FRIULI


Giugno 1986

10 ANNIVERSARIO DELL’EVENTO SISMICO
DEL FRIULI: DIECI ANNI DI DURO LAVORO

OMAGGIO AI FRATELLI FRIULANI

Poco tempo fa sono stato visitare alcuni paesi del Friuli, che nel lontano 6 maggio 1976 furono maggiormente colpiti dal terremoto; tra l’altro: Gemona, Venzone, Cavallico, Tavagnacco, Colloredo di Montalbano, Segnacco di Tarcento ecc. Nel soffermarmi ad ammirare le opere d’arte: - La villa Prampero, il Palazzo del Comune e il Duomo di Gemona, chiesetta di S. Eufemia (oggi monumento dedicato ai Caduti), Il castello di Montalbano - Palazzo del Comune e le pietre numerate del Duomo di Venzone - alcune totalmente ricostruite, altre parzialmente, altre da ricostruire, sono tornato con la mente al 1976, quando l'evento catastrofico sconvolse e distrusse persone e cose, e all'immediato intervento solidale fraterno delle Penne Nere.
ho ricordato anche lo spavento nostro e della popolazione, quando trovandoci a Pinzano alla cerimonia di chiusura del cantiere, nel settembre dello stesso anno, due forti scosse (una sussultoria, l’altra ondulatoria) ci fecero impallidire e provare sensazioni di sgomento e di insicurezza.
Nella speranza di non tediare i lettori, desidero riportare un po’ di storia dei sismi che si sono succeduti negli ultimi secoli, narrazione questa fattami dalla
M. P. Frattolin, guida provetta, indubbiamente preparata, munita di una straordinaria dizione, condita con una paziente e gentile espressione — alla quale va la mia gratitudine — è dedicata ai fratelli friulani, dei quali ho potuto conoscere ed ammirare - durante il mio periodo di «naja» ad Udine e Pontebba nel lontano 1948 - la laboriosità, la serietà e riservatezza.
Spesso, durante la sua storia, la regione del Friuli fu devastata da calamità naturali come il terremoto, e ogni volta che un tale evento si è verificato, arte ed economia hanno avuto in seguito un grande impulso.
Con questo non si deve dire che una catastrofe sismica sia auspicabile, ma si cerca di vedere e valutare con gli occhi della storia, che è più lungimirante di noi uomini.
Come ci rimanda Arduino Cremonesi, uno dei primi terremoti di grave entità registrati in Friuli risale al 1222. In seguito a ciò, il palazzo patriarcale fu seriamente danneggiato ed il patriarca di allora Bertoldo di Renania si trasferì al Castello di Udine, che oltretutto aveva il vantaggio di essere situato in una posizione centrale rispetto al suo principato e per di più controllava da vicino i traffici che si svolgevano nella sottostante via di Germania. L’anno seguente il Patriarca istituì un mercato settimanale, e con ciò si potrebbe dedurre come Udine in seguito a tale evento si trasformasse in città.
Un’altra catastrofe di simile portata si abbatté nel Friuli nel 1348, terremoto questo che provocò, come descritto dal Villani, migliaia di vittime in Carnia
fu sentito pure nella vicina Carinzia, dove distrusse la città di Villaco. Il sisma danneggiò il Castello e il Duomo di Udine. L’allora Patriarca Beltrando di San Genesio ordinò la ristrutturazione della Cattedrale e chiamò da Bologna il pittore Vitale, che ne affrescò l’abside e portò così in Friuli una ventata di quell’ arte centro-italiana che non s’era ancora fatta sentire. La sua venuta influenzò gli artisti della zona, tanto da parlare di periodo post-Vitalesco. Mentre al suo seguito giunsero altri artisti come il non meglio definito «Maestro dei Padiglioni», che dopo aver collaborato con Vitale al Duomo di Udine, affrescò quello di Spilimbergo.
Ancora un sisma d’intensità pari al 10° Mercalli si verificò in Friuli il 26 MARZO 1511. Tale terremoto colpì soprattutto la fascia pedemontana da Gemona a Cividale fino alla vicina Jugoslavia, dove distrusse la città di Skofja Loka. A Udine l’evento sismico distrusse quasi tutto il Castello dalle fondamenta e provocò alcune migliaia di vittime.
Da allora, come afferma il prof. Giorgio Valussi, i sismologhi hanno riscontrato che terremoti disastrosi, d’intensità pari o superiori all’8° Mercalli si sono verificati in Friuli con una periodicità di 50 anni.
Prima del 1976 l’ultimo terremoto del 9° Mercalli si verificò il 27 MARZO 1928 nella zona di Verzegnis, mentre il precedente terremoto di tale entità aveva colpito, il 24 GIUGNO 1889, la zona di Tolmezzo. Considerando tali dati ci si meraviglierà del fatto che fino al 6 MAGGIO 1976 l’alto grado di sismicità di questo territorio sia stato sottovalutato.
Con il 6 MAGGIO 1976 e ancora dopo gli eventi dell’11-15 settembre dello stesso anno, l’area di sismicità fu configurata in modo tale da comprendere ben 137 comuni, di cui: 45 disastrati, 39 gravemente danneggiati e 53 danneggiati. L’indice dei senzatetto raggiunse il 100% nei comuni di Cavazzo Carnico, Losevera, Nimis, Resia, Trasagnis e Venzone. Tale gravità fu affrontata dapprima con l’allestimento di tendopoli, poi con il trasferimento degli sfollati nei centri turistici della costa ed infine con la predisposizione delle baracche prefabbricate. Per quanto riguarda il patrimonio artistico, furono colpiti almeno 600 edifici monumentali e oltre 2000 opere d’arte mobili, in quanto il sisma aveva interessato l’area più significativa della cultura friulana, elaborata fin dal Medio Evo nella comunità cittadina ed artigiana del Medio Friuli dove si conservava il patrimonio storico-artistico più rilevante e più originale della «Piccola Patria» e più caratterizzante quindi per la sua identità culturale. Nella ricostruzione si diede priorità assoluta alla ripresa del settore industriale e dell’economia in generale. Allora si comprese che 1’ effetto di una rapida ripresa in questi settori avrebbe trattenuto la popolazione nelle aree distrutte. Si fornirono gli operai di roulottes e ricoveri prefabbricati con il benefico risultato di trattenere la manodopera. La ripresa fu allora veloce e pressoché completa. Già nella primavera del 1977 si notava una cospicua ripresa dell’economia. Il seguito è venuto di conseguenza, grazie all’ amore di questa gente per la sua terra, ai notevoli aiuti giunti dal resto d’Italia, dall’estero, dalla comunità dei friulani residenti altrove».
Le penne nere offrirono il loro contributo materiale e morale, in una gara di immensa solidarietà, e furono tra i più solerti.

