguente: 
	— 
	Comando Divisione 
	— 
	8° reggimento Alpini (battaglioni Tolmezzo, Gemona 
	e Cividale) 
	— 
	9° reggimento Alpini (battaglioni Vicenza e 
	L’Aquila) 
	— 
	3° reggimento art. alpina (gruppi Conegliano e 
	Udine) 
	— 
	3° battaglione misto del Genio 
	— 
	Plotone chimico divisionale 
	— 
	207° Autoreparto 
	— 
	Servizi 
	Su questa formazione la Julia verrà impiegata, nell’aprile del ‘39 nella occupazione dell’Albania. Conclusa 
	l’operazione, rimase in Albania a presidio della zona settentrionale e di là mosse ai primo dell’ottobre 1940 per 
	spostarsi,
	nell’imminenza dell’apertura delle ostilità contro la Grecia, verso il confine greco-albanese.
 IL CONEGLIANO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 
	La Campagna di Grecia  
	Alla fine dell’agosto del 1939, la tensione internazionale in Europa si era acuita in modo particolare tanto che 
	sfociò nella ben nota guerra polacco-germanica, che diede inizio al secondo conflitto mondiale. L’italia 
	appartenente al tripartito, era anch’essa interessata al rafforzamento e all’approntamento del proprio esercito che, 
	se si era ben comportato nelle precedenti campagne coloniali non era all’altezza di affrontare una guerra di durata 
	quale il secondo conflitto. Il 
	lavoro di rimodernamento era imponente; l’addestramento delle truppe, il loro equipaggiamento sia individuale che di 
	reparto, la scarsa motorizzazione delle truppe rivelavano un concetto di guerra di posizione ancora legata alle 
	esperienze della grande guerra. 
	I Comandi Supremi in particolare modo non erano preparati ad affrontare una guerra di tecnologia e di movimento su 
	ampi fronti dai climi più disparati; i soldati italiani si trovarono a combattere in condizioni spesso disagevoli e 
	insufficientemente armati per sostenere il fronte loro affidato. Nel campo dell’artiglieria da montagna, furono 
	ordinati il completamento dei gruppi di artiglieria alpina permanenti e la formazione di gruppi di artiglieria”Valle”, 
	che si univano in seno ai vari Reggimenti di Artiglieria alpina. 
	In particolare:
| REGGIMENTI | GRUPPI VALLE | BATTERIE | 
| 1° Art. alpina | Val Chisone | 47a, 48a, 49a, 50a | 
| Val d’Orco | 51a, 52a | |
| 2° Art. alpina | Val d’Adige | 45a, 75a, 76a, 77a | 
| Val Camonica | 28a, 29a, 30a | |
| 3° Art. alpina | Valle Isonzo | 37a, 38a, 39a | 
| Val Tagliamento | 41a, 42a, 43a | |
| 4° Art. alpina | Val Tanaro | 25a, 26a, 27a | 
| Val Po | 72a, 73a, 74a | |
| 5° Art. alpina | Val Piave | 34a, 35a, 35a | 
 Tutti i gruppi parteciparono alle operazioni di copertura del fronte alpino ed alcuni operarono contro la Francia 
	nei giugno del ‘40.11 terzo artiglieria alpina invece era in Albania, inquadrato nella divisione Julia, dove aveva 
	compiuto l’occupazione del territorio stesso. Dalla zona di Scutari, presidio della Divisione in Albania, la Julia si 
	mosse ai primi dell’ottobre del ‘40 per spostarsi, nell’imminenza delle aperture delle ostilità contro la Grecia, 
	verso il confine greco-albanese, dove si dislocò tra l’Osim e la Vojussa. Per l’intervento in Grecia, per il quale si 
	erano preventivate in precedenza almeno 20 divisioni come numero limite, le nostre forze erano all’epoca del tutto 
	insufficienti; avevano in Albania solo 8-9 divisioni non completamente equipaggiate e che dovevano guardare anche il 
	confine jugoslavo. La campagna fu poi iniziata nelle peggiori condizioni climatiche e considerata come una semplice 
	passeggiata in territorio greco. La reazione greca fu invece inaspettata e tenace la resistenza; il nemico mobilitò 
	in pochissimo tempo ben 18 divisioni ternarie aggiungendo al già tormentato quadro un’ulteriore difficoltà. 
	Vi è anche da notare che non fu attuata, da parte dei Comandi competenti alcuna preparazione logistica del 
	territorio, in particolare modo erano note le condizioni di insufficienza dei posti e delle strade fin dalla prima 
	guerra mondiale. Sembra perciò incredibile come le autorità politiche, anche se poco esperte di questioni militari, 
	abbiano potuto decidersi alla guerra, trascurando tutti questi elementi che avrebbero consigliato di tutto fuorché 
	un conflitto intrapreso in quel dato momento. Ancora più incredibile fu l’acquiescenza dimostrata dai Comandi 
	Militari preposti alle operazioni, che pur sapendo delle difficoltà, gettarono ugualmente la nazione nel vortice 
	della seconda guerra mondiale. 
	Iniziata comunque l’offensiva all’alba del 28 ottobre 1940, dopo vari giorni di pioggia torrenziale che avevano 
	trasformato ogni mulattiera e sentiero in torrenti di fango, fu la Julia che si trovò subito al centro della lotta. 
	Per l’offensiva, il compito assegnato alla Divisione dal Comando Superiore Truppe Albania, era il seguente: partendo 
	dalla zona Erseke-Leskoviku, bloccare i passi Metzovo e di Drisko per impedire alle truppe greche dell’Epiro di 
	congiungersi con quelle della Tessaglia. Le forze disponibili per l’operazione: 278 ufficiali, 8863 sottufficiali e 
	truppa, 20 pezzi, 2316 quadrupedi e un reparto volontari Albanesi. 
	Le notizie sul nemico indicavano l’esistenza di reparti di copertura sulla frontiera, la costituzione di forti unità 
	a Kalibaki, di una divisione nella regione di Metzovo e di circa 7 divisioni più ad Oriente. Per l’avanzata il comando 
	costituì due gruppi tattici: a sinistra su tre colonne a protezione del fianco sinistro i battaglioni Tolmezzo, 
	Gemona; al centro con due batterie del Conegliano 14a e 15a; a destra il Cividale con la 13a del Conegliano. Obiettivo Furka-Smolika-Metzovo. 
Il secondo gruppo era formato da due colonne con i battaglioni L’Aquila e la 18a batteria dell'Udine ed il Vicenza con 
la 17a batteria. Al reparto di volontari Albanesi fu affidato il compito di occupare la conca di Konitsa. Appena 
attraversato il confine e travolti i posti avanzati greci apparvero in pieno le gravi difficoltà di movimento sulle 
mulattiere fangose e impraticabili e di attraversamento dei corsi d’acqua resi impetuosi ed inguadabili dalle continue 
piogge. L'impossibilità di avere rifornimenti a tergo, richiese particolari provvedimenti logistici quali alleggerire 
l’equipaggiamento del soldato per consentirgli di portare al seguito 5 razioni viveri e 2 proietti completi nello zaino, 
abolire le mense ed ed i bagagli degli ufficiali, 
	rinunciare alle carrette, per avere al seguito in 
	maggior misura viveri, munizioni e materiali di sanità. 
