MASO: IL LIBRO |
Giugno 1995 |
Nel nutrito programma delle celebrazioni del 70° di fondazione della Sezione è
stato, opportunamente, ricordato il capitano alpino Pietro Maset medaglia
d'oro al v.m. - detto il “Maso” nel 50° anniversario della sua tragica
morte, avvenuta in Friuli presso la Malga Sauc, - pochi giorni prima della
liberazione quando era comandante della Brigata partigiana “Osoppo”.
Il venerdì 31 marzo, nella sala consiliare del Municipio, alla presenza di un
discreto numero di persone, è stato presentato il libro “Maso Alpino”
dallo stesso autore dell'opera Livio Vanzetto, con testimonianze del prof.
Guido Vettorazzo, commilitone del Maset in Russia.
Livio Vanzetto ha illustrato il contenuto dell'opera, dove sono stati evidenziati i
diversi aspetti del personaggio “Maso”: l'Alpino, il patriota, il
partigiano; l'uomo dai grandi ideali, dalla radicata fede nei valori della
vita e dello spirito; umano e nello stesso tempo di grande carattere.
Mentre il dott. Guido Vettorazzo ha voluto testimoniare il compagno della tragica
avventura militare in terra straniera così: mentre saluto autorità e gentile
cittadinanza qui intervenute, sento di dovere un vivo ringraziamento al dott.
Livio Vanzetto per la sua preziosa opera di ricerca su Pietro Maset,
soprattutto per avercelo presentato come alpino, la figura morale ideale in
cui tutto si compendia: l'amor patrio, il rigore morale, il senso del dovere,
lo spirito di sacrificio.
Per Pietro Maset, che ancora prima di andare in Russia noi chiamavamo “Maso”,
il mitico nome di battaglia che l'accompagnò poi nella Resistenza fino alla
morte, io provai fin dal primo incontro istintiva simpatia e stima. Ma certo
non ero solo poiché tutti, colleghi e alpini, tanto lo stimavano,
l'ammiravano e lo seguivano con fiducia.
Lo conobbi nell'estate 1942, quando di prima nomina all'8° Rgt fui mobilitato
con il Btg. Tolmezzo. Il Ten. Pietro Maset era da poco rientrato dalla
campagna di Grecia dove si era guadagnato, con una ferita, la Med. di bronzo e
il trasferimento in S.P.E. per merito di guerra.
Come Ten. della 114° Compagnia AA., durante la nostra permanenza ad UD col Btg.
Tolmezzo mobilitato, coordinò rifornimenti e preparazione per la partenza al
fronte russo nell'agosto 1942.
In Russia, sul medio Don poi, nella prima fase autunnale, dopo che la 114a Cp.
perdette il Ten. Cellanova, vittima di un cecchino, il Ten. Maset ne divenne
Comandante, confermandosi animatore e organizzatore infaticabile per la più
sicura sistemazione degli uomini, specialmente con la costruzione paziente e
complessa di ricoveri, postazioni e trincee.
Cito solo qualche fatto, come il ricupero di gomme da automezzi russi abbandonati,
per trarne robuste e confortevoli risuolature alle scarpe alpine in vista del
freddo, oppure di batterie elettriche con cui alimentare l'illuminazione di
qualche ricovero interrato.
Con la prima neve si fecero frequenti le ricognizioni che Maso effettuava in
slitta e con gli sci per meglio conoscere il tratto di fronte assegnato e i
settori contigui di possibile nostro intervento.
A queste ricognizioni immancabilmente mi associava, sia perché comandavo i
mortai da 81, sia anche per la mia dimestichezza con gli sci, cosa che Maset
peraltro ridimensionava opportunamente appioppandomi il nomignolo di Ceo poiché
avevo esattamente 10 anni meno di lui, essendo entrambi nati il 12 marzo.
La fase invernale successiva; che vide la “JULIA” spostata d'urgenza a sud
per proteggere lo schieramento alpino, fra il 17 dicembre 1942 e il 17 gennaio
1943, impegnò in primo intervento il Btg. Tolmezzo, davanti a Nova Kalitva
fino a quota “176 Cividale”, assieme al Btg. L'Aquila a Selenyi Jar: in
pieno inverno e in campo aperto, su terreno privo di insediamenti e ripari,
sotto continui attacchi dei russi in pesante offensiva.
Qui il Ten. Maset rivelò a tutti noi di che tempra e capacità fosse.
La 114a Cp. con i suoi mortai e pezzi da 47/32 era stata frazionata e distribuita
in appoggio diretto alle varie Compagnie schierate.
