ARMENIA 1989: UNA CARA MISSIONE


Dicembre 1989


Da sinistra: lino Chies, Bortolo Busnardo, Dott. Furlan Gaetano


Armenia, Ospedale da campo

Erano le 8.15 del 3 luglio e stavamo decollando dall’aereoporto di Orio al Serio (Bergamo), dove mi aveva accompagnato, con incomparabile gentilezza, l’amico alpino Tonino Cais.
Dagli oblò del G.255 dell’Aeronautica Militare Italiana ci siamo salutati con un certo “grumo” in gola. Destinazione: ARMENIA, Regione meridionale dell’URSS, disastrata dal terremoto di novembre 1988.
Ciò che si prova in momenti così pieni di ansia, di gioia, di voglia di aiutare i bisognosi; di preoccupazioni derivanti dalla famiglia che si sta per allontanare, dalla società in cui si è vissuto da tanti anni, dagli amici, non è facilmente esternabile.
In quel turbo elica, dal rumore assordante e dalla temperatura piuttosto bassa, nel quale erano d’obbligo i tappi negli orecchi, la giacca a vento e la non voglia di fare la “pipì” per la mancanza del luogo necessario, ho trascorso otto ore, durante le quali sembrava che le lancette dell’orologio, meccanicamente mosse da ingranaggi metallici, avessero scioperato per la mancanza di lubrificanti, atti al loro regolare movimento. Interminabili ore trascorse in compagnia di 37 alpini ed amici degli alpini, che avevano evidentemente la mia stessa destinazione: SPITAK, paese dell’Armenia. Una sola di queste facce mi era nota, l’alpino Bortolo Busnardo consigliere nazionale e presidente della sezione di Bassano del Grappa, tutte le altre mi erano nuove. Impossibile parlare assieme, tanto era il rumore assordante dei motori dell’aereo. Così ho cercato, anche per ingannare il tempo, di scrutare i movimenti di ognuno, vederne le mosse, i gesti, i vari tentativi di colloquio l’uno con l’altro, tentando di capire e di immaginare chi poteva essere: il chirurgo, l’internista, il pediatra o l’infermiere...
Siamo arrivati a EREBAN capitale dell’Armenia, dopo aver fatto uno scalo tecnico a ISTANBUL verso le ore 21, e qui, fatte le dovute operazioni di dogana, siamo partiti alla volta di SPITAK.
Alle ore 23 (ore 2 locali), chi con la corriera, gentilmente messaci a disposizione del partito locale, e chi con il “camion” dell’ANA, guidato da un alpino, siamo finalmente giunti a destinazione, dove ad accoglierci a braccia aperte abbiamo trovato i componenti del turno precedente. immediatamente ci siamo resi conto che si respirava un’aria diversa della nostra.
La polizia di Stato presidiava l’ingresso del nostro ospedale e le immediate vicinanze. Ma, come mi veniva subito spiegato dal mio predecessore, e che successivamente ebbi modo di constatarlo di giorno in giorno, la sua presenza era solo all’esterno, atta a regolare l’afflusso dei pazienti e prevenire ogni forma di illecito; tale servizio d’ordine non ha mai interferito e non si è mai intromesso nei problemi interni dell’Ospedale.
Ospedale che l’associazione Nazionale Alpini, tramite il Gruppo di Protezione civile, ha inviato nel paese di SP1TAK in Armenia, con l’intento di aiutare quello sfortunato popolo ed alleviare per quanto possibile le sue sofferenze.
L’ospedale da campo, che la nostra Associazione ha portato in Armenia e donato alla popolazione armena, è composto di roulotte, container, camper, ambulanze e tende. Questi mezzi, opportunamente distribuiti su di un’area messa a disposizione dalle Autorità locali, sulla testata del villaggio Italia (noto dono della Nazione italiana al popolo armeno), sono stati adibiti ad ambulatori, sala chirurgica, sala raggi, farmacia, sala d’attesa e reparti vari. L’Ospedale completo è funzionante in ogni reparto; è stato tenuto in attività dei volontari Alpini per cento giorni. Sei turni quindicinali di 38 persone di volta in volta: lo hanno fatto funzionare alla perfezione.
Grazie alla dedizione di ognuno, dai medici agli infermieri, dai tecnici ai generici, ogni giornata trascorsa ha avuto la sua positività ed il suo frutto.
I giovani medici armeni, che lavoravano a fianco dei nostri medici alpini, più volte hanno elogiato la dedizione con cui i componenti del gruppo svolgevano il loro lavoro.
Le code interminabili di pazienti in attesa di una visita da parte di un medico italiano, erano lo scenario quotidiano all’ingresso dell’Ospedale.
