ROSSOSCH


Dicembre 1993

L'amore delle 350.000 Penne Nere disgela le "... Centomila gavette di ghiaccio"
ROSSOSCH "OPERAZIONE SORRISO"
MISSIONE COMPIUTA

La nostra sezione, attraverso il volontariato di numerosi soci, ha dato un sostanzioso contributo alla realizzazione dell'opera.


L’asilo: memoriale di tante speranze.


Che dicono i pallidi volti di questi poveri...”cristi”?
E’ facile immaginarlo. L’assillo di una speranza, forse tradita...
una dolorosa odissea senza ritorno, per molti di loro.


L’asilo in costruzione


Sante Cietto al lavoro


Nostri soci sulle sponde del DON: da destra Tonino Cais,
Pietro Minet (reduce di Russia), Lino Chies e Antonio Bottega.


I quattro alpini di S. Fior che hanno dato il loro contributo: da
destra Ezio Marchioni. Giuseppe Armellin, Giovanni Zecchella e
Mario Da Lozzo.

L’Italia Alpina, quella dalla scarpa grossa e testa fina (così ci si esprimeva una volta), ma anche dalle braccia robuste e dal cuore grande, ha festeggiato in terra di Russia, e precisamente a Rossosch, un’altra grandiosa significativa opera - un asilo capace di ospitare centoquaranta bambini - frutto dei più bei sentimenti di solidarietà e fratellanza, di amore verso i più piccoli che sono l’essenza dell’innocenza, coinvolgendo la popolazione indigena nella proverbiale atmosfera di semplicità ed affidabilità scarpona.
Sì, gli alpini hanno vinto un’altra battaglia di pace.
Battaglia anche questa combattuta all’insegna della generosità. Tutte le doti, tutti i requisiti che compongono un’operazione ditale portata, accomunati alla modestia, alla competenza tecnica e professionale e all’assiduità lavorativa, hanno fatto sì che ogni difficoltà burocratica e di disservizio venissero brillantemente superate, permettendo, quindi, di donare su un piatto d’argento la scuola materna al Comune di Rossosch.
Gli Alpini d’Italia hanno ottenuto una vittoria, senza dubbio dal punto di vista della realizzazione materiale, ma anche dal concetto morale.
La Sezione di Conegliano é stata presente con quindici soci, per un totale di trentadue turni: operai generici, muratori, idraulici, piastrellisti, imbianchini e un capo cantiere per otto turni: Sante Cietto di Soligo.
Il geometra Lino Chies nostro socio, consigliere nazionale e componente della Commissione "Operazione Sorriso", mi ha riferito che quella dei Veneti e dei Friulani è stata una partecipazione notevolissima, sia sotto il profilo della qualità, sia sotto quello della quantità.
Molti sono gli esempi eloquenti, a cominciare dai progettisti l’ingegnere Sebastiano e l’architetto David Favero di Possagno alpini (1200 metri quadrati al piano terra ed altrettanti nell’interrato), e dallo zio geometra Bortolo Busnardo presidente della Commissione, e presidente della sezione di Bassano del Grappa e vice presidente nazionale.
Un progetto molto bello, razionale, funzionale e completo di ogni conforto igienico, sanitario e di sicurezza.
E’ da sottolineare che dalla Sezione di Bassano del Grappa è venuta una partecipazione straordinaria di uomini da impiegare variamente in tutti i momenti in cui l’operazione è durata, cioè praticamente per due anni.
Il suo apporto è stato determinante.
La Sezione di Treviso, tra l’altro, ha offerto tutti i vetri per i serramenti. Quelli di Pordenone si sono particolarmente distinti: quindici uomini, in quindici giorni, hanno eseguito tutti gli intonaci interni. Questo solo per dare un piccolo esempio.
Ma torniamo alla Sezione di Conegliano per significare l’operato dei nostri alpini, di ditte e persone della zona circostante, che, attraverso l’interessamento di Lino Chies e della stessa Sezione, sono state coinvolte, ed hanno dimostrato molta sensibilità.
E’ giusto e doveroso, quindi, rendere testimonianza a questi nostri soci alpini e alle aziende che contribuirono considerevolmente all’attuazione dell’Operazione Sorriso. Eccoli:
LINO CHIES 5 turni e LUIGI DE LUCA 3 turni del gruppo Ogliano;
ANTONINO CAIS 1 turno e GIANCARLO ZOPPAS 1 turno del gruppo di Conegliano-Città;
GIORGIO VISENTIN 1 turno del gruppo di Godega-Bibano:
GIANPAOLO DE BIASIO 2 turni del gruppo di Pieve di Soligo;
SANTE CIETTO 8 turni del gruppo di Soligo;
GIOVANNI MASERO 1 turno del gruppo di Solighetto;
ANTONIO FORNASIER 1 turno e VALERIO MONTESEL 1 turno del gruppo di Colfosco;
GIOVANNI ZECCHELLA 2 turni, GIUSEPPE ARMELLIN 1 turno, EZIO MARCHIONI 2 turni, MARIO DA LOZZO 1 turno del gruppo di San Fior;
ALDO TOMASELLA 1 turno del gruppo di San Vendemiano.
E’ da tenere presente che i turni duravano 5 giorni. più due giorni di viaggio.
Aziende e persone che hanno contribuito con materiale, lavoro e denaro:
SAN BENEDETTO di Scorzè (famiglia Zoppas): fornitura di acqua minerale per tutto il periodo, un totale di 80 ettolitri;
LA MARENO IMPIANTI di Mareno di Piave: fornitura di due cucine elettriche per l’impianto di cottura;
LA SAN GIUSEPPE di San Giacomo di Veglia: tutti i battiscopa occorrenti (2500 ml);
C.T.M. di TOMASELLA FRATELLI di Colle Umberto: diversi attrezzi per i giochi dei bambini, in acciaio inox e in legno pregiato di lunga conservazione, compreso il montaggio a Rossosch, in omaggio al papà VITTORIO sergente alpino reduce di Russia;
DE LUCA LUIGI e Gruppo di Ogliano: costruzione di 150 serramenti in alluminio anodizzato:
COLOMBAN per la Permasteelisa di San Vendemiano: offerta di una somma di lire 9.500.000 per l’acquisto dei profilati per i serramenti.
I nominativi, le aziende e le notizie mi sono state fornite da alpini responsabili.

