BOSCO PENNE MOZZE |
Dicembre 1996 |
Quest'anno, ricorrendo, il 25° anniversario della realizzazione del Bosco delle Penne Mozze, si é celebrato l'avvenimento con una grandiosa manifestazione, in armonia con la sacralità del luogo.
E' l'alba (del mattino) del 1 settembre. Il sole spunta
all'orizzonte incerto e, pian piano, la sua luce penetra tra le fitte fronde
dei grandi arbusti. Dopo qualche
fatica si eleva, conquistando lo spazio celeste, i suoi raggi possenti
illuminano, finalmente, la valle di San Daniele di Cison di Valmarino, gremita
di migliaia e migliaia di "pellegrini".
I volti dei presenti si rischiarano, il sorriso appare sulle labbra e
negli occhi di ognuno. Il suo
calore riscalda il corpo e lo spirito: trasmette pace e serenità.
Lo sperone roccioso
disseminato di "Stele" - sulla cui prora si erge la grande Croce del
Cristo, che abbraccia l'anima delle duemilatrecentoquarantanove Penne Mozze;
la Mamma Celeste, insediata sul centro del colle, che stringe sul petto il
segno del dolore delle mamme e amorevolmente asciuga le loro lacrime - appare
ancor più maestoso, inebriato dall'astro celeste.
La fede, la speranza sono
premiate. I dubbi dell'avvisaglia
dei giorni precedenti di un tempo inclemente sono fugati. Il memoriale si presenta come una grande cattedrale: esso è
ormai una realtà storica degli Alpini della Marca Trevigiana.
Gli artefici possono riposare in pace, la loro opera e già tramandata
ai posteri, con dignità, con profonda pietà, con grande amore.
Il sogno, o meglio l'idea di
Mario Altarui, la quale venne suffragata, senza indugio, da Giulio
Salvadoretti, indimenticabile presidente della sezione alpini di Vittorio
Veneto, dal sindaco di Cison Marcello De Rosso e dal capogruppo di Cison
Marino Dal Moro vien , pian piano, realizzata: rimane e rimarrà un retaggio,
un patrimonio invidiabile ed inviolabile.
Troveranno nel loro cammino la
solidarietà, la collaborazione, l'aiuto morale, materiale ed economico di
molti alpini ed amici delle sezioni di Conegliano, Treviso, Valdobbiadene e
Vittorio Veneto.
L'ispirazione di Mario divenne
palese sino dall'ottobre 1968, attraverso un editoriale da lui pubblicato nel
periodico della sezione di Conegliano "Fiamme Verdi" e ribadito,
successivamente, con altri articoli.
Desidero, dopo ventotto anni,
riportarne un compendio.
Sotto il titolo: “IDEA
MATTA, PERO'”. . egli scrisse: “... La nostra organizzazione dovrebbe
essere in grado di raccogliere meticolosamente i tanti nomi degli alpini della
provincia, e formare un ruolino provinciale delle Penne Mozze, certamente
lungo... Un albero per ogni Caduto Alpino della nostra Marca Trevigiana e
possibilmente ben identificato col nome: un grande schedario delle Penne
Mozze... Sarebbe commovente poter ammirare di lontano il “Bosco degli Alpini
morti” e poter inoltrarsi ad ascoltare il sussurrio delle foglie e il vento,
che come un'anima enorme e collettiva respira, soffiando in questa sacra selva
di piante; e, ancora, sapere che questo bosco contribuisce a proteggere la
pianura, trattenendo con le crescenti radici l'acqua del disgelo montano per
distribuirla, gradualmente benefica, alle sottostanti attività dell'uomo:
immaginando almeno per un attimo, con commossa e per nulla sacrilega
considerazione, che sono i nostri Alpini Caduti a trattenere - con le loro
braccia affondate nella terra - l'impeto delle acque che altrimenti
travolgerebbero le nostre opere quaggiù, e che tengono vigorosamente
imbrigliate le rocce che disastrosamente franerebbero sui villaggi dei vivi.
Mi scuso con i Morti se mi
appello a Loro per aggiungere un motivo sentimentale ai già consistenti
argomenti logici, ma tanto vorrei che un'opera così essenziale venisse
realizzata nel ricordo dei nostri Caduti Alpini...
L'ho detto fin da principio
che è un'idea matta; però …”
Il 7 ottobre 1972 il vescovo
di Vittorio Veneto mons. Antonio
Cunial, cappellano alpino nell'ultimo conflitto mondiale, benedisse il
monumento - opera dello scultore del ferro Simon Benetton - e il memoriale.