	I rifornimenti si basavano perciò esclusivamente sulle salmerie, anche se ridotte al 60/65% degli organici, e sui 
	portatori. Nella loro faticosa marcia entrambi i gruppi tattici perdevano molto tempo nel ricercare i guadi ed i 
	passaggi praticabili; a tal proposito si rese molto utile l’opera della 123a compagnia genio per la costruzione di 
	sommarie passerelle sul Sarandaporos. I gravi ostacoli causati dal maltempo e la accresciuta reazione da parte del 
	nemico avevano inevitabilmente rallentato la marcia delle colonne, rendendo sempre più minacciosa la presenza greca 
	specie sul fianco sinistro e sul retro delle forze avanzanti, che si manifestavano con frequenti attacchi e con 
	sempre più potenti azioni di artiglieria. Il 10 novembre l’artiglieria nemica batté insistentemente l’alta valle del 
	Sarandaporos; ciò malgrado i reparti avanzarono ugualmente ed il “Cividale” unitamente alla 13a batteria poté 
	raggiungere la zona di Samarina mentre i due battaglioni del 9° con l’Udine, la conca di Pades. 
	Il 2 novembre la 14a batteria, ed in seguito anche la 15a, protessero ed appoggiarono l’azione del Tolmezzo 
	minacciato di avvolgimento da parte di ingenti forze nemiche che cercavano di infiltrarsi tra quest’ultimo ed il 
	“Gemona”. Il battaglione riuscì a proseguire per Bryaza dove già era il Cividale e la 13a. Il giorno 3 i greci 
	attaccarono in forze ed occuparono Samarina; ancora una volta il Tolmezzo resistette sulle pendici sud-orientali del 
	Gomara e del Vasilitza; il Cividale risalì l’alta Vojussa fino a Vovusa; il Gemona si schierò sulle pendici 
	sud-orientali dello Smolika e le batterie presero posizione attorno a Bryaza. Il giorno 4 la stanchezza e la 
	difficile situazione logistica imposero alle nostre truppe un giorno di riposo, Il “Cividale”, invece, unitamente 
	alla 13a, non avendo ricevuto l’ordine di sostare, giunse a Vavusa a pochi chilometri dall’obiettivo finale di 
	Metzovo. Il 9° alpini aveva il Btg. “L'Aquila” e la 18a sulle pendici sud orientali ed il “Vicenza” con la 17a su 
	quello occidentale dello Smolika. Ma oramai un’intera divisione nemica premeva sul fianco sinistro e sul retro della 
Julia, mentre forze sempre più consistenti impedivano il passaggio della Vojussa e la prosecuzione del movimento dell’8° 
alpini.
	Il 7 novembre il Comando Superiore della Truppe d’Albania, ritenendo esaurita la missione affidata alla divisione 
	Julia ne ordinò il ripiegamento a Konitsa, a sbarramento della Vojussa. Ormai il nemico premeva su tutto il nostro 
	spiegamento, così, dopo dieci giorni di tentativi di superare la resistenza greca così ampiamente sottovalutata 
	venivano resi vani i progressi della Julia, che era pur sempre penetrata per 45 chilometri in territorio nemico, e 
	delle altre nostre unità. Durante il ripiegamento della divisione, sempre col pericolo di essere aggirate, le 
	batterie di entrambi i gruppi si comportarono in modo efficacissimo. Quando l'8 novembre i battaglioni Gemona e Tolmezzo sostennero il Cividale costretto ad aprirsi un varco alla baionetta, il gruppo “Conegliano” concorse in 
	maniera unica creando i varchi attraverso i quali gli Alpini poterono dirigersi verso Cristobasile. Il 9 novembre, 
	mentre l'8° Alpini doveva combattere per aprirsi la strada verso Konitsa, il “Conegliano” e due compagnie dell’8° 
	dirette verso la sella di Cristobasile erano attaccati ed accerchiati da forze greche molto superiori che discendevano 
	lo Smolika. Le batterie spararono fino all’ultimo colpo e furono difese dagli artiglieri con i fucili. Dopo varie ore 
	di combattimento essi riuscirono ad aprirsi il varco all’arma bianca. Ad ogni modo poiché il ripiegamento avveniva a 
	stretto contatto con il nemico erano necessari numerosi contrattacchi che permettessero al grosso delle truppe di 
	disimpegnarsi. 
	L’8° Alpini, che aveva subito ingenti perdite, si raccolse a Konitsa il 10 novembre grazie anche al gruppo Udine 
	schierato a sella S. Attanasio. Dopodiché il “Conegliano” e l’8° alpini si recarono a Premeti per ricostituirsi, mentre 
	il 9° e l’Udine rimasero a difendere il settore Konitsa-Ponte Perati. Le perdite ammontarono in 14 giorni a 49 
	ufficiali e
	1625 uomini. Ritroveremo il “Conegliano” in azione verso la metà di gennaio del 1941 mentre in linea erano giunti 
	molti altri reparti alpini per otturare le falle del nostro schieramento. Nella foga di inviare questi reparti al 
	fronte, spesso venivano inviati incompleti di equipaggiamento e salmerie, ricalcando gli errori commessi all’inizio 
	delle ostilità e che la Julia aveva pagato così duramente. 
	Verso la fine di novembre la Julia, dopo la difesa di Konitsa, aveva avuto il compito di arrestare l’offensiva greca 
	tra l’Osum e Val Vojussa; il settore era piuttosto vasto ed in rinforzo alla divisione ancora incompleta 
	nell’organico vennero fatti affluire due battaglioni alpini (Val Tagliamento e Val Fella) e due gruppi di 
	artiglieria alpina (Val Tanaro e Val Po). I combattimenti furono molto aspri ed i vari reparti intersecarono spesso 
	le loro sfere d’azione, testimoniando la fluidità dello schieramento alpino. I battaglioni alpini affiancati dalle 
	batterie di diversi gruppi di artiglieria alpina affrontarono un inverno oltremodo difficile e disagevole; le 
	malattie mietevano numerose vittime ed i rifornimenti stentavano a raggiungere le linee avanzate a causa della 
	impraticabilità delle mulattiere e dei sentieri. Innumerevoli furono gli episodi di valore dei singoli artiglieri 
	che spesso si trovarono a difendere i propri pezzi con le bombe a mano e all’arma bianca. La Julia a metà gennaio, 
	nella fase d’inserimento della Divisione “Lupi di Toscana”, era ridotta ad un migliaio di uomini con 12 
	mitragliatrici e 5 mortai da 81. Questi resti si schierarono per consentire alla Lupi di Toscana” di attestarsi 
	solidamente sulla linea.