Con l’amico Tonino Cais consigliere sezionale e con l’arch. Gianfranco Calderari capogruppo di Soligo, ho incontrato alcuni alpini, che maggiormente offrirono la loro opera. per chiedere l’impressione di quella loro esperienza.

SANTE CIETTO (comunemente chiamato Santo), uno dei protagonisti della meravigliosa costruzione, impiegato a capo cantiere, è stato un infaticabile lavoratore per oltre quattro mesi; personaggio emblematico, per qualche senso introverso, non certo sprovveduto nel suo mestiere, si è assoggettato volentieri alle domande, ed anche se è stato parco nelle risposte, ha dimostrato concretezza.
Caro Santo, sappiamo che sei partito con grande entusiasmo per la Russia, conscio di doverti impegnare.
Qual'è stata la tua prima impressione quando sei giunto in cantiere?
Mi sono accorto che c’era da lavorare sodo, in considerazione delle iniziali difficoltà organizzative e dell’importanza dell’opera. Ma tutto è filato liscio, perchè il morale era alle stelle, ed ero certo delle mie forze.
Come sono stati i primi contatti con i tuoi compagni di lavoro e quali con l’esterno, cioè con gli indigeni?
Inizialmente sono stato un po’ duro perchè mi è parso di notare troppa licenza, cioè un andazzo un po’ eccessivo. Buoni i rapporti con l’esterno, specialmente con il Sindaco locale. Non ho avuto contestazioni da chicchessia.
Quali erano le tue mansioni? E’ stata dura portare a termine la tua opera?
Oltre a lavorare dovevo disporre, essendo capo cantiere. Certamente alla sera ero stanco, perchè ero molto impegnato con lavori anche duri; però la soddisfazione e la gioia mi facevano dimenticare tutto.
Com’è la vita in quel paese? Come sono gli abitanti?
La vita in Russia e in particolare in quel paese è assai diversa dalla nostra. Si evidenzia una povertà, generalmente sconosciuta qui da noi. Alcune volte manca lo stretto necessario. Vorrei che i nostri giovani vivessero quell’esperienza: apprezzerebbero di più quello che hanno in Italia e i valori della vita. La gente vuole bene agli alpini e ne riconoscono le virtù.
Hai ricevuto significative attestazioni di stima e di fiducia e riconoscimenti per il tuo modo di operare?
Certamente! Da tutti quelli che ho potuto frequentare e con cui ho potuto lavorare: operai, dirigenti, dal generale Meozzi e da altri generali ed ufficiali che lavoravano con noi, anche dai medici e dai preti. Il presidente nazionale dott. Caprioli mi ha fatto gli elogi, anche se si è accorto che spesso me sbrissava un ...
Non ti hanno commosso quei luoghi che sono stati il martirio degli Alpini e di tutti i soldati italiani?
Sicuramente! Al pensiero di quello che accadde cinquant’anni fa in quei posti, a tutti quei Morti, un nodo ti stringe alla gola, un pelo d’oca ti invade tutto il corpo, e naturalmente ti commuovi e “te vien da pianzar”.
Ho visto tanti posti delle grandi battaglie e dove sono sepolti i nostri italiani. Il fabbricato che abbiamo fatto per quei bambini innocenti a testimonianza dei nostri Caduti è stupendo, sotto tutti gli aspetti. La storia ricorderà questo gesto di umana solidarietà. Vorrei aggiungere che il mio operato, quello di tutti gli alpini e della gente italiana è stato riportato ampiamente in un giornale russo, di cui consservo una copia.