La domenica seguente, di
fronte ad una cornice stupenda di alpini e familiari dei Caduti, si svolse il
rito inaugurale, con il saluto del sindaco di Cison di Valmarino Marcello De
Rosso; segui la S. Messa celebrata dall'ufficiale reduce alpino mons.
Paolo Chiavacci, il discorso di Giulio Salvadoretti e l'intervento
dell'on. Francesco Fabbri.
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Dopo questa doverosa premessa cercherò di estendere, più fedelmente possibile, la cronaca delle due giornate programmate nella ricorrenza del 25° di fondazione. Sabato 31 agosto, verso le Il, una rappresentanza delle sezioni di Vittorio Veneto, Conegliano, Valdobbiadene e Treviso hanno accolto il presidente nazionale dott. Leonardo Caprioli, giunto da Bergamo, assieme alla sua gentile Signora ed alcuni amici.
Dopo lo scambio dei saluti,
siamo partiti alla volta del monte Pizzoc, dove ha sede il Rifugio “Vittorio
Veneto” (a quasi 1600 m.), ristrutturato e gestito dal Gruppo Alpini Città
di Vittorio.
E' seguito il rancio,
preparato dagli alpini per una cinquantina di persone presenti, le quali
successivamente hanno ascoltato alcune belle "cante" del Coro
"Col di Lana".
La sezione di Conegliano era
rappresentata dai vice presidenti Nicola Stefani e dal sottoscritto.
Purtroppo, per le fitte nuvole, non abbiamo potuto ammirare lo stupendo
panorama.
Alle ore 18, presso la
Biblioteca Comunale di Vittorio, sono stati presentati due interessanti libri
“Il Bosco delle Penne Mozze” edito dalle sezioni di Conegliano, Treviso,
Valdobbiadene e Vittorio Veneto, e “Memoria” di Giulio Salvadoretti,
curato da Giacomo Di Daniel; e una videocassetta sul "Bosco" curata
soprattutto da Gino Perin.
Il consigliere nazionale
Fioravante Piccin ha porto il saluto ai convenuti, ringraziando in particolare
il presidente nazionale dr. Caprioli,
per aver accettato di presenziare alle celebrazioni del 25' anniversario del
Bosco delle Penne Mozze; il sindaco di Vittorio Veneto e gli altri sindaci
presenti, i presidenti delle quattro sezioni alpine della Provincia; il dr.
Mario Cecilian, primo presidente della sezione vittoriese.
Successivamente il presidente
della sezione di Vittorio Veneto Donato Carnielli ha presentato il libro
“Bosco delle Penne Mozze”.
Carnielli ha espresso
gratitudine al dr. Caprioli per la prefazione del libro e per aver trovato il
tempo di vivere due giornate in mezzo a noi.
Il libro - egli ha detto è stato realizzato dalle forze unite di tutti
i Gruppi Alpini della provincia di Treviso e si prefigge i seguenti scopi:
- fermare sulla carta la
memoria storica di quanto è stato fatto dai nostri Alpini, con la mente, con
le braccia e col cuore;
- fissare le tappe di un lungo
e sofferto cammino;
- descrivere il luogo dove il
Tempio vivente è apparso 25 anni fa, come un sogno;
- ricordare perennemente i
protagonisti;
- guidare i visitatori sempre
più numerosi, e, innanzitutto, dare al vento un annuncio nuovo, come una
bandiera, sulla inutilità della guerra.
Annuncio che appare nei versi di Giovanni Mariot, citato nel testo:
“Se oggi i
Morti potessero risorgere da ogni parte,
dai cimiteri di
guerra,
dalle dune del
deserto,
dalla
desolazione della steppa,
dal profondo del
mare,
e dalle ceneri
dei forni crematori,
si
abbraccerebbero come fratelli.
Perché la morte
è pareggio, dove le paro-
le straniero,
nemico, vinto o vincitore non
hanno più
significato.
Certamente Colui
che numera i fili d'erba
e chiama per
nome le stelle, avrà raccolto
ogni goccia di
quel sangue e ogni lacrima
delle
madri"
Quindi, presentando la videocassetta, diffusa dalla quattro sezioni Alpine di Treviso, della durata di circa trenta minuti, ha rammentato che il filmato ricorda le gesta delle Penne Nere da Adua a Nikolajewka in una stupenda sintesi fotografica, integrata da un commento originale scarno ma efficace, portato dalla voce ferma e calda di un alpino.