Postazioni e trincee, tane e ricoveri faticosamente scavati nel terreno
ghiacciato, costituirono ben presto un vastissimo complesso difensivo che il
Comandante Maset doveva giorno e controllare e
rifornire per la migliore efficienza e sopravvivenza degli alpini, impegnati
oltre ogni immaginabile limite.
Con la sua presenza non solo ci rincuorava, ma esplicava
una continua opera di incitamento a resistere, a rinforzare, a migliorare al
massimo ogni sistemazione. In quella situazione di estremo impegno, e nella
fase successiva del tragico ripiegamento, rifulsero in pieno le sue migliori
doti. L'umanità: mai duro, autoritario o sgarbato, né con i subalterni né
con gli alpini, che amava moltissimo; li conosceva, ne sapeva i problemi, ne
condivideva i disagi e le fatiche, li aiutava con esemplare rispetto e
interessamento. Vigilava ed esigeva specialmente in cucina, badava al
vestiario, all'equipaggiamento e al benessere generale, per quanto possibile.
Il senso del dovere, della responsabilità e della
disciplina era per lui acuto imperativo, da idealista generoso e coerente
qual'era.
Sapeva impegnarsi oltre misura e pagare di persona,
esponendosi per primo all'occorrenza, mentre per ultimo si serviva.
Quanto a coraggio era un trascinatore, quasi temerario.
Imperturbabile nel pericolo sapeva infondere calma e fiducia, pronto anche
alla battuta scherzosa nei momenti critici e di rischio.
Tanto è testimoniato adeguatamente dalla motivazione di
Med. di bronzo al V.M. che gli fu conferita per i fatti d'armi sostenuti
davanti a Mova Kalitva fra il 20 e il 30 dicembre 1942.
Ricordo che vicino ai miei mortai cadde durante il furioso
attacco sovietico del 30 dicembre 1943 il Sergente maggiore del Gruppo
“Conegliano” Giovanni Bortolotto, M.O.V.M., il “cugino di Orsago” che
proprio presso il bunker-comando di Maset aveva schierato “arditi” alcuni
pezzo da 75/13.
Questo doloroso fatto, che anch'io ricordai nel mio libro “Cento lettere
dalla Russia”, è documentato anche in “Maso Alpino” del prof. Vanzetto
con la cartolina 1.1.43: tanto Maset ne era rimasto colpito e addolorato.
Altra ricompensa, Medaglia d'argento al V.M., Maset conseguì per i fatti
d'armi del 16/17 gen. 1943, all'atto del disperato sganciamento del
“Tolmezzo”, costretto in resistenza ad oltranza sulla testa di ponte a
Nova Melniza, in riva destra del Kalitva, affinché i reparti dell'8° e 9°
alpini con il 3° art. da montagna potessero defluire verso nord.
La tragica ritirata da quel momento si svolge come tutti sappiamo, fra gelo
e fame, fra sofferenze inenarrabili e attacchi continui, con perdite ingenti e
dolorosissime. I vincoli organici sono presto perduti, ridotti solo a livello
di piccoli gruppi spesso sbandati, che affrontano come possibile agguati e
sbarramenti corazzati.
Il Comandante Maset ancora riesce a trattenere intorno a sé in estenuanti
marce i più fedeli e validi della dispersa 114a Compagnia,
in solidale gara a protezione di malati, congelati e feriti. Come si riuscisse
a restare uniti e a ritrovarsi insieme è pressoché inspiegabile, ma fortuna
e coesione ci aiutarono per tutta la ritirata, percorsa sulla strada giusta
che ci riportò in salvo.
Era proverbiale, specialmente in ambito di Btg., la energica determinazione
di Maset nel reperire slitte e quadrupedi alla bisogna: la lotta per la vita
era spietata, specie per avere qualche ora di riposo o riparo notturno, ma
egli riusciva quasi sempre ad ottenere.
Anche per “Maso” però il travaglio in quei frangenti diventa più cupo
e sofferto. Tutte le certezze sono scomparse con il crollo dell'organizzazione
militare. Rimangono soltanto la disperata volontà di salvarsi e un barlume di
solidarietà appena praticabile nella travolgente fiumana del
ripiegamento generale.
Dopo il fortunoso rientro in Italia si ha un po' di pace e
di rilassamento in famiglia. Poi quasi subito riprende l'insensato reimpiego
dei reduci dell'8°, ridotti in tre Compagnie: Tolmezzo, Gemona e Cividale,
contro le infiltrazioni slavo-titine in zona Val Natisone.