I gruppi di 
	artiglieria alpina dipendenti dal 3°, e cioè il ”Conegliano”, l’ "Udine”, il ”Val Tanaro”, il ”Lanzo”, furono impegnati non 
	solo a protezione delle posizioni della Julia ma anche di quelle assegnate ai “Lupi di Toscana”. I resti della Julia 
	incaricati della difesa temporanea in Val Desnizza, ebbero finalmente l’ordine di ripiegare sulle posizioni occupate 
	dai “cacciatori delle Alpi”; era il 25 gennaio. La Julia aveva avuto circa 4000 perdite tra i propri effettivi. La 
	divisione venne nuovamente ricostituita nel febbraio per essere subito gettata in pasto ai rinnovati attacchi nemici 
	sul Golico, sullo Scindeli ed a Tepeleni. Fu l’ultimo sforzo greco per aprirsi la strada verso Valona; la battaglia 
	difensiva durò oltre un mese (12 febbraio - 31 marzo) e impegnò a fondo tutte le truppe italiane presenti nel settore. 
	Alpini, fanti, bersaglieri, carristi e camicie nere erano frammischiati in una ampia lotta in condizioni tremende. 
	Il gruppo “Conegliano” era schierato in zona Dragoti, pendici meridionali del Mali Scindeli, ed aveva azione 
	essenziale in Val Vojussa. Il combattimento fu logorante soprattutto per i greci che non si risollevarono poi in 
	tempo a controbattere la nostra offensiva finale. Il “Conegliano” e l’ "Udine” si trovarono proprio al centro degli 
	sforzi nemici che miravano ad impossessarsi del Dragoti, e solo un ardimentoso contrattacco di truppe, raccolte in 
	poco tempo, riuscì a salvare i gruppi dall’annientamento da parte del nemico. Le perdite furono gravissime per i 
	greci questa volta mentre la Julia perdeva 119 ufficiali e 3742 uomini in poco meno di un mese. La resistenza greca 
	era però oramai troncata. Nel mese di aprile e più precisamente nel giorno di Pasqua, si scatenò intatti l’offensiva 
	decisiva. Tutto il nostro fronte orientale riprese la lotta, in concomitanza con l’offensiva germanica nei Balcani 
	ed in Ungheria. La Tridentina con i suoi reparti riusciva a sfondare ed a occupare Ponte Perati e Sirian in Val 
	Vojussa. La Pusteria doveva muovere su Erseka, il Passo di Brodes e giungere a Konitsa. Nonostante la resistenza 
	nemica il grosso della divisione il 18 è a Frasheri ed alla sera del 22 a Konitsa. La Julia era pronta a sfruttare 
	il successo della divisione Brennero operante sul Kurvelesh e, dei suoi gruppi, il “Conegliano” (Ten. Col. Rossotto) 
	era a disposizione della “Brennero” e dell’ "Udine” sulle posizioni già occupate sullo Shindeli; pure il Val 
	Tagliamento era a disposizione del Brennero. La divisione incontrò fortissime resistenze per cui il 18 aprile i gruppi 
	di artiglieria alpina venivano rimessi a disposizione della Julia che passò allora in prima linea. La Julia superato 
	il Kurvelesh, giunse lungo la Val Drino il 21 a Libohovo. Eccellente fu la prova dei gruppi della Julia sul Golico e 
	nella zona del canale di Corinto dove rimase a presidio dopo l’armistizio entrato in vigore il 23 aprile. Nella 
	primavera del ‘42 fu disposto il suo rientro in patria che si effettuò nel marzo e che fu purtroppo tragico per il 
	“Gemona” che, imbarcato sulla nave “Galilea” unitamente a parte del comando reggimentale, furono silurati allargo 
	delle coste albanesi da un sommergibile inglese. Dalla tragedia solo 140 uomini riuscirono a salvarsi. Finì così la 
	campagna di Grecia, tra le più logoranti combattute dal nostro esercito. Cominciata solo per considerazioni 
	politiche e ripicche personali tra i due autocrati, osteggiata con insufficienza da alcuni capi militari, posta in 
	periodo di tempo ed in condizioni a noi più sfavorevoli, rappresentò un capolavoro di superficialità, incoerenza, di 
	improntitudine. A ciò si contrappose il senso del dovere e del sacrificio dei nostri combattenti che seppero lottare 
	aggrappati alle rocce del Golico, intirizziti dalla neve sul Tomori o coperti di fango in Val Desnizza. A molti di 
	essi la sorte fu avversa ma il loro sacrificio valse a sbarrare il passo al nemico e impedì il crollo dell’intero 
	fronte greco.
		In rilievo gli 
	artiglieri da montagna che come già sperimentato nelle campagne coloniali seppero adattarsi al terreno ostico ed ai 
	climi difficili della Grecia, in una guerra e sudi un fronte che a torto la storia moderna considera come secondario 
	nell’ambito della seconda guerra mondiale. Le batterie furono spremute ed il loro impiego tu ampliato al massimo, 
	trovando in esse un elemento di elasticità e versatilità. Indubbiamente a loro svantaggio va la lentezza e la 
	difficoltà di essere approvvigionate in maniera ottimale. Pur se male equipaggiate e scarsamente assistite esse hanno 
	svolto tutti i compiti loro affidati, utilizzando spesso i proprio serventi come fanti alpini. E una prova dello 
	spirito che alimenta questi reparti, che affronteranno una prova ben più impegnativa negli anni a venire e cioè la 
	campagna di Russia. Ricordiamo ancora che per questa campagna il 3° fu decorato di Medaglia d’Oro. 
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LA CAMPAGNA Dl RUSSIA E LA FINE DEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE 
	Il CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) entra in gioco inquadrato nell’11al armata tedesca appartenente al 
	Gruppo di Armate Sud. Le prime azioni del CSIR risalgono al mese di agosto del 1941, schierato lungo il corso 
	inferiore del Dniester. Partecipò alle azioni per l’accerchiamento delle unità russe rimaste tra il Dniester ed il 
	Bug durante il loro ripiegamento verso oriente: intervenne a Petrikovka quando le armate russe cercarono inutilmente 
	di fermare i tedeschi sul Dnieper; prese parte all’offensiva per la conquista del bacino industriale del Donez fino 
	a Gorlovka e Rykovo dove ha termine la fase di avanzata del Corpo stesso. Nell’autunno del ‘42, in concomitanza con 
	la controffensiva sovietica a Stalingrado, il CSIR venne affiancato da oltre 10 divisioni Italiane tra cui il Corpo 
	Alpino comprendente le Divisioni Julia, Tridentina e Cuneense. Come sappiamo il Corpo d’Armata Alpino venne 
	investito ed accerchiato nel corso dell’offensiva sovietica denominata “piccolo Saturno” nell’inverno del ‘42-43 ed 
	iniziò la tragica ritirata che vedrà soccombere il grosso delle nostre truppe. L’impiego del CSIR era stato 
	notevolmente osteggiato da parte del Comando Tedesco pervia della scarsa affidabilità delle forze italiane come 
	erano equipaggiate in quegli anni. 