Egli ha rivolto un particolare ringraziamento a Gino Perin, a Giacomo Di Daniel, al consiglio sezionale di Vittorio, al comitato del Bosco, all'AsPeM, ed a altri che hanno collaborato; alle due Signore, vicine al cuore degli alpini, Antonia Altarui e Gabriella Dal Moro.
Priva di finalità artistiche,
la videocassetta, finanziata da modeste disponibilità, ha raggiunto gli
obiettivi prefissi:
- quello storico-didattico ad uso della gioventù;
- quello del rinnovato impegno
per l'avvenire da parte dei quattro Presidenti ad onorare e difendere il
Bosco; - quello di lanciare un ulteriore messaggio contro la guerra condotto
dalle immagini vive di tanto sacrificio.
Carnielli ha ringraziato la Banca Popolare Piva di Valdobbiadene per il contributo dato alla realizzazione del libro, in memoria di Marino Dal Moro; e le Grafiche Antiga di Cornuda. E' seguita la presentazione del libro “Memoria” di Giulio Salvadoretti da parte di Giacomo Di Daniel, medico, quindi collega, nonché amico di Salvadoretti. “Giulio - egli ha detto - era un alpino autentico, ringiovaniva con gli Alpini, viveva dei loro problemi; si ricaricava ad ogni incontro con loro, per riprendere costantemente il giorno dopo l'ingrata e difficile lotta contro il male severo. Vi leggo anch'io due versi di Giulio scritti a La Spezia nel 1966, versi che riassumono quanto vi ho appena esposto e che definiscono la duplice umanità del “Vecio”.
“Un giorno della vita
fatto tutto di sole
del delizio di mille cappelli alpini sul mare,
e dei versi di Gigi
serbati nei fogli gialli
profumati di grazia.
Poi il ritorno
e la bocca amara,
il sonno che pesa sugli
occhi
e il consueto arrancare tra
le severe cose.
Su quel mare ho lasciato un
pezzetto di cuore”
Di Daniel ha sottolineato
l'impegno profuso da tutti gli operatori, in particolar modo il dr.
Gino Perin - responsabile delle attività culturali - il gen.
Carlo Giovannini, Rino Dal Cin e il fedelissimo Giacomino Tomasella
della sezione di Vittorio.
Poi è intervenuto il dr.
Lorenzo Daniele già presidente della sezione vittoriese e attualmente
presidente dell'AsPeM - che ha commentato le tre opere, pubblicazioni che
premiano gli autori e danno lustro al Memoriale, a tutto quello che raccoglie.
rendendo omaggio ai protagonisti e principalmente alle Penne Mozze.
Alla fine il presidente nazionale dr. Nardo Caprioli ha voluto esprimere un suo pensiero così:
"Grazie, per la sesta
volta, dato che è la sesta volta che vengo qui a Vittorio Veneto. Porgo il
mio saluto cordiale affettuoso a voi tutti, esprimo i sensi della mia più
viva soddisfazione per essere qui in mezzo a voi per una celebrazione tanto
significativa, quale sarà quella che si svolgerà domani al Bosco delle Penne
Mozze. Il Consiglio Direttivo Nazionale e Chies, che è stato con me per 6
anni di fila può essere testimone, io più volte ho detto che nella vita
associativa quando c'è qualcosa di strano, qualcosa di nuovo, qualcosa che
tocca particolarmente l'animo, generalmente il punto di partenza è nelle
Sezioni del Triveneto.
Io ho usato un termine
forse un pochino più volgaruccio, ma il senso è quello. Bene.
Anche oggi ho avuto la
dimostrazione che avete voluto preparare una giornata tutta particolare.
In genere quando io vado in visita alle Sezioni per qualche cerimonia o
per qualche manifestazione, si inizia con il raduno, l'accoglimento delle
autorità, il bicchierino, la sfilata, la messa, i discorsi e si arriva poi al
culmine della commozione che viene poi regolarmente, generalmente, sopito al
momento dell'inizio delle libagioni che seguono sempre le nostre
manifestazioni.
Ecco. Voi oggi avete voluto
invertire tutto quanto. Io sono
arrivato, mi avete fatto fare una bella gita di una mezz'oretta in macchina
per arrivare su al rifugio, una bella mangiata, abbiamo sentito i canti di un
coro che era lassù per cui il momento della commozione non può più essere
sopito da quello che in genere si chiama il pranzo ufficiale o qualcosa del
genere. Qui poi mancava che il Coro di Vittorio Veneto, con il quale io ho un
piccolo debito che spero mi sia stato completamente saldato a quest'ora,
(no?), ha voluto cantarmi la canzone “La notte di Natale”. E allora nella mia mente sono ricomparsi i volti di tanti
amici. Son tornato indietro di 55
anni, il 1 settembre 1941. Circa
300 baldi giovanotti, classe 1921, si presentavano a Bassano dopo aver fatto
già 4 mesi di naia ad Aosta, la Scuola Militare Alpina, e poi 2 mesi come
Sergenti nei vari battaglioni per iniziare il vero e proprio corso di Allievi
Ufficiali: Nella mia compagnia c'era con me Mario Cecilian, c'erano tanti
altri ragazzi e uno alla volta mi vengono in mente tutti.
