IL MULO |
Giugno 1991 |
Questa interessante e birba fotografia sta diventando, purtroppo, un documento da museo antologico, e la storia dei
nostri fedeli e scalpitanti quadrupedi diverrà un nostalgico racconto degli Alpini, soprattutto dei conducenti, chiamati
semplicemente “sconci”. Nei Reparti delle nostre Truppe Alpine, — sventuratamente in fase di parziale compendio — è
rimasto il “prototipo” mulo, forse a testimonianza della sua remota esistenza, sostituito da un oggetto meccanico, anche
se sostanzialmente più consono alle moderne esigenze di un eventuale impiego nei combattimenti e di pronto intervento.
Che si narra di questo portentoso quadrupede? — “Madre natura, anche se “sollecitata” in maniera innaturale
(accoppiamento forzato tra asino e cavalla), non fornisce mai due muli uguali. A parte il nome, secondo il quale tutti i
muli coetanei avevano la medesima lettera iniziale, erano i caratteri che differenziavano i robusti e testardi equini
delle Truppe Alpine. Soggetto rustico, nevrotico, mansueto, caparbio, placido, insofferente, rissoso, lunatico,
paralitico, schizofrenico, scansafatiche e così via. Ognuno aveva il suo identikit, sintesi di caratteristiche che solo
il maniscalco e il conducente conoscevano.
Se la sveglia era alle tre, era perché bisognava imbastare i muli; se il rancio serale era alle 22, era perché bisognava
prima abbeverare i muli; se non avevi tempo di raderti, era perché veniva prima il brusca-striglia al mulo; se non
potevi coricarti di notte, era perché il tuo mulo aveva la colica, maledetto bastardo.
Ma se arrivavi a destinazione dopo quindici ore di marcia, spesso era perché il tuo mulo ti consentiva di attaccarti
alla sua coda e farti trascinare: un zuccherino a lui e una bustina di cordiale per te, e pronti per la marcia
dell’indomani.
Quale immagine era più poetica e significativa di una lunga teoria di muli e conducenti che si inerpicavano su per un
angusto sentiero?
Addio silenzioso e prezioso compagno di tante fatiche!
r. b.