Molte e lunghe ore di attesa, sotto il sole cocente, o il vento, la grandine e la pioggia; perché in quel paese il clima varia in brevissimo tempo, erano l’unico prezzo per accedere all’Ospedale. vero, non pagavano le prestazioni, e nessuno tributo era dovuto dall’armeno all’italiano, ma non era questo il motivo per cui 200 persone quotidianamente si assiepavano e pazientemente stavano in attesa per essere ricevuti e visitati: era la fiducia sulla medicina italiana, ed il particolare occhio di stima e di riguardo nei nostri confronti li animava, li sosteneva e li incoraggiava nella lunga attesa.
Io ero costantemente tra loro, avevo l’ingrato e snervante compito di lasciarli o meno passare, di far passare l’uno e non l’altro. Sono stato aiutato e sostenuto in questo difficile compito, in modo particolare, dall’amico e doppio collega Bortolo Busnardo, ed inoltre da ben otto giovani Cadetti di Polizia e dal dottor armeno “Gregoriam”: a tutti il più sentito grazie. Anche il nostro prete don Angelo veniva, compatibilmente con i suoi impegni, a darci una mano. Con Bortolo parlavamo in perfetto dialetto veneto e quindi ci capivamo bene, mentre con gli altri è stato molto difficile, comunque tra un motto e l’altro, qualche boccaccia, qualche gesto e quant’altro di utile, siamo riusciti a capirci ed a svolgere il compito che ci era stato affidato. Quel “grazie” mal pronunciato ed alle volte appena decifrabile, accompagnati da calorosi gesti espressi attraverso il sorriso che è lingua universalmente conosciuta, riempiva di soddisfazione i nostri animi e di tutti quelli facenti parte dell’Associazione Alpini. Spesso questo “grazie” era accompagnato da mazzi di fiori, che i pazienti raccoglievano nei prati e nei campi vicini, e con insuperabile spontaneità ci porgevano quotidianamente.
Era a quel punto che il prediletto Alpino, medico, meccanico, infermiere veniva assalito da un nodo alla gola, ed in cuor suo ringraziava l’Associazione Nazionale Alpini per avergli dato la possibilità di rendersi utile, ma soprattutto di toccare con mano e quantificare, sia pure in modo strano, la grande dignità di un popolo ubicato infelicemente tra i turchi, i russi e gli arabi; un popolo che nonostante tutte le peripezie, le barbarie e i genocidi a cui è stato sottoposto, ha conservato la sua cultura, la sua tradizione e religione, componenti questi che gli danno fierezza e forza per continuare a vivere, nonostante l’imperversare della sfortuna.
Descrivere ogni impressione su questo popolo è impossibile e non è certo mia pretesa.
Io dico e sostengo che l’Associazione Alpini nell’inviare in terra di Russia (non dimentichiamo che in quella terra siamo stati gli invasori, sia pure buoni, ma sempre invasori), sopportando grandi sacrifici economici - un ospedale da campo bene attrezzato, e donarlo alla popolazione bisognosa, ha compiuto un’opera assai meritoria, grandiosa e difficilmente ripetibile, degna di grande ammirazione. La radio e la televisione russa e la stessa PRAVDA ne hanno commentato positivamente il fatto.
Sembrava reclamizzato il nostro intervento, ed intanto, giorno dopo giorno, i pazienti, provenienti non solo dall’Armenia, ma anche dalla Georgia, dall’Ucraina e persino da Mosca, aumenta- vano ed ingrossavano le file all’esterno del nostro nucleo.
Noi del quinto turno eravamo partiti da Spitak il 19 luglio consegnando “la stecca” a quelli del sesto ed ultimo turno, e questi hanno definitivamente chiuso l’intervento ai primi di agosto, lasciando sul posto ogni attrezzatura, aflidandola ai medici armeni.
Parlando con i colleghi volontari, ho appreso che non sono il solo ad essere altamente soddisfatto di questa operazione, ma tutti la ricordano con piacere e nostalgia. Tutti abbiamo lasciato SPITAK con commozione, ed abbiamo guardato non solo con lo sguardo, ma anche con il cuore il tricolore che sventolava sul pennone infisso in terra straniera, ma amica.
In quella occasione abbiamo ribadito l’importanza della Protezione Civile, abbiamo radicato il suo sviluppo ed indicato ancora una volta quale tangibile segno di solidarietà umana possa portare non solo in Italia, ma là dove occorra.
L’esistenza e l’operosità del Gruppo di Protezione Civile dell’A.N.A., nato nei cantieri del Friuli, dovrà consolidarsi, attraverso l’apporto di tutti gli iscritti alla nostra associazione, in relazioni alle singole disponibilità.
Arrivato a Bergamo nella tarda serata del 19 luglio, dopo aver ripetuto il viaggio in senso inverso, con impressioni e soddisfazioni appaganti, ho trovato ad attendermi ancora Tonino Cais e mia...
Grazie Toni e grazie soprattutto all’Associazione Nazionale Alpini per avermi dato questa grande opportunità e di avermi dato modo di conseguire nuovamente una straordinaria esperienza.

Lino Chies