	Mussolini, dopo ripetute preghiere riuscì a far accettare ugualmente il Corpo, ponendolo sotto il comando del 
	generale Giovanni Messe; il CSIR si comportò comunque bene al momento dell’impiego. La ripresa dei Sovietici dopo il 
	colpo iniziale indusse però i tedeschi ad accettare il nostro aiuto così ripetutamente offerto, del resto Mussolini 
	intendeva sdebitarsi così per l’aiuto ricevuto in Africa settentrionale ed inviò il meglio delle nostre truppe 
	costituite appunto dal Corpo Alpino. 
	Il nostro Corpo d’Armata Alpino, del quale era previsto l’impiego sul Caucaso, venne invece dirottato nella pianura 
	del Don, dimostrando una assoluta indifferenza al fatto che le nostre divisioni, equipaggiate per una guerra in 
	montagna, non avrebbero retto se schierate in un terreno piano. A ciò si oppose giustamente il colonnello Pietro 
	Gay, comandante del 3° artiglieria alpina, che denunciò l’inutilità di tale impiego degli Alpini; come risultato si 
	ebbe l’allontanamento del colonnello dal suo comando e la conferma perentoria dell’impiego del C.A. Alpino sul Don. 
	Il C.A. Alpino aveva una forza di circa 57.000 uomini reclutati sulle Alpi e gli Appennini Tosco-Emiliani ed 
	Abruzzesi. Era dotato di armamento leggero e maneggevole, scarseggiavano invece le armi controcarro ed antiaree. 
L'avanzamento avveniva con mezzi di fortuna ed era oltremodo pregiudicato dall’equipaggiamento distribuito ai soldati, 
causa di numerosi casi di congelamento. Per quello che riguarda le artiglierie, argomento che ci interessa più da 
vicino, esse erano scarse e di potenza limitata. Ogni reggimento divisionale aveva infatti due gruppi da 75/13 ed un 
gruppo someggiato di obici da 105/11 di preda bellica francese, aventi una gittata inferiore ai 75/13. Ricordiamo che al C.A. 
fu assegnato solo l’11° raggruppamento di artiglieria di Corpo d’Armata su tre gruppi da 105/32 ed uno da 149/13. In 
	seguito ebbe ad ulteriore rinforzo, il reggimento di artiglieria a cavallo appartenente alla Divisione Celere, su tre 
	gruppi di due batterie. L’artiglieria contraerea era praticamente inesistente, consistendo in due batterie da 20 mm. 
	per Divisione e due per il C.A. per un totale di 5 batterie. La stessa situazione per la controcarro all’inizio 
	della campagna; in seguito vennero costituite per ogni divisone una batteria su sei cannoni da 75/38 di preda 
	bellica francese. 
	Questa deficienza della controcarro costrinse ad affidare la difesa anticarro ai pezzi delle batterie da montagna, 
	evidentemente non idonee ad affrontare tale compito; se si ebbero successi contro i carri fu dovuto più alla 
	precisione dei nostri artiglieri che non alle reale efficacia dei pezzi. Sulla carta quindi il C.A. era un Corpo 
	affiatato e composto da truppe che, se fatte operare in terreno montuoso a loro congeniale, si sarebbero rivelate 
	molto più adatte di altre grandi unità poco mobili su terreni impervi. Fu invece utilizzato in territorio aperto, 
	privo di difesa controcarro e artiglierie a media e lunga gittata, votandolo praticamente alla distruzione.
Rimane ancor oggi 
	viva l’impressione che il C. A. sia stato allora “sciupato” per nulla. Il C.A. Alpino comprendeva tre divisioni 
	alpine che si erano battute con onore durante la campagna di Grecia; era comandante il generale Gabriele Nasci che 
	aveva al suo fianco il colonnello Giulio Martinat, capo di S.M. ed il generale di brigata Carlo Filippi 
	responsabile della artiglieria. Tralasciando per questioni di spazio, la formazione e le vicende della Tridentina e 
	della Cuneense, esamineremo invece la Julia che comprendeva il nostro “Conegliano”. La Julia era appena rientrata 
	dalla Grecia ed era dislocata in Friuli, per riorganizzarsi e completare i propri ranghi. Ai primi di agosto era già in grado 
	di affrontare la nuova avventura che l’attendeva sul fronte russo. Era così composta: 
	Quartier generale; 
	— Reparti Divisionali (41a, 83a cp. cannoni 47/32
	— Ospedali da Campo 628° 629° 630° 633° 813° 814°;
	— 303° Sezione Sanità; 
	— 207° Autoreparto; 
	— 8° Reparto salmerie; 
	— 3 Sezione Sussistenza (nuclei 8° e 9° e 62° squadra panettieri; 
	— 8° Reggimento Alpini con: btg. Tolmezzo, btg. Gemona, btg. Cividale, 308° Sezione Sanità; 
	— 9° Reggimento Alpini con: btg. Vicenza, btg. L’Aquila, btg. Vai Cismon, 309° Sezione Sanità; 
	— 3° Rgt Art mon. Gruppo Conegliano (ten col. Domenico Rossotto) 13a btr, 14a btr, 15a btr., Rep. Munizioni e viveri; 
	— Gruppo Udine: (ten. col. Cesare Cocuzza), 17a btr., 18a btr., 34a btr., Rep. Munizioni e viveri; 
	— Gruppo Vai Piave: (ten. col. Anselmo Valditara), 35a btr., 36a btr, 39a btr., Rep. Munizioni e viveri; 
	— Gruppo Misto: 45a btr. 20 mm., 47a btr 20 mm., 77a btr. c.c., btr. mortai 81 mm., 2° btg. misto Genio. 
	Così formata la Julia partiva per la Russia, dove venne schierata nel tratto compreso tra gli abitati di Kuvschin e 
	di 
	Kurawut con a sinistra la Tridentina e a destra la Cuneense.
Il “Conegliano” parte suddiviso in tradotte per ogni batteria il 14 agosto del 1942, salutato da tutti i parenti dei 
	soldati ammassati nei vagoni ma nessuna autorità politica è presente alla partenza. Durante il percorso che si 
	svolge in territorio tedesco, polacco e russo, viene annunciato il cambio di destinazione del Reparto; dal Caucaso 
	all’ansa del Don. Il morale è alto malgrado il caldo soffocante del treno; il 22 il Gruppo arriva a lsjum, meta del 
	lungo viaggio di avvicinamento e vengono iniziate le operazioni di scaricamento ed incolonnamento per la lunga marcia 
	di oltre 300 km. che avrà inizio il 29 dello stesso mese. 