NATORE


Cara Gemona ferita

In tutto questo tempo, temporali d’estate, il frustare invernale del vento sul Glemina e il Quarnan, lo scorrere in ruscelli del disgelo, alti cerchi di voli mattutini di allodole, i rimbalzi tra i rami delle cinciallegre, germogliare di alberi e di vita.
In tutto questo tempo, in questi dieci anni, il sudore di uomini ha ridato a Gemona un volto lieto, 11 lindore di una piazza in selciato, nuovi uomini rivivranno storie, ritornerà la vita ed i suoi ritmi, rinasceranno amori.
Gemona, in certi aspetti, è più bella di prima, ci sono andato ieri.
Ma su in contrada Stalis siore Pine e Dionigi hanno trascorso gli anni in un prefabbricato. Loro avevano un figlio che cantava nel coro degli alpini e che si era sposato. Era l’unico figlio, l’orgoglio di una vita, e nel ‘76 sarebbe stato padre.
Siore Pine e Dionigi, che erano già vecchi, quella sera, da soli, piansero tre persone, tra cui quel nipotino che mai sarebbe nato.
Ad occupare il tempo qualche visita cara, l’aiuto degli alpini, l’andare al camposanto coi fiori di stagione.
Camminano in salita, si sostengono insieme, parlano poco poco.
Sulle strade rifatte e tra le case chiare, ridenti al primo sole, gli accade di osservare dei bimbi che giocano tra loro, avranno dieci anni, sono allegri, sereni.
Gemona, in certi aspetti, è più bella di prima.
Ci sono andato ieri.
RENZO