Sentendo quel canto dove si ricorda con espressioni tanto toccanti la
tragedia degli Alpini in Russia, mi sono venuti alla mente i volti di tutti
quei nostri amici della la Compagnia di Bassano. Ascheris, morto il 1 di settembre, e poi tanti altri.
Capuist, morto con la Cuneense, Battaglino anche lui con la Cuneense,
Ceribelli e tanti, tanti altri.
Eravamo a Bassano in 300 circa ed altri 300, o poco più di 300, erano ad Avellino. 620 o 630
Sottotenenti. Più di 300 sono
rimasti sui campi di battaglia. Sicuramente qualcuno di loro è ricordato
anche qui in quel Bosco dove io son venuto per la prima volta un mese dopo la
mia elezione a Presidente Nazionale, dove ho provato una intensa commozione
che ogni volta che vengo si ripete sempre più forte, sempre più sentita,
forse anche perché, con gli anni, non sì riescono più a mascherare le
emozioni che si provano.
Ho conosciuto, perché è
stato in Consiglio Nazionale per circa un anno, Mario Altarui.
Una persona meravigliosa, una persona con la quale non era possibile
non andare d'accordo. Ho
conosciuto quello che è stato per tanti anni l'anima del Bosco delle Penne
Mozze, Marino. C'è qui la vedova
con noi. Ho vissuto momenti
indescrivibili, ineguagliabili ed anche domani, sicuramente, nell'aggirarmi in
questa vostra meravigliosa realizzazione, di cui vi sono profondamente grato,
torneranno nella mia mente tanti episodi.
Tante cose delle quali si parla e per le quali non si fa mai niente.
Domani sono 25 anni e sono le Nozze d'Argento del Bosco delle Penne
Mozze. In genere per le Nozze
d'Argento bisogna fare un regalo tutto particolare.
Io sono abituato ad avere, ogni tanto, delle strane idee per le quali
poi mi giungono, magari, delle critiche pesanti e feroci come mi sta capitando
da 213 mesi a questa parte per la mia, non per la mia, per la presa di
posizione che ho ritenuto di dover esprimere a nome dell'Associazione per la
faccenda del taglio dell'Italia in due parti.
Lettere di cui alcune firmate alle quali ho risposto, altre anonime
piene di insulti e di parolacce sono arrivate e se ne sono andate nel cestino.
Ed allora voglio anche oggi tirar fuori una delle mie cose strane.
Il Presidente di Vittorio Veneto ha letto poco fa delle righe che
ricordo “... se oggi i morti potessero risorgere da ogni parte, dai cimiteri
di guerra, dalle dune del deserto, dalla desolazione della steppa, dal
profondo del mare e dalle ceneri dei forni crematori, si abbraccerebbero come
fratelli, perché la morte è pareggio, dove le parole straniero, nemico,
vinto o vincitore non hanno più significato...... E io allora propongo a voi,
4 Presidenti di Treviso, agli Alpini delle Sezioni, a tutta la popolazione,
una cosa nuova per la quale sicuramente qualcuno forse mi rimprovererà e dirà
che la mia è una proposta oscena. Se
i morti diventano tutti uguali e se dovessero risorgere ed abbracciarsi come
fratelli, perché non mettere in quel bosco anche il ricordo di coloro che
hanno creduto fino all’estremo sacrificio, in qualcosa e che sono morti da
una parte o dall'altra. Parlo
degli Alpini che sono morti nella Guerra partigiana e degli Alpini che sono
morti nelle file della “Monterosa”.
Grazie a tutti”
Il Coro ANA di Vittorio Veneto
ha presentato alcune particolari canzoni.
Alla sera si è svolto un
incontro conviviale dei rappresentati delle quattro sezioni con il presidente
nazionale Caprioli; per la nostra sezione era presente il presidente comm.
Paolo Gai.
La domenica successiva, 1° settembre - e come dicevo all'inizio - in una meravigliosa giornata, di fronte ad una cornice grandiosa di alpini e familiari, autorità civili, militari, ha avuto luogo la cerimonia al Memoriale delle Penne Mozze.