Saresti disponibile a dare il tuo contributo altrove, come lo hai fatto a Rossosch?
Certamente. A tale proposito sono stato contattato per andare a...
Dopo un’ombra”, un sorriso e una stretta di mano ci siamo lasciati.

Poi siamo andati a trovare LUIGI DE LUCA, il quale ci ha dichiarato di aver prestato la sua opera con fervore anche se è stato un po' di sacrificio.
Egli, in collaborazione coi soci di Ogliano, ha costruito tutti i serramenti in metallo, fatti a regola d’arte, taglio termico, con vetri camera e antisfondamento, e la posa in opera degli stessi.
Gigi ha sottolineato che solo gli alpini possono fare certe cose, intendendo dire che è lo spirito di aggregazione alpina a prevalere, anche sugli eventuali ostacoli, pure burocratici, che si possono incontrare.
La speranza - egli ha soggiunto - è che la bella costruzione possa durare nel tempo, per generazioni e generazioni. ed offrire ai bambini russi un caldo confortevole e felice soggiorno.

Infine abbiamo incontrato nel loro stabilimento i fratelli LUIGI, ALDO e MARIANO TOMASELLA, coloro che hanno costruito gli attrezzi dei giochi per i bambini, in puro acciaio inox e legno pregiato per una lunga conservazione.
Lavoro eseguito, (in collaborazione con alcuni alpini) con una certa sollecitudine, anche di sera fino a tardi.
La loro disponibilità è stata esemplare; e ne sono entusiasti e felici di aver contribuito ad una iniziativa sociale, che evidenzia, ancora una volta, lo spirito alpino nel campo della solidarietà. Aldo, che è stato a Rossosch, ne ha tratto un significativo sostegno morale per l’indirizzo e lo scopo dell’opera, che suggella la concordia tra due popoli che, per costrizione, si sono scontrati cinquant’anni fa.
A tutti quelli che in qualche modo hanno dato il loro contributo è stato rilasciato un attestato di riconoscenza, mentre a dodici più meritevoli è stato fatto dono di un qualche cosa personalizzata, in segno di perenne gratitudine, tra cui tre nostri soci: Lino Chies. Luigi De Luca e Sante Cietto.
Le premiazioni sono avvenute durante un ricevimento ufficiale, programmato dalla locale amministrazione comunale.
Orbene da queste testimonianze e da altre che ho riportato nel precedente numero di questo periodico - anche se in una composizione semplice devo dedurre che l’impulso altruistico delle penne nere non ha limiti, perchè manifesta sentimenti nobili, etici.
Gli alpini sanno che l’uomo grande è veramente grande a tempo e a luogo.

RENATO BRUNELLO


TESTIMONIANZA DI UN PELLEGRINAGGIO


La santa messa celebrata da un sacerdote italiano
sul terreno ove sono sepolti i nostri soldati.
Traspare la fede dell’Alpino.


La preghiera recitata da un frate cattolico Gibertini e
dal prete ortodosso, sopra le fosse comuni, a Nikolajewka


Si firmano gli occorrenti documenti:
al centro il rappresentante russo; a sinistra il geom. Chies.


Tre dei maggiori nostri
protagonisti: Luigi De Luca,
Lino Chies, Sante Cietto,
alla cerimonia inaugurale.