	Durante la lunga marcia gli uomini fanno conoscenza della desolazione del territorio russo scarsamente abitato, e il 
	clima e il fango ostacolano il trasferimento che si protrarrà fino a settembre quando, dopo una marcia di 350 km., 
	le batterie si dividono per attestarsi sul Don. Il “Conegliano” da il cambio a reparti tedeschi ed inizia subito i 
	lavori campali per rendere abitabile la posizione in previsione dell’inverno. Vengono allestiti osservatori, rifugi, 
	magazzini e riservette di munizioni mimetizzate tra il grano. Per la fine di ottobre la 13a batteria costruirà non 
	meno di 7 rifugi interrati delle dimensioni di 7x4x3 collegati fra di loro e completi di servizi e camminamenti 
	scoperti, piazzole coperte e riscaldate, nidi di mitragliatrici, riserva idrica, cucine, scuderie e servizi 
	igienici da campo. 
	Anche la 14a ha compiuto i medesimi lavori così come la 15a che in pieno inverno dovrà abbandonare le opere compiute 
	per cambio di posizione. Il periodo intercorso tra il 25 settembre ed il 15 dicembre trascorse abbastanza calmo nel 
	settore della Divisione, registrando solo movimenti di pattuglie. Era in corso infatti la grande battaglia di
	Stalingrado a sud, che i Russi cercavano con tutti i mezzi di vincere; l’esito fu intatti favorevole a questi ultimi 
	e segnò l’inizio della svolta su fronte orientale per le forze dell’Asse. Intanto il 31 ottobre era giunta in 
	posizione anche la Tridentina, completando il fronte del C.A. Alpino che si estendeva ora per circa 770 km. 
	Le sorti della battaglia di Stalingrado sono note; i russi riuscirono a contenere il nemico e ad impedirne il 
	dilagamento oltre il Volga e passarono al contrattacco il 19 novembre accerchiando in pochi giorni l’intera 6a 
	armata tedesca. Sfondato a Stalingrado, i russi vollero allargare la breccia, attaccando nel settore della terza 
	armata romena cui fronte venne tosto sfondato. Le riserve accorse frettolosamente non riuscirono che a fermare in 
	parte l’offensiva che coinvolse, a partire dall11 dicembre, il 2°, XX°, XXIX° C.A. italiano. Violenta fu la 
	preparazione di artiglieria e dei mortai che fiaccarono non poco le nostre truppe che pure si comportarono 
bravamente. 
	Malgrado la tenace resistenza i russi, superiori in uomini e mezzi, il 19 conquistarono Kantemirovka, minacciando di 
	accerchiamento tutto il C.A. Alpino. Fin dal giorno 15, per prevenire un eventuale sfondamento russo, il comando 
	della Divisione “Julia” aveva predisposto un gruppo di intervento formato dal btg. “L'Aquila”, dalla 13a e 14a btr. 
	del "Conegliano”, 
	(secondo altre fonti la 34a dell’Udine) la 45a btr. ca. e della 83a cp. cannoni 47/32. Il giorno 16 dicembre il 
	gruppo d’intervento iniziò a muoversi per portarsi nel settore del 2° C.A. mentre l’intera divisione si muoveva il 
	17. Il reparto di pronto intervento è decimato dalla marcia e dal gelo; gli aerei russi si abbassano sovente a 
	mitragliare l’autocolonna che procede faticosamente tra alti cumuli di neve. Al momento di puntare su lvanowka il 
	gruppo d’intervento è ridotto ad una compagnia di formazione dell’Aquila, alla 13a ed alla 34a più qualche elemento 
	della batteria contraerea da 20 mm. La 13a al comando del capitano D’Amico, ha solo circa 60 uomini, 3 pezzi, 
	qualche cassetta di munizioni e 9 muli e gli uomini consumano un rancio freddo e scarsissimo. 
	Alla fine la batteria si schiera a lvanowka attendendo il nemico attorniata da una compagnia del btg. sciatori “Monte 
	Cervino”, un esiguo reparto tedesco e poche camicie nere superstiti. All’alba i russi attaccano ed i pezzi vengono 
	schierati allo scoperto nella pianura nevosa con gli Alpini davanti a costituire una sommaria cintura difensiva. La 
	situazione appare subito molto disperata, la batteria è fatta segno dalle artiglierie nemiche e dalla Katuscia 
	mentre le fanterie russe avanzano sempre più. I mezzi vengono fatti arretrare per essere posti in salvo, mentre si 
	scavano ricoveri per la notte. La 13a resiste fino a mezzogiorno del giorno successivo, dopodiché arriva l’ordine di 
	sganciarsi:
	si cerca di utilizzare le quattro slitte a disposizione per salvare l’armamento pesante, coperti dagli Alpini. Grazie 
	agli sforzi congiunti dei muli e degli artiglieri si riesce a partire mentre lvanowka brucia. La13a è l’ultima a lasciare 
	il campo, attardata dai pezzi, dalla stanchezza e dal gelo che spezza cinghie e corde che tengono fermi i carichi 
	del mulo e della slitta. Dopo 14 ore di marcia notturna la 13a si ferma Golubaja Krinitza, da dove si raggiungerà la 
	nuova zona d’impiego dove già è il btg. Tolmezzo.
Avevamo detto che la divisione si era mossa dopo il gruppo d’intervento ed infatti il Comando di Gruppo del 
	Conegliano, la 14a, la 15a ed il Rep. munizioni e viveri si schiereranno il 20 dicembre sulle nuove posizioni 
	riacquistando la 13a proveniente da Ivanowka. Il settore operativo del Gruppo si trova ora a due km. dal Don in un 
	punto piuttosto delicato, poiché occorre impedire ai russi di allargare la penetrazione iniziale. I russi 
	mantengono costante la pressione sui reparti italiani schierati con concentramenti di mortai, bombardamenti aerei e 
	di artiglieria; il 23 dicembre essi attaccano il “Tolmezzo” subito contrastati da un preciso fuoco di sbarramento 
	della 13a, il 24 gli attacchi si ripetono e le tre batterie del “Conegliano” unitamente al Gruppo da 105/28 e la 3a 
	btr, a cavallo, compiono i tiri di interdizione creando larghi vuoti fra le file sovietiche. Gli attacchi si 
	rinnovano ogni giorno, per più volte senza ottenere risultati territoriali positivi; nella mattinata del 30 dicembre 
	però, mentre le altre batterie del Conegliano concentrano il loro fuoco sui Russi la 13a viene messa a tacere con 
	tutti e quattro i pezzi colpiti in pieno ed uno messo fuori uso definitivamente. Messi fuori uso anche i pezzi della 
	77a btr. c.c. il 1° gennaio ’43 la situazione diventa sempre più critica. I reparti ottengono comunque piccoli successi, 
	come la distruzione di un pezzo controcarro russo ed alcuni nidi di mitragliatrice ad opera di un pezzo della 15a. 