Il rito è iniziato con l'alza
bandiera sul pennone posto sulla punta dello sperrone roccioso, e la
deposizione di una corona di alloro al monumento - costituito da tre enormi
penne nere in ferro battuto (opera dell'artista Simon Benetton) portata da due
alpini in uniforme, accompagnati dal presidente nazionale Caprioli, dal Capo
di Stato Maggiore generale Incisa di Camerana e dal sindaco di Cison Salton;
mentre le note del silenzio risuonavano nella valle; e il picchetto armato -
formato da alpini della “Cadore” si schierava si schierava sul “presentat’arm”.
E' seguita la S. Messa,
concelebrata dall'alpino mons. Carmelo Giaccone , cappellano capo al 5° Corpo
d'Armata, e dall’altro alpino don Domenico Perin, cappellano della sezione
coneglianese e da don Venanzio di Cison.
Alla fine sono state lette le
Preghiere dell'Alpino e dei Caduti di tutte le guerre.
Tutto si è svolto con
esemplare ordine, in un profondo silenzioso raccoglimento di preghiera, mentre
sommessamente il Coro ANA - diretto da Diego Da Ros - ha eseguito toccanti
brani canori, tra cui la ormai emblematica canzone “Penne Mozze”.
La solenne cerimonia si è
conclusa con una interessante allocuzione del presidente nazionale dr.
Leonardo Caprioli che mi permetto
pubblicare integralmente:
“Buon giorno a tutti.
Un cordiale saluto a tutte le autorità qui convenute, al Capo Stato Maggiore
dell'Esercito, a Comandante della Cadore, a tutte le autorità
civili, ai Sindaci. Vedo che due
di Voi hanno il cappello d'alpino in testa e mi auguro che si ricordano sempre
di essere prima alpini e poi Sindaci.
Non è la prima volta che
vengo al Bosco delle Penne Mozze. Una
delle mie prime visite, dopo qualche mese dalla mia elezione a Presidente
Nazionale nel 1984 è stata qui a Vittorio Veneto e da allora son tornato in
queste località altre cinque volte.
L'amico Daniele mi ha
prenotato, diciamo così, fin da parecchi mesi fa.
Non ho potuto dire di no, perché è un posto dove uno è
portato a fare profonde meditazioni, è portato a fare un esame di coscienza
particolarmente approfondito. Girando
lungo i sentieri di questo Bosco, vedendo una per una le 2349 ed oltre stele,
che ricordano gli Alpini caduti della terra trevigiana, mi vengono in mente le
parole di quel filosofo tedesco (non me ne ricordo il nome in questo momento)
che scrisse “beati i popoli che non hanno bisogno dì eroi”.
Io ritengo che se avesse
conosciuto gli alpini, se avessero vissuto, anche dal di fuori, la storia dei
nostri reparti alpini, forse avrebbe scritto”"beati quei popoli i cui
governanti non fanno dei loro soldati e dei loro alpini dei martiri” ...
perché questi 2300 ed oltre ragazzi ricordati in questo Bosco sono stati
martiri. Hanno obbedito ad un dovere che, forse, hanno sentito fino all'ultimo
momento. Hanno creduto in un
qualcosa e per questo qualcosa hanno donato i loro 20 anni alla nostra patria.
Ieri, in occasione della presentazione del libro del Bosco delle Penne Mozze,
ho ricordato che qui, forse, manca qualcuno. Manca il ricordo di qualcuno, e
lo ripeto oggi di fronte a tutti voi anche se a qualcuno magari potrà dare
fastidio, anche se vado contro una decisione presa dall'Assemblea dei Delegati
convocata appositamente a Milano qualche anno fa. Altri ragazzi, nel periodo
più tragico della storia d'Italia, sono caduti chi su di un fronte, chi su un
altro. Riterrei giusto ricordarli
come tutti gli altri perché chiunque abbia sacrificato la vita per un
qualcosa in cui credeva è degno della massima stima e del massimo onore.
>E girando in questo Bosco
ho letto, purtroppo, decine e decine di volte ripetuti, i nomi a me ben noti:
Seleni Jar, Nova Postoialovka, Nikolajewka, nomi in cui si è consumata pian
piano la tragedia degli alpini mandati in Russia a combattere.
E mi sia consentito allora un particolare ricordo a quei pochi, perché
ogni anno rimaniamo sempre più pochi, Reduci di Russia che ho visto qui e che
sono qui presenti. Li stringo tutti in un affettuoso abbraccio nel ricordo di
tutti quei nostri amici e dei nostri compagni che non sono più tornati.