Poncato, Morozov, Chies

Invitato dagli amici della sezione di Conegliano dell’A.N.A, ho avuto la fortuna, anzi il privilegio, di partecipare ad un evento straordinario per il luogo in cui si è svolto e per il suo significato universale.
Con un volo charter da Bergamo a Mosca, 2600 km con l’Aeroflot, è il 16 settembre e Toni intona
il 16 settembre
nessun se l’aspettava
la cartolina rosa
ci tocca partir.

Inizia così il nostro pellegrinaggio in terra di Russia, organizzato dalla Associazione Nazionale Alpini per stabilire rapporti di amicizia e di pace perenne con gli avversari di un tempo, a Rossosch, città che fu sede del comando della armata alpina sul fronte del Don.
Da Mosca, sveglia alle tre e mezzo, con solo interno, dal più piccolo e scalcinato dei suoi quattro aeroporti, a Voronez, 750 km in meno di un’ora.
A Rossosch siamo giunti da Voronez, sul tardo pomeriggio, con un convoglio di 9 pullman, il gruppo C, scortato dalla polizia, che con molta efficienza bloccava completamente il traffico al nostro passaggio; 250 km, con una tappa per lavori idraulici tra le betulle che fiancheggiavano l’ampio bordo stradale.
Il primo tuffo al cuore l’ho avuto sulla Pisello, il punto più alto delle colline che fiancheggiavano il Don, dietro a noi la Nera Calitvà, davanti la quota Cividale, dove la Julia si era trincerata alla meglio, dopo il primo sfondamento russo, e dove si è sacrificata.
A quota Pisello un reduce del Cervino, Corazza, spiegava a mia moglie come la collina, al suo arrivo, fosse tutta coperta di bersaglieri, benché coperta dalla neve era nera e rossa, Persa e riconquistata svariate volte, i russi vi hanno edificato un monumento per i loro caduti.
Lassù ho visto piangere e non bastano le parole per esprimere i sentimenti.
Poi giù, all’ansa del Don, che ghiacciato sostenne il passaggio dei carri armati, ed era già sera. La preghiera di un reduce, che veste il saio francescano, padre Gerardo ed una stella alpina offerta alle acque.
Adesso ed allora, rivivo e condivido con gli alpini storia ed eroismo.
Nella chiesa di Rossosch, investita dal fuoco incrociato delle mitragliatrici, erano riparati in molti: un reduce, coi baffetti, mi racconta come riuscì a sgattaiolare fuori infilandosi in un vicino sotterraneo: unico superstite. Della chiesa rimane solo il campanile, entro il quale il Pope prega con i suoi duecento fedeli, mentre Rossosch vanta 60.000 abitanti.
Valenki è il nuovo nome di un gruppo di tre villaggi, uno dei quali conosciuto dagli alpini come Nikolajewka. Da Rossosch a Nikolajewka, 150 km di sofferenze e battaglie, dalla morte annunciata alla vita. Ho visto ciò che è rimasto del tunnel che passando sotto la ferrovia, costituiva il principale accesso al villaggio: è stato ricostruito e la vecchia carreggiata è stata spostata. Dal tunnel verso la Chiesa di Nikolajewka, che su su in alto, bianca, dominava il paesaggio.
Entro la Chiesa il Pope sta officiando un funerale; all’ingresso un camion con le seggiole di legno lungo le sponde attende l’uscita delle donne che accompagneranno la salma.
Un fatto straordinario ancora: sul piazzale davanti al campanile una vecchia babuska, di nome Maria, ma non volle dare il suo recapito, consegna a Lino due vecchie foto, raccolte da due caduti italiani, avvolte su un foglio di quaderno a righe: una ragazza e sul retro il timbro foto Marino, viale della stazione, Conegliano, una sposa con due figlioletti, sul retro un messaggio dal fronte. Queste donne potrebbero essere rintracciate.
