SOMALIA |
Dicembre 1993 |
Scrivo solo perchè vorrei ci ricordassimo dei cinque ragazzi della Somalia.
Sono assolutamente convinto che fossero ragazzi in buona fede in un’Italia in cui la buona fede non è più di moda, in
cui si passa di scandalo in scandalo, ma lo scandalo non è più scandalo: e i cittadini vi sono ormai abituati.
Nel Paese in cui personaggi pubblici molto più che indiziati, incriminati, colpevoli. si trovano tuttora a far parte del
Parlamento.
Risulta a dir poco curioso che uomini politici che non hanno saputo dimostrarsi estranei all’accusa di avere rovinato il
concetto di democrazia e quello di rappresentanza parlamentare agli occhi della maggior parte degli italiani, possano
ancora essere chiamati onorevoli.
Vorrei ci ricordassimo di quei ragazzi che erano sani, erano un simbolo di vita, di quella vita che l’Italia deve ancora
avere e che non ha niente a che fare con l’immagine di morte morale che alcuni professionisti dell’intrallazzo ci stanno
quotidianamente propinando.
Ricordiamoci di quei ragazzi, che erano sani e che sono il simbolo di ciò che ancora di pulito c’è in questo Paese.
Un Paese in cui ogni anno c’è una nuova "finanziaria" da approvare, un Paese dove ogni volta che piove si muore perchè
da quarant’anni costruire l’argine di un fiume non è opera appariscente e
non attira voti, un Paese dove purtroppo ormai neanche i giudici danno completa e sicura fiducia.
Ricordiamoci anche che non erano andati lì per portare la guerra o la morte, ma per portare la pace. E per far vedere il
nostro tricolore che laggiù viene disprezzato un po’ meno di altre bandiere.
Erano ragazzi con un ideale di coraggio nel cuore, e con tanto desiderio di farsi onore. Quell’onore che noi non vediamo
più vissuto dalle persone che dovrebbero viverlo: in Italia non si usa più dare le dimissioni, si usa dire “io non so”,
“io non c’entro”, “io non c’ero”, “rivolgetevi ad altri”.
Scolpita chiara sul monumento al centro del piazzale del C.A.R. di Teramo, dove molti alpini della Julia imparano e
hanno imparato ad essere Alpini. vi è una scritta che dice: “Giù il cappello davanti agli Alpini”.
Quella frase fu pronunciata nel 1915 dal generale austriaco Schalek.
Oggi, noi, da queste pagine, vogliamo dire: “Giù il cappello, Alpini, di fronte ai Paracadutisti caduti in Somalia”.
Di fronte a questi ragazzi che pur vivendo al giorno d’oggi hanno scelto il sacrificio e l’onore, hanno scelto di
difendere la pace in nome di un’Italia che, speriamo, almeno nel futuro, meriti queste scelte di estrema generosità.
RENZO FRUSI