E mi piace ricordare, nel
ricordo di tutti quelli che hanno dato i loro vent'anni per la nostra Italia,
un episodio che già altre volte ho ricordato.
26 gennaio 1943.
I Battaglioni del 6° dal mattino erano impegnati per tentare di
entrare in Nikolajewka e rompere definitivamente l'accerchiamento.
Il Vestone, il Valchiesa ed il Verona lasciarono sul campo centinaia di
morti.
Nelle prime ore del
pomeriggio venne il momento dell'Edolo, il mio Battaglione. E nel mio plotone c'era un alpino, classe 1922, aveva
compiuto da poco vent'anni. Il classico contestatore.
Il classico alpino a cui non andava bene niente.
Non gli andava bene la naja, non gli andavano bene gli Ufficiali, non
gli andava bene il Comandante di Compagnia, non gli andava bene il Paradiso di
Cantore. Contestava tutto. Il 19
gennaio, in occasione del I° combattimento che l'Edolo ha sostenuto nel corso
della ritirata, c'è stato un cambiamento improvviso e brusco in questo
ragazzo. Forse il vedere i suoi
amici e i suoi compagni cadergli a fianco ha risvegliato in lui qualcosa che
fino ad allora era rimasto sopito. A
Nikolajewka, quando venne il momento dell'Edolo e ci buttammo giù come
disperati per passare quella ferrovia oltre la quale c'era la salvezza, ad un
certo punto mi sentii chiamare “Signor tenente, mi hanno fregato”.
Era lui, colpito a morte, adagiato sulla neve da due suoi commilitoni.
Mi avvicinai a lui e riuscì
a dirmi “io so che lei nella giubba, ha il suo cappello”, quel cappello
sdrucito che forse molti di voi ricorderanno e che io ho portato qualche anno
e che adesso ho conservato a casa mia con l'obbligo di metterlo, mi auguro tra
un sacco di anni, nella mia tomba. Mi disse ”Io il mio cappello l'ho perso e
non vorrei arrivare lassù in quel paradiso di cui lei ogni tanto ci ha
parlato e trovare quel Generalone (il Generale Cantore) e poi magari mi pianta
un sacco di noie perché mi presento privo di cappello alpino.
Me lo metta in testa, perché io voglio morire con il cappello d'alpino
in testa”.
Glielo ho messo in testa e
mentre i suoi occhi si chiudevano per sempre, io ho visto e sentito in lui
parole che non è più riuscito a dire. Parole
che dicevano “salutami la mia mamma, salutami il mio paese, le mie montagne,
salutami l'Italia, salutami tutti i miei amici”.
Ecco, ogni volta che vengo in questo Bosco, ogni volta che si parla di
caduti, ricordo questo episodio e mi vengono le lacrime agli occhi.
Sui giornali di questa
mattina, che ho scorso molto rapidamente, ho avuto una sorpresa.
Dicevo ieri che quando c'è qualcosa, qualche novità sia nel bene che
nel male, parte sempre dalle Sezioni del Triveneto.
Ed ho visto che i giornali mi hanno assegnato un preciso compito.
Hanno detto che io devo
parlare di due argomenti. Primo
l'incontro che ho avuto a Roma l'8 agosto di quest'anno con il Presidente del
Consiglio Prodi. Sono andato a
parlare di Alpini.
Sono andato a parlare per
cercare di salvare quel poco che ancora si può salvare dei nostri reparti.
Mi sono consultato, prima di andare a Roma, con il generale Becchio,
comandante del 4° Corpo d'Armata Alpino e ho riferito questa mattina al
Comandante della Cadore, l'amico generale Gadia, che a Prodi ho detto e lo
ripeto a Lei Signor Generale Incisa di Camerana, “la lenta, inutile
angosciosa agonia della Cadore deve cessare, o rimettetela in sesto o
scioglietela definitivamente”. Noi
ne siamo ormai dolorosamente consci, ma resta il problema umano perché gli
ufficiali e i sottufficiali della Cadore hanno diritto a pensare del loro
futuro, hanno una famiglia, hanno dei figli e non possono restare appesi ad un
filo che si deve comunque rompere e che non si rompe mai.
Poi ho parlato di alpini. E
sui giornali questa mattina ho letto che io dovrei dire quale sarà il futuro
delle truppe alpine. Non lo so.
Non lo so perché non lo sa nessuno.
Ci siamo parlati di tanti progetti.
Io all'onorevole Prodi ho prospettato un'idea così già ventilata anni
fa da altri amici, da altri Comandanti del 4° Corpo d'Armata.