Poco fuori del paese ci rechiamo alle fosse comuni, da poco localizzate, disposte lungo un calanco che intaglia i fianchi di una collina. C’è tutto il gruppo C, il sindaco che porta all’occhiello il distintivo, il Pope con la sua fluente barba nera.
Con l’abbraccio tra il frate reduce ed il Pope si concludeva la benedizione ai caduti.
Ma quale tristezza: non c’è una lapide, un fiore, un riferimento, un nome, eppure tutti i caduti al di qua della ferrovia, quella ferrovia che costituiva l’ultimo sbarramento verso il ritorno a casa, sono sepolti qui, italiani, russi, tedeschi, ungheresi, rumeni, civili, senza alcuna distinzione.
Arriviamo indenni alla Domenica della inaugurazione dell’asilo, opera grandiosa, voluta e realizzata dagli alpini, un monumento alla pace, monumento attivo, pegno di nuovi rapporti di stima ed amicizia tra i due popoli, anche una riparazione che spetterebbe però al governo italiano, non dimentichiamo, ha detto il dott. Caprioli, che siamo stati noi gli invasori.
S. Messa celebrata dai cappellani militari con Mons. Marra, sotto un mezzo diluvio.
In tanti hanno parlato. Al mio ritorno ho riletto i vari interventi riportati fedelmente dal Gazzettino del 20 settembre. Mi ha colpito però il discorso giusto e senza retorica del generale russo, non riferito e me ne dispiace, che affermava alla fine: anch’io ho dei nipotini e che cosa c’è di più bello che vedere i bambini sorridere.
Allora il messaggio degli alpini a Rossosch: “OPERAZIONE SORRISO”, si è rivelato profetico, ed i disagi sopportati dai convenuti devono passare inosservati.
Durante i vari spostamenti, 1000 km in pullman, il gruppo C2 cantava e dal canto popolare emergeva la vita degli alpini, ma con quale interpretazione, con quale animo abbiamo rivissuto quei canti: è stata una gioia dello spirito.
Di ritorno a Mosca, permeata di storia, modello urbanistico centripeto radiale, il Cremlino mi pare una conquista architettonica del Patriarcato e degli Zar piuttosto che dei più recenti potentati politici.
La serata conclusiva si è svolta con uno spettacolo del complesso Maslenitsa, veri professionisti del balletto. Al termine il dott. Caprioli chiamava attorno a sé i reduci: ne ho contati più di quarantacinque. Ad essi ha rivolto un grazie a nome di tutti. Non ha dimenticato quegli alpini e quei reduci che militando senza loro colpa nella repubblica di Salò hanno subito una discriminazione ingiusta. Non ha risparmiato anche per questo critiche al governo.
Così parlano gli uomini di carattere, spiriti liberi, gente che cammina con le proprie gambe e soprattutto pensa con la propria testa. C’è ancora da sperare in una società più giusta e più sana.
A Rossosch vive e lavora un insegnante di storia, il prof. Morozov, che ha raccolto pazientemente tutti i cimeli e i documenti attinenti alle operazioni russe-italiane sul fronte del Don: è il maggior esperto su quelle vicende. Gli alpini gli hanno offerto uno spazio nei sotterranei dell’asilo per sistemarlo a museo. Perchè non lo aiutiamo?
Di ritorno da Cargnacco, col picchetto d’onore della Julia, mio figlio Alan, ha letto su quelle lapidi il nome Dario Vittorio: si, è nostro zio, anche lui caduto in Russia.
RENZO DARIO