	Ma la pressione non diminuisce. Per tutto il mese il nemico si accanì contro le posizioni della Julia ma essa si 
	comportò eroicamente tanto da essere ricordata nel bollettino ufficiale di guerra tedesco. Su quelle posizioni ad 
	opera del nemico e del gelo cadde buona parte della divisione: il solo Tolmezzo perdette, tra il 7 ed il 31 
	dicembre, 390 uomini mentre il Cividale ne perdette quasi 500 in dieci giorni. Ma il peggio doveva ancora avvenire: 
	il 15 gennaio giungeva la notizia che i russi avevano sfondato a sud, girato circa 10 km. dietro la Divisione e 
	l’avrebbero accerchiato se avessero raggiunto il Don. L’operazione di accerchiamento del C.A. Alpino e di altre 
	truppe della 2a armata ungherese e del XXIV C.A. germanico, era stata lungamente studiata dai Comandi sovietici e 
	largamente preparata raccogliendo ingenti forze, artiglierie e carri, I settori prescelti per operare lo sfondamento 
	erano quelli corrispondenti alla testa di ponte di Storoshewoje fronteggiata dalla 2a armata ungherese a nord ed a 
	quello della zona a nord-ovest di Kantemirowka presidiata dal XXIV C.A. tedesco a sud. L’offensiva sovietica ebbe 
	inizio il 13 gennaio a nord contro le truppe ungheresi ed ebbe pieno successo, come pure gli attacchi a sud con 
	puntate tino a Rossosch, sede del C.A. alpino. La breccia aperta nello schieramento era talmente grande da non essere 
	più tamponabile; pertanto le forze tedesche nel settore della Julia vennero ritirate mentre il Comando tedesco 
	rifiutò il permesso di ritirarsi alle divisioni alpine. Il comando del C.A. Alpino orientò però le divisioni in modo 
	tale da predisporre un ripiegamento, ordinando l’alleggerimento dei reparti dato che le salmerie erano state 
	tagliate fuori dalle punte corazzate russe. Ma le colonne russe avevano oramai raggiunto Ostrogosk, per cui venne 
	diramato l’ordine di ritirata; alla Julia esso pervenne alle ore 12 del 16 gennaio e nello stesso giorno iniziò il 
	movimento. 
	Si formarono due colonne: il 9°Alpini coi gruppi “Udine” e “Val Piave” si diresse su Kopanki; l'8° Alpini col gruppo 
“Conegliano” si diresse su Popowka. La marcia fu quanto mai faticosa per gli uomini, spossati dai lunghi combattimenti e 
dal gelo. Nella tarda mattinata del 16 iniziò il ripiegamento anche “Conegliano” verso Loschtschina, coperto dalla 14a e 
dalla 15a batteria che spararono in direzione di Golubaja; la marcia si svolse per tutta la notte ed il mattino un caos 
incredibile di uomini, automezzi e muli. Giunge la notizia dell’avvenuto accerchiamento da parte di russi: Riparte, con 
un pezzo della 13a come avanguardia, tutto il gruppo, affrontando diversi carri nemici, uno dei quali mette fuori uso un 
pezzo della 13a. La 14a e la 15a si schierano nel frattempo fuori dell’abitato di Solowiev, per appoggiare l’attacco dei 
nostri btg.; l’indomani, l’attacco che mirava ad aprirsi la strada per proseguire la ritirata, avviene alle prime luci 
del 20 gennaio ma il risultato è avverso ai nostri che si scontrano con un nemico ben rifornito di uomini e mezzi che 
passano alla controffensiva appoggiati da alcuni carri. Gli artiglieri del “Conegliano” innestano le baionette e si 
improvvisano fanti cercando di contenere il nemico; le perdite sono terribili, tutto il gruppo Mondovì viene messo fuori 
combattimento e la 13a perde un altro pezzo mentre assume i superstiti del Mondovì. Verso sera il gruppo ed il btg. che 
lo accompagnano si sganciano e si dirigono verso Postojali, incrociando il 21 gli Alpini del 9° ed il gruppo Udine che 
di li a poco verranno completamente sopraffatti dai carri russi a Lessnitschanaki dove si salveranno pochissimi Alpini. 
	Intanto il Conegliano giunge a Nowo Georgewski dove viene fatta una breve sosta per riposare gli uomini e le bestie. 
	La sosta tu fatale per la colonna: infatti verso le 11 del 22 gennaio carri nemici ed autoblindo attaccarono la 
	posizione travolgendo le ormai deboli opposizioni delle batterie decimate e degli Alpini scarsamente armati; i russi 
	circondano il paese e per pura combinazione si salvano circa 100 artiglieri del Conegliano che si erano infilati in 
	un canalone a sud del paese con il col. Rossotto. Ma la maggior parte degli ufficiali e degli Alpini dell’8° vennero 
	uccisi o catturati dai russi; tutte le armi del reparto perdute come pure i pezzi che vennero abbandonati al nemico. 
	I superstili del gruppo si accodarono in seguito alle salmerie di alcuni reparti tedeschi in una colonna formata da 
	50.000 uomini di cui oltre a metà è disarmata e dove si trovano resti della Julia, della Cuneense, del Vicenza e 
	reparti ungheresi. Il comando stesso della Julia veniva sopraffatto il 27 gennaio nei pressi di Valuiki. 
	Da questo momento non è possibile seguire le vicende del Conegliano nel proseguo della ritirata in quanto 
	frammischiato con diverse altre unità e fortemente decimato, I resti del gruppo partiranno il 13 di marzo dalla 
	stazione di Usa ed arriveranno al Brennero alle 21 del 18; da lì sarà trasferito al campo contumaciale di Bressanone 
	ove verrà accolto con tutti gli onori. Finirono così le drammatiche vicende del C.A. alpino in Russia, che era 
	riuscito a portare fuori dall’accerchiamento circa 27500 uomini dei quali 11.000 feriti, ammalati o congelati. Cioè, 
	forte della partenza di 57.000 uomini, 14.000 muli, 10.000 automezzi, 160 cannoni, rientrò in Italia con meno della 
	metà del personale, un decimo dei quadrupedi, un centesimo degli automezzi, nessun cannone o mitragliatrice, un 
	terzo delle armi automatiche: dei circa 30.000 uomini mancanti, metà erano prigionieri dei russi. Molti di essi 
	perirono poi nei campi di concentramento russi dove venivano trattati con ferocia e incuranza delle norme elementari 
	di prigionia. I pochi che riuscirono a sfuggire alla morte in Russia o alla cattura durante la ritirata, giunsero in 
	Patria nella primavera del ‘43 e ripresero servizio ai primi di maggio dello stesso anno. 
	Con tali elementi 
	più coloro che nel frattempo erano stati dimessi dagli ospedali si costituì, in seno alla Julia una compagnia che 
	simboleggiava i battaglioni della divisione; si ebbero pertanto la compagnia Tolmezzo, Cividale etc. Questi reparti 
	furono impiegati in compiti di presidio e nella lotta attiva contro infiltrazioni di bande jugoslave che si erano 
	spinte alla Vallata del Natisone alla fine di maggio. Veniva frattanto ricostituito il comando della Divisione, che 
	cominciò immediatamente l’opera di ricostruzione dei reparti con i superstiti e la classe di leva 1923; lo sforzo fu 
	coronato da successo e verso la fine di agosto l’8°, il 9° ed il 3° artiglieria da montagna potevano contare 
	sui battaglioni e batterie originali.
