CI LASCINO PREGARE IN PACE |
Giugno 1988 |
Da un po’ di tempo i giornali alpini sono indaffarati su due temi attinenti la Preghiera dell’Alpino.
Primo problema: la ricerca dell’autore; e c’è chi propende per Gennaro Sora, mentre gli altri insistono su Teresio
Olivelli, come se la preghiera fosse più bella ed importante se scritta dall’uno o dall’altro. Prendendo la cosa con un
po’ di buonumore si potrebbe pensare che, in qualche angolo di Paradiso, Sora ed Olivelli si stiano giocando a scopa i
diritti d’autore.
Della faccenda ha scritto recentemente ed intelligentemente — su “La più bela fameja”, della Sezione di Pordenone —
Luciano Viazzi per sostenere l’inopportunità di dette puntigliose ricerche. E io sono d’accordo con lui, trovando non
solo inutile ma pure indecoroso questo “giallo” della preghiera, e nella convinzione che, qualora fossero noti,
bisognerebbe dimentica re gli autori anche delle altre preghiere.
Per una sola Preghiera, il “Padre nostro”, è da sapere che è autore Gesù Cristo il quale la ha affidata ai suoi fratelli
— noi, per quanto mi degni di esserlo — perchè la facciamo nostra e diventi la nostra voce diretta al Padre comune.
Anche se siamo in chiesa a recitarla durante la Messa insieme a centinaia di altre preghiere, preghiera personale di
ciascuno, diversa — pur nelle uguali parole — a seconda della consistenza dei bisogni di ognuno.
Per questo trovo disdicevole che ci sia gente che scrive preghiere imponendovi la propria firma quasi si trattasse di un
marchio di qualità che garantisca un buon esito di quanto con esse si chiede al buon Dio.
Le canzoni alpine di autore ignoto mi sono sempre apparse tra le più belle. Chissà quanti sarebbero ad avanzare pretese
su l’una o l’altra di queste canzoni che cantano l’amore e la guerra; è gente the un p0’ di musica la conosceva perchè
appresa nelle fanfare del villaggio (e sono sempre commoventi oltre che ammirevoli questi piccoli ed ancora sussistenti
complessi bandistici di paese), e le parole — oddio! quanto letterariamente discutibile - riflettono quelle che l’alpino
scriveva dal fronte alla mamma e alla morosa, ed è per questo che le troviamo accettabilissime.
In tanti ci han messo qualcosa; chi un paio di note e chi la genuina parola di nostalgia, e di amore e di morte. E
quando cantiamo in coro o ascoltiamo chi canta meglio di noi — quelle parole e quei suoni ci commuovono perchè sentiamo
che sono parte dell’urlo di dolore o dell’esclamazione di gioia che vorremmo esprimere; sentimenti che abbiamo nutrito,
e parole che abbiamo detto o che ci duole di non aver detto a chi ci amava.
Anche se il canto è spesso preghiera, torniamo alla seconda e più rilevante questione sulla Preghiera dell’Alpino, e
precisamente sul divieto che talvolta ci viene imposto di auspicare, per i mezzi di cui dispone un soldato, l’efficienza
per la difesa della nostra patria, della nostra bandiera, della nostra millenaria civiltà cristiana. I mezzi di cui
dispone un soldato sono evidentemente le armi, e la Preghiera dell’Alpino è una preghiera di soldati e non di boy-scout.
In fin dei conti, noi Alpini invochiamo Dio di rendere forti le nostre armi nell’affrontare altre armi, e quindi
mantenendo la nostra quota di rischio. Chiediamo aiuto senza esimerci dalla contesa (aiutati che Dio ti aiuta, ci è
stato insegnato) cui saremo chiamati; come i nostri padri han chiesto nel f571 per fermare i turchi a Lepanto; e i
musulmani turchi (sono solo esempi di trascorse minacce alla civiltà cristiana) vennero allontanati pure con le armi, un
secolo e mezzo più tardi, dalle porte orientali dell’Europa. Allora — e le vittorie furono considerate miracoli — era
dunque lecito chiedere di avere forti le proprie armi.
Adesso si vuoi limitare l’invocazione a Dio di vagamente renderci forti. In che maniera?
Un seguito che potrebbe piacere ai”benpensanti” potrebbe essere:
Renderci forti nel dare tremendi pizzicotti a chiunque minacci, ecc. Altra versione: Dio Onnipotente tieni ben fermo,
mentre noi gli facciamo il solletico (magari fino a farlo mori re, ma sganasciando) chiunque minacci e così via. Poi ci
sarebbe quella che fa risparmiare ogni pericolo e la pur minima fatica: Fa che gli venga un cànchero a chiunque minacci
la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana.