LA PREGO... MI RACCONTI ROSSOSCH

In una domenica di ottobre mi capita la fortuna di parlare a lunga con un grande alpino, il Generale di Corpo d’Armata Angelo Santalena, da alcuni anni nella riserva.
E’ un grande alpino, ma è anche un alpino grande; è seduto al mio fianco, sullo stesso divano, dietro le lenti vedo i suoi occhi vivissimi una spanna più alti dei miei.
E’ rientrato da poco dalla Russia, dove ha visto consegnare un asilo nuovissimo e stupendo a dei bambini che non lo avevano.
Mi dice: “Complessivamente all’operazione di inaugurazione della Scuola del Sorriso abbiamo partecipato in 1.300 circa. il viaggio s’è articolato in due settori. Uno con voli aerei: 3 voli da Orio al Serio (BG) nella giornata del 16 settembre a intervalli di 3-4 ore tra un aereo e l’altro. Aerei della Aeroflot, gran baracconi, sedili scassati, fodere strappate, alcune cinture che non si allacciavano. L’altro settore si è trasferito con i camper.
Il concentramento di questi ultimi era a Milano, e per il Triveneto a Udine.
Erano 113 camper. con mediamente 3 persone a bordo per ogni veicolo, che hanno impiegato 6 giorni completi da Milano direttamente a Rossosch.
Noi dei tre voli, invece, ci siamo divisi, perché Rossosch più di tante persone non poteva assorbire, allora metà siamo andati a Mosca i primi 3 giorni e poi a Rossosch, l’altra metà prima a Rossosch e poi a Mosca. Il viaggio dei camper è stato organizzato da un collega ed amico che abita a Como, il Generale Cesare Di Dato, un bravissimo ragazzo. I nostri voli invece dalla sede A.N.A. di Milano e dall’Aeroflot.
Al seguito, la colonna di camper aveva un automezzo di soccorso o carro-gru, l’autocarro frigorifero, l’ambulanza con medici e con strutture di rianimazione.
Erano organizzatissimi. Hanno avuto scorte di polizia in Ungheria e appena sono arrivati all’ingresso della frontiera ucraina, la polizia dello Stato Ucraina li ha scortati fino alla frontiera della Russia dove la polizia russa li ha accompagnati a Rossosch.
D’altra parte anche noi siamo stati accompagnati, appena scesi dagli aerei a Mosca e saliti sui pullman,fino all’albergo Kosmos (albergo enorme, 4 stelle che equivale a un nostro due stelle coi lavabi che usavamo cinquant’anni fa. Ma almeno là ogni stanza aveva i servizi).
Ben altra cosa a Rossosch. Là siamo andati con spirito di pellegrinaggio, non di gita di piacere”.
Mi fa vedere con il sorriso sulle labbra una latrina orribile, piccolissima e lurida. Ha voluto fotografarla. Nell’unico albergo di Rossosch i servizi per quaranta camere erano due gabinetti così.
Continua: “Non ci hanno lasciati un minuto, credo che volessero più che altro essere sicuri. Hanno una mentalità diversa dalla nostra. Altri aerei ci hanno portati da Mosca a Voronez. Aerei piccoli, trireattori. Al ritorno invece abbiamo trovato aerei ed elica, da Voronez a Mosca.
L’atterraggio a Mosca è stato ridicolo, ruote dei carrelli che fischiavano, pista piena di buchi. Loro non hanno piste lisce: badano all’essenziale. Spero che l’asilo lo tengano meglio... Mah!
Da Voronez siamo saliti su autobus carcasse, il nostro aveva anche un grosso buco nel parabrezza.
Da Voronez a Rossosch, duecentoventi chilometri, abbiamo impiegato 5 ore e mezza con i 9 autobus. Ogni tanto se ne scassava uno, allora.., uno l’hanno lasciato lungo la strada e le persone sono state divise tra gli altri autobus, poi un altro ha subito la stessa sorte; siamo partiti con 9 autobus e arrivati a Rossosch con 7. Sapevamo, d’altra parte, che era un pellegrinaggio.
A Rossosch non esiste struttura turistica. Vi siamo rimasti due giorni, il primo dedicato a Nikolajewka. Là in una delle isbe (e mi porge la foto), un reduce, un alpino bresciano, ha ritrovato una donna settantenne che aveva allora 18-19 anni, che era stata forse una specie di morosa, e si sono riconosciuti.
Che gioia che emozione!
Il giorno dopo anche quella donna era con noi a Rossosch, dove si sono scambiati dei doni. C’era tanta commozione.
Un particolare che mi ha colpito va però ricordato: la grande differenza di partecipazione della popolazione delle isbe del Don rispetto a quella di Nikolajewka.
Le donne, le vecchie del Don (Babusche) erano allora bambine e ricordano con gioia gli alpini, con loro avevano scambiato aiuti reciproci, avevano raccolto feriti, mangiato il rancio degli alpini, c’era affiatamento, e hanno vissuto ora questo pellegrinaggio con partecipazione e gioia.
I poveri resti del Corpo d’Armata Alpino allora hanno fatto breccia tra ben due divisioni russe!
La fossa comune dove sono sepolti gli alpini caduti a Nikolajewka è a 5-6 chilometri e coperta in parte di boscaglia.
A Nikolajewka invece c’è il cimitero dei caduti russi, e loro hanno tutti i nomi sulle lapidi.
Tra le quote visitate ricordo una quota della Julia, chiamata Pisello, caposaldo del battaglione Cividale. Là c’è un monumento russo che ricorda la conquista da parte loro di quella quota. Ci sono tutti i nomi dei caduti russi per la presa del caposaldo del Cividale: sono 3200 nomi di caduti. Ma gli alpini del Cividale che persero la vita e che non hanno lapidi in quel posto furono circa 400!”.
Domando: “Lei l’ha visto l’asilo?”.
“L’asilo è qualche cosa di meraviglioso, fatto con una cura e con amore... estremi. Purtroppo tutti noi abbiamo pensato... chissà come sarà fra un anno...! E’ inevitabile pensarlo, hanno un carattere tanto diverso da noi.
La popolazione sfilava per vedere i lavandini piccolini e i gabinetti piccolini perchè nessuno li aveva mai visti. E ogni lavabo ha il suo piccolo attaccapanni col suo asciugamano. La sala giochi ha già tutti i giocattoli, le macchinette, le bambole. Hanno l’infermeria, le aulette, le salette per le visite mediche...”.
Mi fa vedere le foto di alcune isbe, di alcuni bambini. Sono bambini come i nostri.
Guardo il generale che svetta sulle mie idee e dardeggia con gli occhi da sotto le sue lenti.
Credo abbia visto bene. Quella gente bada all’essenziale, e noi gli abbiamo dato un asilo per bambini. Cosa c’è di più essenziale dei nostri figli?
Non importa se qualche gancetto per gli asciugamani si romperà.
Quei bambini cresceranno sapendo che quei matti di Italiani che sono venuti in tanti per dargli quell’asilo, sono uomini amici, con cappelli un po’ strani e il cuore grande grande.