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LE QUATTRO MEDAGLIE D’ORO
TUROLLA IOAO, sottotenente, da Ariano Polesine, della 13° Batteria del Gruppo “Conegliano” del 3° Reggimento 
	Artiglieria Alpina “Julia”. (Alla memoria). 
	“Ufficiale di una batteria alpina, in un seguito di numerosi e aspri combattimenti, dava fulgide prove delle più 
	alte virtù militari. Più volte volontario in compiti rischiosi, li portava a compimento con ardimento e perizia. 
	Accerchiato il suo gruppo da preponderanti forze avversarie, si portava decisamente su una posizione dominante, 
	battuta da fuoco micidiale, per effettuare con una mitragliatrice una più strenua difesa delle batterie. Gravemente 
	ferito e conscio della fine imminente, continuava a tener vivo nei suoi dipendenti l’ardore combattivo e la fede 
	della vittoria,finché si abbatteva da eroe sull’arma con cui aveva fatto fuoco fino all’ultimo istante”. 
	Eleutero (fronte greco), 9 novembre 1940.
BORTOLOTTO GIOVANNI, sergente, da Vittorio Veneto, della 13° Batteria del Gruppo “Conegliano” del 3° Reggimento 
	Artiglieria Alpina “Julia”. (Alla memoria). 
	“Capo pezzo di leggendario valore già distintosi sul fronte greco. Durante un sanguinoso combattimento contro 
	preponderanti forze avversarie era esempio superbo di sprezzo del pericolo e senso del dovere. Benché ferito ad un 
	braccio sostituiva il puntatore caduto e nonostante il martellante fuoco avversario, che stroncava altri due 
	serventi, falciava dapprima col fuoco il nemico incalzante e poi contrassaltava con bombe a mano riuscendo a 
	respingerlo. Riprendeva in seguito il tiro, benché esausto per il sangue perduto, fino a quando, nuovamente colpito 
	si abbatteva col suo cannone”. 
	Russia, 30 dicembre 1942.
MARONESE OLIVO, caporal maggiore, da Aviano (Udine), della 15° Batteria del Gruppo “Conegliano” del 3° Reggimento 
	Artiglieria Alpina “Julia”. (Alla memoria). 
	“Capo pezzo di artiglieria alpina di provato valore. Durante un forte attacco di soverchianti forze di fanteria 
	appoggiate da mezzi corazzati, malgrado la violenta reazione avversaria, in piedi dirigeva con sprezzo del pericolo 
	il fuoco del suo pezzo sulle fanterie arrestandole e immobilizzando un carro armato. Distrutto il suo pezzo 
	d’artiglieria, benché ferito accorreva di sua iniziativa ad altro pezzo rimasto privo di serventi e riprendeva il 
	fuoco sull’avversario nuovamente irrompente. Colpito mortalmente persisteva nell’impari lotta, finché esausto, si 
	accasciava al posto di combattimento. Cosciente della prossima fine rifiutava ogni soccorso ed incitava i compagni 
	artiglieria strenua resistenza.” 
	Sslowiew (Russia), 20 gennaio 1941.
BORTOLUSSI ALDO, caporale, da Zoppola (Udine), della 15° Batteria del Gruppo “Conegliano” del 3° Reggimento 
	Artiglieria Alpina “Julia” (Alla memoria). 
	“Puntatore di batteria alpina di leggendario valore, Sempre volontario nelle operazioni più ardite. Durante accaniti 
	combattimenti contro soverchianti forze nemiche, appoggiate da mazzi corazzati, falciava la fanteria avversaria col 
	fuoco ed immobilizzava a pochi metri di distanza dal suo pezzo un carro armato. In critica situazione, serrato da 
	presso dall’agguerrito nemico, lo contrassaltava audacemente insieme agli Alpini con la baionetta e bombe a mano, 
	contribuendo dopo un violento corpo a corpo a ristabilire la sicurezza della posizione. ritornava quindi, benché 
	ferito, al suo pezzo ed imperterrito apriva il fuoco sul nemico infliggendogli gravi perdite. Colpito mortalmente, 
	sussurrava al suo comandante di gruppo parole di fede e chiudeva la sua nobile esistenza con il nome “Italia” sulle 
	labbra. Magnifica figura di eroico soldato”. 
	Sslowiew (Russia), 20 gennaio 1943.
Venne quindi la 
	fatidica data dell’8 settembre, l’armistizio ed il voltafaccia dell’Italia che si accanì contro gli ex-alleati 
	per guadagnarsi la fiducia degli anglo-americani. Molti Alpini ed artiglieri disertarono le formazioni per unirsi ai 
	partigiani condividendo le loro sorti; da ricordare che si era costituito in centro-Italia il nuovo btg. “Aquila” 
	che partecipò alle ultime battute della campagna d’Italia; esso combatté in Val Idice partecipando alla conquista di 
	Bologna e meritò una medaglia d’argento al V.M. Terminava così la seconda guerra mondiale che aveva visto 
	sacrificare interi reparti con un comportamento che ammette poche giustificazioni. L’esercito italiano in genere non 
	era preparato tecnologicamente ad affrontare una guerra totale come si rivelò essere il secondo conflitto. L’impiego 
	delle truppe fu, in molti casi, assolutamente inadatto all’addestramento specifico ricevuto dai reparti e ciò 
	comportò pesanti svantaggi iniziali che si sommavano alla carenza di equipaggiamento. 
	Le truppe si trovarono troppo spesso a dover dipendere dall’alleato per i rifornimenti ed i mezzi e questi non aiutava 
	certo il morale degli uomini, che si sentivano abbandonati a se stessi ed inutili. Eppure vi furono tanti episodi 
	di valore degni di essere ricordati e tramandati, proprio perchè avvenuti in condizioni critiche, Il Conegliano 
	partecipò con passione agli eventi e fu praticamente annullato dai rigori dell’inverno russo e dal loro esercito. 
	Eppure gli stessi sovietici considerarono i reparti appartenenti al C.A. Alpino come gli unici imbattuti da quella 
	campagna; perchè fino all’ultimo seppero dimostrare quella compattezza propria delle tradizioni alpine.
IL CONEGLIANO DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE. 
