GLI AUGURI DEL PRESIDENTE


Dicembre 1986

Carissimi Alpini,
mentre mi accingo a farvi ancora una volta gli auguri per il prossimo Natale e per il Nuovo Anno, non posso fare a meno di volgermi indietro e considerare gli avvenimenti che hanno segnato il 1986, avvenimenti spesso terrificanti e luttuosi il cui ricordo fatalmente si affievolirà nella nostra labile memoria, come ho quasi sempre visto accadere in passato per altri avvenimenti altrettanto terribili e sconcertanti.
Perciò mi sembra utile, affinché non ce ne dimentichiamo troppo in fretta e possano in qualche modo servirci da esempio e da monito per il futuro, almeno accennare brevemente a qualcuna delle sciagure che si sono abbattute sul nostro Paese.
Tutti ricordiamo ancora le nevicate eccezionali che verso la fine di gennaio hanno portato la distruzione e la morte sulle Alpi e sugli Appennini; tutti in tutta Europa portiamo ancora e porteremo chissà fino a quando le conseguenze del disastro atomico della centrale nucleare sovietica di Cernobyl.
Ognuno di noi ricorda le incertezze e le paure di quei giorni e segue con ansia il susseguirsi delle notizie sugli incontri — e gli scontri — dei potenti, sugli sforzi che vengono fatti per evitare altre sciagure atomiche, per raggiungere la sicurezza di una pace giusta per tutti i popoli.
Noi Alpini poi, non possiamo certo non considerare con particolare attenzione e dolore quella specie di Cernobyl morale che quest’anno si è abbattuta sulle nostre forze armate: episodi tragici e sconcertanti hanno segnato la vita di alcune caserme, linciaggi morali hanno colpito uomini e organizzazioni e hanno originato un dramma che ha certamente turbato la coscienza di tutti:
la tragica fine del colonnello Vladimiro Nesta. Noi ci inchiniamo alla memoria di questo soldato, vittima di profondo, anche se del tutto personale senso dell’onore e del dovere, ed esprimiamo la nostra fraterna solidarietà alla sua famiglia e a tutte le forze armate.

Auspichiamo che il 1987 purifichi il cielo d’Italia dalle nubi mefitiche, dalle critiche gratuite e dai giudizi malevoli, e rammentiamo agli smemorati che sabotare l’esercito significa preparare la strada alla schiavitù. Non dimentichiamo il monito di uno dei maggiori storici del nostro risorgimento, il piemontese Cesare Baldo: «chi non sa portare armi, porti catene».
Noi Alpini certo non desideriamo la guerra, ma soprattutto non vogliamo le catene di una schiavitù di nessun genere.
Per fortuna il 1986, pur così turbato e incerto, sembra chiudersi con una speranza: abbiamo assistito da poco ad un avvenimento che
ha commosso tutti, ed al quale messaggeri di tutto il mondo hanno partecipato: l’incontro ad Assisi, patria di San Francesco — apostolo della pace e patrono d’Italia — dei rappresentanti di tutte le religioni, cristiane e non, che ad Assisi hanno insieme piegato per la pace.
E allora, Alpini carissimi, uniamoci anche noi in spirito agli uomini di Assisi e operiamo per la pace: ognuno di noi si proponga di portare la sua piccola pietra personale a questa grande costruzione, e sia convinto che la pace si costruisce giorno dopo giorno, ognuno nel suo piccolo spazio: la famiglia, il luogo di lavoro, l’associazione.
Queste considerazioni penso possono essere il migliore augurio del vostro Presidente.

GIACOMO VALLOMY