Ma non posso anticiparvela perché non so se andrà avanti o meno.
So perché mi è stato detto dall'amico De Paoli, l'onorevole De Paoli
alpino di Feltre, che l'onorevole Prodi ne ha parlato con il Ministro della
Difesa Andreatta e che per la metà di ottobre circa, al mio rientro
dall'Australia, dove andrò a portare il saluto agli alpini australiani, sarò
ricevuto ancora a Roma per parlare di questo problema.
Io spero e mi auguro che le altre brigate, la Tridentina, la Taurinense
e la Julia possano continuare a sopravvivere.
Mi impegnerò per questo con tutte le mie forze, ve lo prometto
formalmente.
Secondo argomento che mi è
stato assegnato. Ho letto su un
giornale che io devo ribadire fermamente, ma non c'è bisogno di dire
fermamente, il concetto dell'unità d'Italia.
Ed ora qui è bene chiarire
subito una cosa. Io sono
Presidente nazionale di un'Associazione che conta 340.000 soci. E, come
Presidente nazionale, a parte il fatto che ho il diritto di parlare, credo di
esercitare un mio preciso dovere quando cerco di difendere i principi
enunciati nel nostro statuto. Tra
questi un principio sul quale non c'è assolutamente da discutere è l'unità
d'Italia.
L'unità d'Italia per me è
una scelta che alcuni oggi stanno facendo e che altri invece non vogliono
fare. Hanno tutto il diritto di
farlo. Io ho sempre rispettato le
scelte di tutti quanti. Ho sempre
detto che quando un ragazzo che ha finito il servizio militare chiede di
entrare a far parte dell'Associazione Nazionale Alpini noi gli. chiediamo
soltanto di dimostrarci il suo diritto ad entrare nell'Associazione. Diritto
che lui può esercitare senza nessuna forzatura, ma volontariamente.
Non gli chiediamo di quale partito abbia la tessera.
Non glielo abbiamo mai chiesto. Però
come Associazione Nazionale Alpini faremo sentire la nostra voce in alcuni
determinati momenti. Nel 1919 nella galleria di Milano il tricolore venne
piantato con due chiodi e difeso da due alpini in congedo contro gli anarchici
che lo volevano strappare.
La nostra presa di posizione contro il no di alcuni anni fa di certi partiti
che non hanno voluto neanche che fossero prese in esame quelle 530.000 firme
depositate a Roma perché potesse essere emessa una legge popolare per il
diritto di voto ai nostri emigranti. Noi l'abbiamo difeso, l'abbiamo criticato
aspramente e nessuno ci ha incolpato che facevamo della politica. Certo che
facevamo della politica.
Quando parlo dell'unità d'Italia, io faccio una scelta Politica, ma credo di farlo difendendo i principi del nostro Statuto. Quando io mi trovo di fronte ad una scelta diversa resto un poco titubante. Non mi oppongo a niente. La storia che io voglio espellere dall'Associazione tutti quelli che si dichiareranno secessionisti è una balla santissima, è un'invenzione di qualcuno. Io non ho mai cacciato dall'Associazione nessuno, ma sempre ho soltanto detto e lo ribadisco oggi, che così come si è entrati volontariamente nelle file della nostra Associazione, se quanto l'Associazione fa non è di gradimento ad un socio, è libero di andarsene. Tutto qui. D'altra parte la scelta che qualcuno ha fatto, ha tutto il diritto di farla, io lo rispetto profondamente, anche se non la condivido.
E' questione di gusti. Io di una bella donna e l'Italia è stata sempre considerata e raffigurata come una meravigliosa donna, voglio gustarmi tutto. Dai capelli, al viso, alle spalle, al petto, al bacino, al ventre, alle gambe, non mi accontento solo di una parte. Che sia quella superiore od inferiore non importa. Se qualcuno si accontenta di quella parte faccia pure. Ma non mi si venga a dire che io non devo parlare di queste cose, che non devo difendere i principi per i quali l'Associazione Alpini è nata e che son stati sempre difesi da tutti. Nessuno ha il diritto di tapparmi la bocca. Ecco perché mentre io parlo di queste cose, io ho in mente questi 2300 e tanti ragazzi, ho in mente tutti i nostri caduti, ho in mente quel ragazzo, era della Valcamonica, che a Nikolajewka ha voluto che gli mettessi in testa il mio cappello per presentarsi a Cantore nel miglior modo possibile.