Renzo Frusi


ARRIVEDERCI ROSSOSCH

Gli alpini sono ritornati a Rossosch dopo mezzo secolo, non più armati, ma con i segni di pace e solidarietà. E lì con le loro mani hanno scritto una pagina della loro storia. Anche gli alpini di San Fior hanno dato il loro contributo alla costruzione dell’asilo che ospiterà 140 bambini. Con il capogruppo Elio Marchioni si sono recati in terra russa Mario Da Lozzo, Giovanni Zecchella e Giuseppe Armellin, assicurando complessivamente con la loro qualificata manodopera. sei turni di lavoro.
Ora che l’operazione sorriso è giunta al termine, è il momento dei ricordi e dei racconti. I nostri quattro soci ci hanno parlato di emozioni incomparabili e di esperienze irripetibili. A migliaia di chilometri, in una terra sconosciuta, vengono accolti dalla popolazione con cordialità e simpatia, e vengono invitati nelle case come amici di riguardo. E qui la fama di bevitori esperti ed insuperabili dei nostri alpini viene messa a dura prova: in tavola infatti, al posto del vino c’è la vodka... e si rischia la figuraccia.
La gente è colpita dalla grande abilità ed instancabilità degli italiani nel cantiere; le donne accennano a qualche confronto imbarazzante con i loro mariti.
Si sa che la presenza dell’alpino non è mai solo morale ma deve essere anche fisica. E così fra i manovali, oltre ad un capitano umilmente ma tenacemente incollato alla carriola, fa la sue bella figura anche un cappellano militare, cristianamente rassegnato a sorbirsi qualche imprecazione. L’aiutante di Marchioni è un medico bergamasco, belle mani, mai salito in vita sua su un’armatura: la sera "al tira le gambe a strozz" ma è contento per aver portato a termine la sua giornata di lavoro.
Tanti incontri straordinari e commoventi, Uno di questi non sapremmo se meglio definirlo patetico o simpatico. Una domenica, in visita ad un villaggio, i nostri familiarizzano con una anziana donna che, attraverso l’interprete, ricorda la guerra di cinquant’anni fa. Parlando del buon rapporto che si era venuto a creare tra la popolazione ed i soldati italiani, ricorda, senza nessun accenno di rancore, anche uno spiacevole episodio: due alpini le avevano sottratto la capra che rappresentava l’unica fonte di sostentamento per i due figli piccoli. I nostri soci, colpiti dal racconto, organizzano una colletta e le consegnano dieci dollari. La donna rifiuta commossa, affermando tra l’altro di non aver mai visto una tale somma in vita sua. Ma i nostri sono irremovibili e affermano che non è consuetudine degli alpini “lassar debiti fora pal mondo”...
L’esperienza di Rossosch ha lasciato il segno nei nostri soci. Nella cerimonia d’addio si sono scambiati arrivederci e l’ "operazione sorriso" si è stemperata in lacrime. Nella bandiera, ora esposta in sede, con tutti i nomi dei partecipanti al nono turno di lavoro, accanto al nome di Pennacchini Mario di Torino, una frase struggente: “dopo 50 anni un fiore per papà”.

Gianfranco Dal Mas
San Fior