L'8 settembre completa e aggrava l'infausta avventura
dell'Italia in guerra. A questo punto Maso, con meditata e sofferta decisione,
sceglie il proprio campo nella Resistenza, accettando nella lotta per la
libertà ancora il rischio, fino alla morte.
E' ciò che abbiamo sentito con rinnovata emozione ora, 50
anni dopo, dalle illuminanti parole di chi mi ha preceduto.
Il suo sacrificio e la sua morte siano di monito e di
incitamento per tutti noi. Di Pietro Maset è quanto mai necessario oggi
rilanciare il messaggio e l'esempio, con la fede di quell’Italia che egli
voleva e vedeva “libera, onesta e pulita”.
Domenica 2 aprile si è voluto rendere omaggio all'eroe con la deposizione di una
corona di fiori sulla sua tomba nel cimitero di Scomigo, dove alle ore 15.00
è giunta la fiaccola della libertà, portata dagli alpini del G.S.A., la
quale era partita alle 9.15 da Sauc (PN).
Ad accogliere la fiaccola sono stati gli alpini, molta gente del luogo e delle
vicinanze e le numerose autorità e rappresentanze di associazioni d'arma e
partigiane.
C'erano il gen. Primo Gadia comandante della Brigata “Cadore”, il col.
Vagoni del 3° Volturno, il cap. De Filippi del Distretto militare di Treviso,
il s.ten. Gatto comandante la tenenza della Guardia di Finanza di Conegliano,
il s.ten. Vigorita dell'Aeronautica Militare; inoltre il sindaco di Conegliano
rag. Flavio Silvestrin, il vice presidente vicario nazionale
Lino Chies, il vice presidente della sezione di Vittorio Veneto Ennio Da Rè,
ed altri personaggi di rilievo in campo associativo come il cav. Gr. Uff.
Giorgio Zardi.
Presenti lo Stendardo del Comune di Conegliano, i Vessilli delle sezioni di Pordenone, di
Vittorio Veneto e di Conegliano; i labari delle associazioni d'arma Partigiani
d'Italia di Vittorio Veneto, Partigiani di Osoppo, ANPI di Treviso, Cavalleria
di Conegliano (col presidente cav. Mario Zanchettin), Granatieri, Aeronautica
e Marinai d'Italia di Conegliano. Facevano ala i gagliardetti dei Gruppi di
Budoia e Marsure della sezione di Pordenone, quelli di Colle Umberto e
Cordignano della sezione di Vittorio Veneto e della nostra sezione:
Conegliano-Città, M.O. Pietro Maset, Corbanese, Ogliano, Godega-Bibano,
Collalbrigo, Collalto, Fontigo, Refrontolo, Sernaglia, San Fior, San
Vendemiano, Vazzola.
Naturalmente era presente la Fanfara Alpina della “Cadore”.
Poco dopo le 15.00, nella Chiesa parrocchiale di Scomigo,
ha avuto inizio la S. Messa concelebrata dal Vescovo di Vittorio Veneto mons.
Eugenio Ravignani, dal nostro cappellano don Raffaele Lot e dal parroco di
Budoia.
Durante l’omelia il vescovo Ravignani - estimatore ed
amico degli alpini - ha ricordato Pietro Maset uomo-alpino dalle profonde virtù
umane e sociali, doti che ancor oggi sono patrimonio di tutte le penne nere.
Poi nel piazzale delle scuole elementari - dove all'interno era allestita la
mostra dei lavori dei ragazzi - si è tenuta la manifestazione finale. Dopo il
saluto del sindaco Flavio Silvestrin, anch'egli con il cappello alpino,
affiancato da colleghi giunti dal Pordenonese, il Cav. Gr. Uff. Giorgio Zardi
ha tenuto la commemorazione ufficiale, evidenziando l'attualità della figura
del “Maso”, con il suo innato senso del dovere e l’esigenza di un mondo
più giusto, al di fuori degli schemi strettamente ideologici, perché rimase
alpino fino in fondo, anche quando aderì al movimento della Resistenza. Egli
- come si sa - aveva rinnegato e contestato quel regime, a cui per vent'anni
anch'egli aveva creduto fedele ai grandi valori, mentre si dimostrarono
effimeri e fuori da ogni logica liberale, e che quindi avevano tradito quegli
ideali di amore in cui egli credeva e ne era il conservatore geloso: la fede
in Dio, l'amore al prossimo, la libertà e la giustizia e il vero attaccamento
alla Patria e al proprio paese.
Renato Brunello