Un'ultima cosa. Forse non dovrei dirlo perché so che tra chi mi sente può darsi che ci sia qualcuno che è lì ad aspettare soltanto che io dica qualcosa di non giusto per sbranarmi vivo. Ma è una cosa così che mi viene spontanea. Il 27 di settembre apriranno un nuovo sportello a Mantova per dare lo stipendio ai nostri Deputati, ai nostri Senatori di “quella parte”.
Grazie a tutti gli alpini qui presenti ed anche a quelli che non la pensano come me. Un abbraccio affettuoso e la garanzia che il mio affetto è equamente distribuito tra tutti voi. Qualcuno, mi risulta, ha detto che sarebbe ora che io me ne tornassi a casa perché sono troppo vecchio. Forse ha ragione, ma comunque, penso sia l'assemblea dei Delegati a dover decidere una cosa del genere. Io, fin che ce la faccio, resto in mezzo a voi. Se mi volete, bene, se no mandatemi a casa. Grazie.”
Nutriti gli applausi,
soddisfacente la partecipazione di personaggi civili e Militari di
rappresentanze associative benemerite e d'arma, con labari, vessilli,
gagliardetti e tricolori. Oltre
al presidente nazionale dell'ANA dr. Leonardo
Caprioli, del Capo dello Stato Maggiore dell'Esercito generale Incisa Di
Camerana, erano presenti il comandante della "Cadore" generale Primo
Gadia, il ten.col. Stefano Donati in sostituzione del generale comandante
della "Julia", il presidente dell'UNUCI generale Luciano Casarza, il
generale Bettin; i presidenti delle sezioni ANA, Paolo Gai di Conegliano,
Luigi Menegotto di Marostica, Giovanni Gasparet di Pordenone, Francesco
Zanardo di Treviso, Pietro Longo di Valdobbiadene, Donato Carnielli di
Vittorio Veneto.
Quindi i sindaci: Gentilini di
Treviso, Salton di Cison, Tonin di Follina, Buogo di Miane, Bernardi di Revine
Lago, Rossi di Vidor, Dalla Bona di Tarzo; una numerosa rappresentanza di
crocerossine.
Presenti i Gonfaloni dei
Comuni di Trevisci, di Cison, di Follina, di Miane e di Tarzo; i vessilli
delle sezioni ANA di Belluno, Conegliano, Cadore, Feltre, Marostica, Pordenone, Treviso,
Valdobbiadene, Vittorio Veneto, Bolognese Romagnola, Roma e Ass.
Penne Mozze; Cavalieri di Vittorio Veneto di Vittorio; Nastro Azzurro
di Treviso e Vittorio; AMPI Provinciale Treviso; Artiglieri di Treviso;
Bersaglieri di Treviso; Combattenti e Reduci di Cison, S. Lucia di Piave,
Treviso, Vittorio Veneto e Federazione Provinciale Treviso; Famiglie Caduti e
Dispersi di Caerano S. Marco, Istrana, Treviso; Aeronautica di Oderzo): Reduci
di Russia Treviso; Associazione Vittime Civili di Sernaglia della Battaglia;
e centosette gagliardetti dei Gruppi alpini.
Ringrazio Steno Bellotto per la collaborazione alla raccolta delle
rappresentanze. La manifestazione ufficiale è finita da un pezzo, il cielo
si copre di nuvole minacciose; non passa molto tempo che lasciano cadere,
sempre più intensamente, le loro lacrime sui poveri "pellegrini", i
quali si affrettano a raccogliere le loro cose e a riprendere la via del
ritorno, forse un po' delusi di non aver potuto integrare la giornata tanto
importante ed eccezionale con un commento in compagnia; ma nel contempo grati
a Colui che ha consentito lo svolgimento della cerimonia nel miglior dei modi,
e sotto il sole. La valle di S.
Daniele gradatamente si spopola, rimangono solo coloro che hanno l'opportunità
di ripararsi in uno stand, dove la Banda Musicale di Cison li intrattiene con
adeguato repertorio. Un ultimo
sguardo alla teoria di "Stele", ancora una preghiera per le mille e
mille Penne Mozze. Faccio mia una
frase del tormentato poeta inglese Shelley, vissuto tra il '700 e l'800,
parole che si addicono anche al luogo in cui sorge il “Sacrario” Alpino:
“V'é una ineffabile eloquenza nel vento e una melodia nel corso dei
ruscelli e nel mormorio delle canne sulle loro sponde, che, per la sua
inconcepibile relazione con qualcosa entro l'anima nostra, desta gli spiriti a
una danza di smarrita estasi”. Parole
meravigliose, le quali concertano la sinfonia del creato ed esaltano il suo
Creatore.
Renato Brunello