BRIGATA "CADORE" ADDIO? |
Dicembre 1994 |
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Se ha un senso quanto si è sentito durante la tavola rotonda promossa al “Nof Filò” di Cencenighe dal gruppo
parlamentare Amici degli Alpini, per la Brigata Cadore, così com’è adesso, è la fine.
La condannano i numeri. E la piè giovane tra le brigate alpine (nata nel ‘53), la meno consistente (3.600 uomini),
quella che in misura maggiore pesca i militari di leva in province lontane. Conta poco che sia una presenza importante,
meno ancora l’affetto che la circonda. Se le brigate dell’esercito - come vuole il nuovo modello di difesa - devono
scendere da 19 a 13, e se le brigate alpine devono ridursi da 4 a 3, sarà la Brigata Cadore a farne le spese. Rimarranno
due reggimenti, magari non sparirà il nome, ma...
Questo si è capito ieri, tra il dire e il non dire del capo di stato maggiore della Difesa Guido Venturoni, del
comandante del 4° corpo d’armata Luigi Manfredi, del sottocapo di stato maggiore dell’Esercito Bruno Zoldan. Così,
quello che il presidente della commissione Difesa della Camera Paolo Bampo - promotore del gruppo Amici degli Alpini che
in parlamento ha raccolto finora 192 adesioni - aveva definito all’inizio dell’incontro “un certo allarmismo”, è andato
via via trasformandosi prima in dubbio fastidioso e poi in preoccupata certezza.
Sta di fatto che allo stato maggiore della Difesa è stato assegnato il compito di delineare una robusta cura dimagrante
per esercito, marina e aeronautica. Questione di bilancio. Lo stato maggiore lo ha fatto adesso c’è poco da far
chiacchiere: qualcuno dovrà pur decidere se va bene o no che entro dieci anni gli effettivi dell’esercito si riducano a
150 mila unità, che si dia via libera a volontari di truppa in servizio permanente, che si sguarnisca di comandi questo
o quel settore. E tutti invece - politici e militari - a dire che “se dipendesse da me” sarebbero brindisi di lunga vita
alla “Cadore”.
Con la gustosa appendice di un presidente della commissione Difesa della Camera che viene a sapere ieri mattina dai
giornali - così ha dichiarato indispettito - il contenuto del progetto di riforma delle forze armate presentato al
consiglio dei ministri. Questo disegno di legge esautora il parlamento - si è scaldato Paolo Bampo. - Rivendicherò il
mio ruolo”.
E pensare che la giornata si era aperta nel migliore dei modi per la Brigata Cadore, con la solenne consegna dell’Agordino
d’Oro in piazza ad Agordo. Altri premiati Piero Badaloni, Maria Giovanna Elmi, Giovanni Battista Rossi e, assenti,
Manuela di Centa, Luca Goldoni e Reinhold Messner.
Poi l’impatto con la realtà a Cencenighe. Tra gli intervenuti alla tavola rotonda il comandante della “Cadore” Primo
Gadia, il presidente nazionale Ana Leonardo Caprioli, l’assessore regionale Floriano Pra, il presidente della Provincia
di Belluno Oscar De Bona.
Sergio Sommacal
Il Gazzettino 11/9/94
Il socio Emilio Gardella del Gruppo Recco e Golfo Paradiso faceva un giorno osservare che, se giustissimo è parlare
di quanto hanno fatto gli alpini in guerra, non meno giusto è ricordare anche i muli, da sempre amici fedeli e spesso
insostituibili.
Gardella faceva parte delle salmerie del btg. “Pieve di Teco” e già dalla campagna di Grecia gli era stato assegnato un
mulo (Balin) con il quale aveva presto stabilito un rapporto quasi umano. Destinati, dopo la guerra in Grecia, al nuovo
fronte russo, Gardella e Balin erano diventati, agli ordini del non dimenticato capitano “Nicolin” Cadenasso, una coppia
inscindibile. Si arrivò così a quel triste inverno 1942- 1943, quando i nostri amici erano nella zona di Valuiki e di lì
mossero alla volta di Karkov per arrivare poi a Gomel. La marcia, con il freddo pungente e la neve che accecava, non era
certo agevole, tanto che ad un certo punto persero i contatti. Che fare? Senza orientamento, privi di bussola, Gardella
e alcuni commilitoni si affidarono al mulo.
Trovata una provvidenziale slitta, vi attaccarono Balin che sembrava dire loro: “State tranquilli, io conosco la
strada”. La brava bestia inarcò la groppa e si mise in moto. Quanto camminarono? Secondo Gardella forse tre giorni;
erano come tramortiti. Lui, Balin, andava, si fermava, ripartiva finché al grido: “Altolà! Chi siete? “Si fermò e attese
pazientemente che i suoi rispondessero. Confusamente capirono di essere nelle vicinanze di Karkov, tra amici.
Il povero mulo era allo stremo e scrollando il suo testone sembrava dire: “Imbranati!”. Il reparto proseguì poi verso
Gomel ma... Balin non poté seguirli, la marcia estenuante lo aveva fiaccato. Più tardi Gardella seppe che il suo fedele
Balin non lo avrebbe più seguito come un’ombra. Quello che aveva fatto con un prodigioso senso di orientamento, per
riportare tra le nostre linee quei quattro amici con la penna, gli era stato fatale.
Ciao Balin, un mulo come te non poteva che appartenere al “Pieve” e alla “Cuneense”!
Mario Bearzi
del gruppo Camogli sez. Genova