	Il gruppo Conegliano viene ufficialmente ricostituito in data 1 luglio1951 su 13a e 14abatteria, con sede a Tolmezzo alla caserma “Cantore”. In realtà 
il 1° 
	luglio esistevano solamente i quadri ufficiali 
	delle due batterie; esse furono infatti completate rispettivamente il 2 agosto per la 13a ed il 28 ottobre per la 
	14a. In seguito verrà costituita anche a 15a ridando al gruppo la tradizionale formazione su tre batterie. Il gruppo 
	fedele alle dottrine del periodo che prevedeva la costituzione di un gruppo base per l’azione di manovra, era armato 
	con i 100/17 mod. 16 a traino meccanico. Tale materiale era scomponibile in due carrelli trainati da trattorini T 
	mod. 51 che ne consentivano il movimento anche su mulattiere. Il 26 settembre del ‘51 il gruppo viene trasferito nella sua nuova sede nella caserma “Berghinz” a Udine. 
	Dopo aver completato i propri organici il Conegliano si dedica 
	alle attività addestrative dei quadri e delle truppe, svolgendo escursioni e campi d’arma nella zona carnica e 
	cadorina. 
	Nel 1959-60 in seguito alla radiazione dei 75/13 e dei 100/17 il gruppo fu riarmato con 104/14 che tuttora 
	costituiscono le sue tre batterie, Il nuovo materiale permetteva tutta una serie di esercitazioni altrimenti 
	impossibili con i vecchi pezzi pesanti e poco maneggevoli. Scomparvero presto anche i trattorini preferendo ad essi 
	le FIAT AR 59 per l’autotraino leggero del pezzo; tornarono in auge anche i muli costringendo i Comandi a provvedere 
	di ulteriore personale per la loro cura. dal 1° aprile del 1968 la nuova sede del gruppo è a Gemona del Friuli nella 
	caserma “Goi”. Da questa, a seguito degli eventi sismici che disastrarono la zona, il gruppo ritornò a Udine il 23 
	settembre del 1976 e precisamente alla caserma “Osoppo” già occupata dal 27° Regg. Art. pe. smv. Il sisma 
	tristemente famoso viene ricordato nelle pagine delle memorie storiche del gruppo, redatte in quell’anno; una pagina 
	breve come altrettanto breve fu la durata della scossa che distrusse Gemona: “6 maggio 1976, ore 21 circa Gemona è scossa 
	violentemente dalle forze della natura. Al momento nessuno o ben pochi sono in grado di rendersi conto di quello che 
	sta per accadere. Trascorre lento ed inesorabile un minuto o poco più e Gemona è nuovamente percossa in tutte le sue 
	strutture senza risparmio. La violenza della natura insiste nella sua tremenda azione per un infinito minuto. Poi il 
	silenzio. La ridente cittadina friulana adagiata alle falde del Chiampon è coperta da una nuvola di polvere, le sue 
	case sono macerie, i suoi abitanti attoniti cominciano l’affannosa ricerca dei sepolti vivi e delle salme. Il gruppo 
	Conegliano non è stato risparmiato. Per tutta la notte i superstiti hanno scavato e frugato tra le macerie. Le luci 
	della mattina del 7 maggio rivelano in tutta la sua grandezza la tragedia. La palazzina del gruppo Conegliano è 
	ridotta ad un cumulo di macerie che racchiudono in una terribile morsa le salme di tre artiglieri: Valerio Artuso, 
	Vanni Calligaro, Paolo Zucchiatti, Livio Blasic, estratto vivo, decederà successivamente all’ospedale Civile di 
	Udine. Per più giorni è continuata l’opera di soccorso e recupero senza sosta e molte volte senza speranze. Il 
	Conegliano, nel terribile frangente, si è trovato soccorso ed al tempo stesso soccorritore. La popolazione di Gemona 
	attendeva aiuto ed il Conegliano, benché ferito ha risposto con mezzi, materiali e viveri per dare aiuto a quella 
	popolazione che fino al giorno prima l’aveva ospitato considerandolo elemento integrante della sua naturale 
	costituzione”. (Dalle Memorie Storiche del Gruppo Conegliano anno 1976 Specchi Xl). 
	E da notare come il gruppo così duramente colpito abbia partecipato con un pezzo di formazione alla scuola di tiro 
	estiva a dimostrazione che, nonostante le perdite e le distruzioni causate dal terremoto, era ancora presente ai 
	propri impegni. Numerose furono le proposte di ricompensa al valore civile ed al merito civile, a seguito degli 
	eventi sismici e gli encomi tributati ai quadri ed ai militari di truppa che vissero quei tragici momenti. Sempre in 
	seguito al terremoto il 25 agosto dello stesso anno, la 15a batteria andava a costituire un distaccamento del Gruppo a 
	l’Aquila, caserma “Rosi”. All’Inizio del ‘77 quindi il Conegliano si presentava così costituito e dislocato: 
	— 	Udine Caserma Osoppo: Comando di Gruppo, Batteria 
	e Comando Servizi di Gruppo, 13a batteria, 14a batteria; 
	— 	L‘Aquila caserma Rossi: 15a batteria.
MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALORE DELL’ESERCITO 
	ALLA BANDIERA Dl GUERRA DEL GRUPPO A. MON. CONEGLIANO. 
	“Unità tragicamente colpita negli uomini e nelle infrastrutture dal sisma del 6maggio1976, interveniva 
	immediatamente, con la totalità dei superstiti, nell’opera di soccorso alla popolazione di Gemona. Sotto la guida 
	dei Comandanti di ogni grado, il personale si prodigava incessantemente per giorni e notti, operando in condizioni 
	di estrema difficoltà ed esponendo spesso la propria vita a manifesto rischio, a causa del perdurare delle scosse e 
	dei crolli, per estrarre dalle macerie i sepolti vivi e, successivamente, i morti. Contribuiva così in modo 
	determinante a ridurre i danni provocati dalla grave sciagura. Rifiutando l’avvicendamento, persisteva nell’opera di 
	soccorso, dando prova di eccezionale saldezza morale, suscitando nella popolazione i più vivi sentimenti di 
	ammirazione e di riconoscenza e tenendo alto il prestigio dell’Esercito”. Gemona 6 maggio-23 luglio 1976.
	
	Il gruppo, divenuto autonomo il 1° ottobre ’75 a seguito della ristrutturazione che prevedeva lo scioglimento del 3° 
	Rgt. Art. Mon., manterrà tale organico e 
	dislocazione fino ai giorni nostri, sempre alle dipendenze della Brigata Alpina Julia. Il Conegliano sarà chiamato 
	ancora una volta in causa in occasione del terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980. La 15a batteria, inquadrata 
	nel contingente di soccorso del Battaglione L’Aquila sarà tra primi reparti a raggiungere la zona colpita. Rimarrà in 
	zona d’operazioni per circa un mese riscuotendo plauso e ammirazione per l’abnegazione dimostrata nel prodigarsi 
	senza risparmio nel portare i primi soccorsi ed avviare l’opera di rinascita di quelle popolazioni. Ancora una volta a 
	dimostrazione che l’artigliere di montagna, dall’ufficiale dei quadri al militare di leva, sono uniti 
	nell’affrontare le difficoltà che si parano loro davanti.
		
		
		
		Trieste 13 marzo 1960 - Consegna delle trombe e delle drappelle
		