
L'arrivo della fiaccola a Mestre

L'intero gruppo che ha partecipato alla staffetta.

L'accensione della lampada votiva.

Il gruppo dirigente, con l'ordinario militare e
il vicesindaco di Conegliano prof. Feletto.
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Tutti impegni simboleggiati nella
fiamma della fiaccola accesa alla Chiesetta dedicata alla Madonna della Neve
quando, sabato mattina, gli Alpini si sono messi in marcia per Mestre dove nel
pomeriggio i tedofori, al suono della Fanfare della Brigata Alpina Cadore, hanno
acceso in Piazza Ferretto il tripode votivo accanto al quale l'indomani sarebbe
stata stata posta la Sacra Icona della Madonna del Don dando così il via
ufficiale al rigido cerimoniale che caratterizza e scandisce i tempi di tutta la
manifestazione.
I primi spunti di riflessione, accompagnati dal
brivido delle emozioni forti si sono avuti in serata sia nel corso della
rievocazione dei fatti che hanno portato in Italia l'immagine della Vergine
Addolorata ritrovata tra le macerie di una isba, in prima linea sul fronte del
Don, da un Cappellano degli Alpini, Padre Narciso Crosara, che la mandò dal
fronte alla madre perché la custodisse a conforto di tutte le genti in trepida
attesa dei familiari che la guerra aveva portato lontano e sia nel corso del
concerto tenuto nel Duomo di San Lorenzo durante il quale il Coro Torre Venezia
dell'A.N.A. di Mestre, il coro della Brigata Cadore e il nostro Corocastel hanno
dato saggio della loro bravura e di quanto il canto tradizionale sia espressione
viva e genuina della cultura di un popolo.
Ancora emozione la domenica mattina quando la
tromba dell'adunata è suonata tra le banchine ferroviarie della stazione di
Mestre e ci ha chiamato a raccolta per sfilare, con in testa la Fanfara della
Brigata Alpina Cadore e la nostra cara efficiente e disponibile Fanfara Alpina
Sezionale lungo le vie cittadine sino a Piazza Ferretto da dove, dopo
l'Alzabandiera, si è proseguito per il Palazzo Comunale ove è avvenuto
l'incontro con le autorità civili, militari e religiose convenute per
l'occasione.
Poi la Santa Messa al campo concelebrata dall'Ordinario Militare per l'Italia
arcivescovo, Giovanni Marra in una piazza -gremita fino all'inverosimile da
Alpini, familiari e fedeli.
Monsignor Marra nel corso dell'omelia ha saputo unire passato e presente, ha
tracciato, attraverso la storia della Sacra Icone, il percorso che conduce dal
dolore alla gioia sottolineando, con particolare riferimento alla vicina ex
Jugoslavia, che l'indifferenza è da ascrivere tra i peccati più gravi del
nostro tempo. Pace e concordia, ha gridato, alberghi i tutti gli uomini di buona
volontà.
Infine l'offerta dell'olio alle
lampade, perennemente accese, poste sull'altare della Madonna del Don presso la
Chiesa dei Pp. Cappuccini con la particolare benedizione a tutti gli Alpini e il
commovente pensiero a quanti sono andati avanti.
La compostezza e le emozioni del mattino hanno poi lasciato il posto alla
tradizionale allegria degli Alpini. Come al suono della libera uscita in un
batter d'occhio eccoli per le vie di Mestre allegri e scanzonati a battere il
piatto presso il Gruppo di Pieve di Soligo che con la consueta dovizia aveva
predisposto il mitico rancio.
E ancora tanta allegria in serata
per le calli di Venezia al tramonto, in attesa dell'Ammainabandiera in Piazza
San Marco con la Fanfara della Brigata Alpina Cadore a dar spettacolo per noi e
i turisti piacevolmente sorpresi.
Rientro in tradotta come nelle migliori tradizioni, si smorzano le chiacchiere,
si pensa al futuro, ritornano in mente le parole di Monsignor Marra, si fanno un
po' di conti: noi che a Mestre ci siamo stati sicuramente un po' più ricchi
torniamo alle nostre baite.
Nicola Stefani |
ASCOLTA O DIO
Alla fine del novembre 1942, il giorno dopo una cruentissima battaglia sul fiume Don in
Russia, un cappellano e un medico con alcuni alpini erano dediti al pietoso impegno di
recuperare e seppellire le salme dei Caduti. Nella tasca di un alpino della divisione
"Julia" (battaglione Tolmezzo) fu trovato un foglietto scritto a matita con la poesia
sottostante. Il foglietto era macchiato del suo sangue. L'alpino si chiamava Pietro Torresan.
Ascolta o Dio
io non ho mai parlato con te, voglio salutarti.
Come stai?
Sai... mi dicevano che non esisti,
e io, povero sciocco, credetti che fosse vero.
Stasera quando stavo nascosto nel fosso di una granata,
vidi il tuo cielo...
Chi avrebbe mai creduto che per vederti
sarebbe bastato stendersi sul dorso.
Non so ancora se vorrai darmi una mano,
credo almeno mi comprenderai.
E' strano che non ti abbia incontrato prima,
ma solo in un inferno come questo.
Bene ho già detto tutto.
L'offensiva ci aspetta tra poco.
Mio Dio non ho paura
da quando ho scoperto che sei vicino.
Il segnale... bene devo andare.
Dimenticavo di dirti che ti amo.
Lo scontro sarà terribile...
Stanotte chissà...
Non sono mai stato tuo amico,
lo so, però...
mi aspetterai se arrivo da te?
Guarda come sto piangendo...
Tardi ti ho scoperto...
Quanto mi dispiace.
Perdonami.. devo andare.
Buonafortuna.
Che strano...
P. Torresan
da "Cinque valli" - Sez. Luino |