Potrebbe il buon Dio accogliere preghiere come queste?
Come fedeli dobbiamo ammettere e reciprocamente confessarci che la maggior parte delle nostre invocazioni al Signore
riguardano cose meschine (e infatti, spesso, ci vergogneremmo persino a dire ad un amico; oggi ho pregato il Signore di
darmi questo e quest’altro): il pane nostro quotidiano comprende indubbiamente anche un po’ di companatico, ma— Cielo!
—quante altre pretese ci vengono in mente, tanto da non accorgerci nemmeno che subito dopo l’implorazione di concederci
pure la remissione delle nostre colpe, svogliatamente assicuriamo (unica promessa in tanto chiedere) di altrettanto
rimettere agli altri — cosa che difficilmente faremo — i soprusi fatti a noi; e il Signore (che così ci preavvisa: i
miei pensieri non sono i vostri pensieri; le mie vie non sono le vostre vie) sa bene le grazie da concedere e le vanità
da rifiutarci. Se gli Alpini pregano perchè renda forti le loro armi, egli sa che gli Alpini non lo considerano un
trafficante di armi dal quale ottenere potenziamenti all’armamento, ma piuttosto la virtù della fortezza (e di forza e
coraggio, cari miei, cene vogliono per fare una guerra).
Qualche pseudo-pacifista dirà che — stando così i termini — tanto vale modificare il testo, e a ciò ha pure dovuto
sottostare (mi dicono) il presidente nazionale dell’A.N.A. per poter recitare la Preghiera dell’Alpino durante la Messa
celebrata da un vescovo nell’ambito della recente adunata nazionale di Trento.
E' nel diritto che la liturgia assegna al celebrante — sacerdotino o vescovo — di autorizzare o meno qualsiasi testo di
preghiera da recitare dai laici nel corso della cerimonia che egli presiede (anche se ormai non più vigente la
preventiva approvazione ecclesiastica di una nuova preghiera); in quel momento l’autorità assoluta il celebrante e noi
possiamo solo soggiungere “Amen”.
Una preghiera si può d’altronde modificare o adeguare (ritornando alle canzoni basta citare quella del ponte di Bassano
che diventata il Ponte di Perati). La Preghiera dell’alpino terminava con l’invocazione alla Madre di Dio affinché
concedesse la benedizione e un sorriso ai nostri battaglioni. Recentemente (forse per la preoccupazione di qualche
panzangola che temeva di esserne esclusa) gli attesi benedizione e sorriso sono stati estesi ai gruppi; qualcuno crede
che, anziché quelli di artiglieria da montagna, si tratti dei gruppi dell’A.N.A. e allora ci aggiungono le Sezioni. E
manca poco che ci mettano pur gli “Amici degli Alpini” che fanno parte di una sottospecie associativa peraltro
stimabilissima.
Preghiamo come ci pare, ma facciamolo con fede.
Vogliamo farlo con la nostra Preghiera in versione originaria (con
buona pace di Sora o dì Olivelli)? La diremo, anziché nel contesto della Messa, dopo di essa e cioè quando il sacerdote
ci dice di andare in pace (che sottintende di comportarci bene, ma nei modi che ci pare).
Dopo tante nostre proteste dobbiamo anche imporci un esame di coscienza.
Capita un po’ a tutti noi, nel rimestare le personali carte alpine, di rinvenire una copia della Preghiera dell’Alpino;
benissimo, diciamo, meglio tenerla da parte se occorre (... ci sarà la festa del gruppo; prima o dopo capita di
partecipare al funerale di un socio alpino, e magari il capogruppo non si ritrova il testo della preghiera per dargli il
saluto come conviene).
Se occorre; ed qui che sbaglia ff0.
Quando ci capita sotto gli occhi il testo della nostra preghiera, cari Alpini, recitiamolo con convinzione anche se
siamo soli, anche se a Dio chiediamo di rendere forti le nostre armi poiché Lui sa (e Glielo abbiamo detto poche righe
prima) che imploriamo protezione per le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e che pure
salvi noi, armati come siamo di fede e di amore.
In tal modo preghiamo in pace (e sicuramente per la pace) come vogliamo, senza dover rendere conto a nessuno su come e
cosa chiediamo; soli, con Dio.
M. Altarui